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Al voto il 25 luglio

Pakistan: elezioni, una transizione ostaggio del terrore

19 Lug 2018 - Francesco Valacchi - Francesco Valacchi

L’attentato di Peshawar, capitale della provincia del Khyber Pakhtwunkwa, del 10 luglio scorso ha probabilmente squarciato il velo dell’opinione pubblica internazionale sulla violenza latente che sta segnando la campagna per le elezioni in programma in Pakistan il 25 luglio prossimo. Il secondo tremendo colpo assestato pochi giorni dopo con l’attacco in Belucistan e l’attentato subito il 16 luglio da Dawood Achakzai (esponente politico dell’Awami National Party, Anp) hanno poi inquadrato meglio la situazione: quella di una emergenza sicurezza e di istituzioni statali sotto attacco.

Tuttavia, se da un lato il terrore politico e religioso ci ricorda che la Repubblica islamica del Pakistan non è una realtà statale facilmente decodificabile secondo i canoni occidentali, dall’altro la resistenza delle istituzioni sembra ancora dimostrare che la volontà di fondo sia di imprimere un salto di qualità alla vita politica del Paese.

La gestione della transizione
L’amministrazione centrale uscente, guidata da Nawaz Sharif sino all’aprile del 2017 – momento in cui il primo ministro è stato interdetto dai pubblici uffici dalla Corte suprema del Pakistan per un suo coinvolgimento nel possesso di capitali di dubbia provenienza dall’estero (direttamente controllati o posseduti tramite membri della famiglia) -, ha governato il Paese mantenendosi quantomeno sui binari della stabilità.

Nonostante infatti i risultati economici a partire dal 2013 non siano stati brillanti sotto tutti i punti di vista, la crescita del Pil è partita da un ritmo del 4,1% e ha raggiunto un buon 5,7% nel 2017, lasciando aperte le previsioni per una crescita nell’anno corrente del 5,8%. Oltre a ciò, sono stati fatti dei passi avanti verso la soluzione dell’annoso problema energetico, benché ancora lontana. La mancanza di rifornimenti energetici ha infatti causato un handicap nel settore industriale, in tal senso sono emblematici gli scarsi risultati ottenuti dal governo, ovvero la crescita di produzione di energia elettrica dell’1,8% anziché del 12,5% come era stato progettato.

Il calderone politico
Anche il sistema politico in sé ha fatto, da un punto di vista occidentale, dei passi avanti verso uno sviluppo democratico, con la formazione di partiti non estremisti e l’investimento sull’istruzione all’estero non più solo ad appannaggio dei tecnocrati ma anche delle élites politiche.

Il caso più eclatante di nuovo movimento politico è il Pti (Pakistan Tehrik-e-Insaf) dell’ex-giocatore di cricket Imran Khan, che ha vissuto il vero e proprio boom elettorale e di immagine nel 2013 quando, partendo dalla modesta posizione di un solo seggio all’Assemblea Nazionale, è divenuto la terza forza politica del Pakistan. In quell’anno, il Pti ha ottenuto sette milioni e mezzo di voti per l’Assemblea nazionale.

Oltre a ciò, il movimento ha raggiunto la ribalta del dibattito politico e ha avuto un ruolo determinante nel processo di fuoriuscita del premier Nawaz Sharif l’anno scorso.

Oltre al Pti, dal 2013 ad oggi si è assistito ad un revival di partiti etnici come l’Awami National Party che nel 2013 era stato rimpiazzato proprio dal Pti al governo della provincia pashtun del Khyber Pakhtwunkwa. La nascita ed il consolidamento di partiti democratici portatori del messaggio etnico è senza dubbio un sintomo di radicamento della democrazia e della partecipazione alla vita politica che spaventano gli estremismi.

Non è un caso infatti che sia stato proprio l’Anp a fare le spese degli ultimi attentati. Fino ad oggi gli attacchi sono stati ricondotti a gruppi vicini al sedicente Stato islamico, che li hanno rivendicati con una e-mail. Ma non si hanno effettive certezze in tal senso.

Gli occhi di Pechino
Nell’immediato, la sensazione di terrore diffuso specialmente nelle province appena colpite dagli attentati mette in difficoltà la Cina, che ha molto investito nel progetto del China-Pakistan Economic Corridor, che investe proprio in quelle aree con ingentissime opere infrastrutturali. Pechino ha tutto da guadagnare dalla resilienza democratica del Paese che ha oggi la possibilità di porre fine agli estremismi confermando l’autorità dello Stato e delle Forze armate. E non è dubbio che seguirà le elezioni del 25 luglio da vicino.

Nonostante la fine del governo di Sharif sia stata causata da una dibattuta crisi di legittimità, il sistema partitico pakistano ha retto il momento di crisi riuscendo a traghettare il Paese sino al termine previsto della legislatura (il luglio di quest’anno appunto) con un governo appoggiato dalla maggioranza parlamentare (la Lega musulmana dell’ex-premier).

Le Forze armate del Paese (diversamente da tre precedenti occasioni nella travagliata storia del Pakistan) non hanno preso stavolta il sopravvento in un momento di crisi politica con un colpo di Stato e si sono dimostrate sinora responsabili attori del momento di transizione, nonostante il grande potere che le istituzioni statali hanno conferito ai militari per la lotta all’estremismo religioso e tribale.

Le istituzioni pakistane, quindi, resistono e hanno dato segnali di forte responsabilità sia nel travaglio politico sia nel contrasto al terrore. Le elezioni vi saranno nonostante gli attacchi e saranno una contesa leale; resta l’obbligo per le organizzazioni governative occidentali di seguirle e sostenere il Paese nel difficile momento che attraverserà nei prossimi mesi come farà l’alleato cinese.

Foto di copertina © PPI via ZUMA Wire