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La repressione della Cina

Mondiali: il calcio negato a Erfan Hezim, campione uiguro

16 Lug 2018 - Nello del Gatto - Nello del Gatto

Avrebbe voluto essere in campo in Russia per i Mondiali (anche se la sua nazionale non si è qualificata), inseguendo il sogno di tutti i calciatori del mondo. E invece a Erfan Hezim, promettente stella del calcio cinese, professionista dall’età di 15 anni, è stato impedito anche di guardare i Mondiali in televisione. Il campione diciannovenne è cinese di etnia uigura, la minoranza musulmana che vive prevalentemente in quella che solo sulla carta è la regione autonoma dello Xinjiang, nel nord ovest del Paese.

Hezim, che gioca anche nella nazionale under 21 del suo Paese, l’anno scorso ha firmato un contratto quinquennale con lo Jiangsu Suining, la squadra della Chinese Super League (la serie A cinese) di proprietà dello stesso patron dell’Inter. Lo scorso febbraio, durante la pausa del campionato, è tornato a casa nello Xinjiang per trovare i suoi genitori ed è stato arrestato, con l’accusa di aver violato la legge non scritta che impedisce agli uiguri, considerati terroristi dai cinesi, di lasciare il Paese. In effetti il giovane calciatore era stato all’estero tra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio, per giocare partite ed effettuare allenamenti in Spagna (dove aveva conosciuto Lionel Messi) e negli Emirati.

La reclusione e gli inutili appelli per la liberazione
Da allora, di Hezim, conosciuto anche con il suo nome cinese di Ye Erfan, non si hanno notizie. E’ rinchiuso in un campo di rieducazione (probabilmente a Jiaochu), uno dei tantissimi che, secondo stime, ospitano oltre 1,1 milioni di uiguri (che equivale all’11% della popolazione adulta uigura), in quella che secondo il senatore statunitense Marco Rubio e il deputato americano Chris Smith, presidente della Commissione esecutiva del Congresso Usa sulla Cina, è “la più grande incarcerazione di massa di una minoranza nel mondo di oggi”.

Alla vigilia del campionato del mondo di calcio – appena concluso – in Russia, la Fédération Internationale des Associations de Footballeurs Professionnels, l’associazione mondiale che riunisce i calciatori professionisti, ha chiesto, senza successo, il rilascio del campione cinese, mostrando sue foto con il campione argentino. Quella di Erfan Hezim è solo l’ultima storia legata alla repressione cinese nella regione musulmana.

Da quando è stato nominato a capo del partito comunista dello Xinjiang nell’agosto 2016, Chen Quanguo, come ricordano le organizzazioni che si battono per i diritti civili nella regione, ha avviato misure repressive senza precedenti contro il popolo uiguro, con continui raid e rastrellamenti.

La repressione degli uiguri: lo Xinjiang come il Tibet
Nonostante nominalmente lo Xinjiang (come d’altronde il Tibet) siano regioni autonome cinesi, questa autonomia non si basa su nessun dato fattuale. Agli uiguri, così come ai tibetani, le autorità cinesi impediscono di parlare la loro lingua madre (di origine turcofona), di studiare l’arabo e di frequentare madrasse, di portare nomi arabi o legati all’Islam, di seguire pratiche religiose, dal Ramadam all’andare in Moschea. Impossibile leggere libri o vedere video che parlano di temi islamici. Con la scusa di alleviare gli uiguri che abitano in zone povere, il governo sta anche riallocando oltre 460.000 uiguri in altre zone del paese, dopo aver spostato cinesi Han nello Xinjiang. Negli ultimi mesi, inoltre, è cominciata la costruzione di forni crematori, destinati a interrompere la tradizione islamica della sepoltura e durante la quale è consuetudine il discorso di un imam.

L’aumento delle repressioni, basate sull’assunto che gli uiguri siano secessionisti e terroristi, ha di fatto aumentato le violenze e le frizioni nell’area, portandole anche al di fuori dello Xinjiang, facendo centinaia di morti dal 2009, quando è cominciata una nuova ondata di repressione. Secondo alcuni attivisti, quasi ogni famiglia uigura è stata colpita dalla campagna governativa anti-islam, con la quale le autorità hanno confermato l’esistenza dei campi di rieducazione, senza però specificare né il loro numero né quello dei detenuti.

Cosa succeda in questi campi, non è dato saperlo. Uno studente sino-americano di legge negli Usa ha mappato con immagini satellitari alcune strutture. Secondo alcune testimonianze, i detenuti vengono obbligati, come prova del fatto che non siano più “terroristi”, a mangiare carne di maiale e a bere alcolici.

Erfan Hezim, solo l’ultima di tante storie
Quello di Erfan Hezim non è ovviamente un caso isolato, i giornali e le denunce delle organizzazioni che si battono per i diritti umani (che spesso si riferiscono allo Xinjiang parlando di vero e proprio genocidio culturale), sono pieni di casi. Tra gli ultimi quello di Ayhan Memet, morta all’età di 78 anni lo scorso 17 maggio in uno di questi campi di rieducazione. La donna era la madre di Dolkun Isa, il presidente del gruppo in esilio World Uyghur Congress (Wuc) con base a Monaco.

E’ stato proprio Dolkun ad annunciare la morte di sua madre, che non vedeva e sentiva da oltre un anno, in un campo di rieducazione, dove era stata portata solo perché madre dell’attivista. Allo stesso Dolkun era stato impedito l’accesso al Palazzo di Vetro dell’Onu per partecipare all’annuale UN Permanent Forum on Indigenous Issues lo scorso aprile, dietro richiesta della Cina che aveva addirittura chiesto all’Interpol di emettere un allarme rosso contro di lui. Le proteste del mondo degli attivisti hanno però fatto fare marcia indietro ai responsabili dell’Onu che hanno poi garantito all’attivista uiguro di entrare normalmente.