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Governo del Cambiamento

Politica estera: quale collocazione internazionale per l’Italia

27 Lug 2018 - Ferdinando Nelli Feroci - Ferdinando Nelli Feroci

Una recente intervista del vice-premier e ministro dell’Interno Matteo Salvini e l’imminente visita a Washington del presidente del Consiglio Giuseppe Conte ripropongono il tema della collocazione internazionale dell’Italia ai tempi del Governo del cambiamento.

E’ comprensibile che il drammatico mutamento di alcuni dati caratterizzanti il contesto internazionale proponga una sfida inedita per la definizione dei mezzi più adeguati per tutelare i nostri interessi nazionali (sempre che si riesca a trovare un’intesa sulla individuazione di tali interessi).

I nuovi dati del contesto internazionale
Ci troviamo infatti in presenza di una nuova Amministrazione americana, che, a parte l’endemica imprevedibilità, rimette in discussione sistemi consolidati di regole e alleanze tradizionali, in nome dell’unico criterio ispiratore dell’America First. Di una Russia alla ricerca di un ritrovato protagonismo sulla scena internazionale, che viola principi fondanti delle relazioni fra Stati e verosimilmente interferisce nelle nostre vicende politiche interne, ma resta un partner irrinunciabile per la gestione di crisi regionali. Di una Cina sempre più destinata ad assumere un ruolo di grande potenza globale, in apparenza convinta sostenitrice di regole condivise per il governo della mondializzazione, in realtà ancora protetta da un capitalismo di Stato che rende problematico l’accesso al suo mercato. Di un arco di crisi, di conflitti e di fattori di instabilità ai nostri confini orientali e soprattutto meridionali, che mettono a rischio la nostra sicurezza. E infine, last but not least, di un’Europa che risente ancora dei contraccolpi della grande crisi economica e finanziaria, che stenta a definire risposte condivise al fenomeno dei flussi migratori, che da punto di riferimento irrinunciabile è diventata fattore di divisione e di polemica.

La scelta degli interessi nazionali e la loro tutela
Scontato quindi che in presenza di un quadro così complesso e instabile ci si interroghi su che cosa conviene all’Italia, su quali scelte di campo consentano di tutelare meglio i nostri interessi. Ma occorre farlo a ragion veduta, tenendo conto delle nostre caratteristiche di media potenza regionale, dei nostri punti di forza ma anche e soprattutto dei nostri limiti e delle nostre debolezze strutturali (una crescita più debole dei nostri partner europei, un debito pubblico che condiziona le nostre capacità di fare ricorso a politiche fiscali espansive, una produttività al di sotto della media europea, un sistema di regole e di burocrazia che penalizza imprese e investimenti).

È corretto quindi cercare di vedere quali opportunità presenti per noi il nuovo contesto internazionale. Ma senza dimenticare le sfide e le complessità di un quadro dove sono venute meno le certezze di un tempo. E soprattutto nella consapevolezza che la crisi di un sistema internazionale basato su regole convinse e istituzioni internazionali riconosciute, e il ritorno degli Stati nazione e dei nazionalismi, pongono  noi più problemi che opportunità.

Il rapporto con l’America
Nel rapporto con l’America di Trump non credo che ci convenga tentare la vecchia, è un po’ logora, carta dell’asse privilegiato o dell’intesa diretta al di fuori del nostro sistema di alleanze. E ancora una volta nella consapevolezza che le misure protezionistiche di Trump e i conseguenti rischi di guerre commerciali colpiranno direttamente o indirettamente nostri interessi vitali di Paese esportatore. Che le imminenti sanzioni Usa contro l’Iran, oltre a innescare una probabile corsa al riarmo nucleare nella regione, colpiranno ugualmente i legittimi interessi di banche e imprese italiane. Che la decisione americana di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele non contribuirà alla ricerca di un accordo di pace fra israeliani e palestinesi. Ed infine che è giusto salutare la ripresa di un dialogo fra Usa e Russia, se servirà ad allentare le tensioni, ridurre i rischi di una nuova guerra fredda e magari avviare una nuova stagione di negoziati sulla riduzione degli armamenti nucleari in Europa. Ma purché tutto questo avvenga in un quadro di trasparenza e chiarezza, possibilmente di concertazione fra alleati e senza delegittimare i propri apparati di sicurezza nazionale.

Il rapporto con la Russia
Nel rapporto con la Russia di Putin è ugualmente legittimo stimolare una riflessione fra partners e alleati sulla opportunità ( e le relative condizioni) di una normalizzazione delle relazioni. Ma sarebbe velleitario e controproducente pensare di poter assumere iniziative nazionali isolate e magari in controtendenza rispetto a partners e alleati. Nella consapevolezza che il tema del rapporto con la Russia (con buona pace di Trump) resta di altissima sensibilità non solo a Washington (come confermato dalle reazioni del Congresso e dei media al recente vertice di Helsinki) ma anche in numerose capitali europee.

Il rapporto con l’Europa
E infine resta la questione del nostro rapporto con l’Europa. E su questo nell’attesa di capire quale sarà la linea che finirà per prevalere nel Governo, si dovrebbe essere consapevoli che se è più che legittimo mantenere un atteggiamento di vigile critica, sarebbe altrettanto sbagliato persistere con una posizione aprioristicamente negativa. Tutto compreso la dimensione europea continua a convenirci, così come continua a convenirci un’Unione europea autorevole e in grado di far valere le proprie ragioni.

Ci conviene rafforzare la governance dell’Euro ( possibilmente senza evocare cigni neri o piani B); ci conviene una Ue che difenda i nostri interessi commerciali; ci conviene una Ue che tuteli concorrenza e apertura dei mercati (anche contro i giganti del web); ci conviene una Ue che. grazie anche alle opportunità del grande mercato interno, ci aiuti a stimolare competitività e produttività. Occorrerà sapersi muovere in Europa scegliendo con attenzione le nostre priorità e le cose da chiedere a partners e istituzioni europee, attrezzandoci sul piano interno per garantire affidabilità e credibilità alle nostre legittime richieste ed infine puntando su un sistema efficace di alleanze da costruire guardando soprattutto ai nostri interessi di fondo piuttosto che ad effimere affinità ideologiche.

Questo articolo è una versione estesa dell’articolo dello stesso autore comparso su La Stampa il 26/07/2018