IAI
Tra umanitario e securitario

Migrazioni: gli Stati, l’Ue e i Global Compacts dell’Onu

23 Lug 2018 - Cosimo Risi, Alfredo Rizzo - Cosimo Risi, Alfredo Rizzo

Il fenomeno delle migrazioni tocca una sensibilità profonda dell’Europa: la ricerca dell’identità perduta a cospetto dei sani propositi che abbondano nel Trattato sull’Unione europea. Sul punto, l’Unione sconta la sottovalutazione politica ed il vuoto giuridico. Agli inizi il fenomeno appariva controllabile coi mezzi di bordo e con il richiamo alla vocazione umanitaria dell’Unione e dei suoi popoli. Quando i numeri divennero importanti fino al picco del 2015, la reazione fu invece sovradimensionata. Frutto della propaganda di ambienti politici interessati ad alimentare la tensione emotiva e frutto della percezione popolare di essere, i cittadini europei, in balia di fenomeni incontrollati.

In carenza di una reazione europea adeguata, la paura dell’invasione ha finito per dominare il pubblico dibattito. Su questo abbrivio contano i movimenti cosiddetti sovranisti per raggiungere la maggioranza in seno al prossimo Parlamento europeo, fino a scardinare il tradizionale duopolio popolare e socialista.

L’argomento forte del sovranismo è che le frontiere degli Stati membri costieri (Grecia, Malta, Italia, Francia, Spagna) sono le frontiere esterne dell’Unione. La loro protezione pesa in prima battuta sullo stato interessato e, in solido, sull’Unione nel suo insieme. Di qui l’appello alla solidarietà europea o, in caso di silenzio, il grido “l’Europa ci ha lasciati soli”. Segue l’imperativo ad adoperarsi da soli: stringendo intese bilaterali con i Paesi di provenienza e di transito dei flussi; dirottando i flussi verso altre destinazioni europee (il caso Aquarius); aprendo i porti nazionali in funzione della bandiera della nave soccorso (le Ong straniere respinte, le navi militari nazionali accolte giocoforza).

La mancanza di una strategia europea condivisa, pur possibile
Manca una strategia europea condivisa. Si susseguono i vertici dei Ventotto in cerca della pietra filosofale. Si moltiplicano, insieme, i richiami alla vocazione umanitaria dell’Europa e all’esigenza di tutelare, costi quel che costi, le frontiere e le identità nazionali che si temono minacciate. Un quadro disordinato dove qualsiasi iniziativa, anche la più scomposta, pare avere diritto di cittadinanza. Occorrerebbe una regia europea che non si intravede. Difficile aspettarla da una Commissione a fine mandato, difficile aspettarla da un Consiglio europeo prigioniero della regola del consenso. Le risposte nazionali sono quasi le sole ascoltate dal grande pubblico.

Una risposta comune sarebbe possibile. Una rete di accordi (partenariati) con i Paesi di origine e di transito, una programmazione dei flussi in relazione alla decrescita demografica europea, un mix di fermezza e solidarietà nell’accoglienza, una efficace politica dei rimpatri, il contrasto senza mezzi termini ai contrabbandieri di persone, regole stringenti sui soccorsi. Soprattutto vigilanza sui fatti del mondo e nel caso intervento anche militare nelle crisi che possono generare i flussi.

Il lavorio diplomatico delle Nazioni Unite
In sede multilaterale prosegue il lavorio diplomatico. Le Nazioni Unite hanno in agenda i global compacts, gli accordi globali concernenti i rifugiati e le migrazioni. Lo scopo è di trovare il punto di convergenza tra gli Stati membri su principi e obiettivi delle politiche migratorie. Poiché a New York sono rappresentati sia i Paesi di emigrazione sia quelli di immigrazione, le conclusioni dovrebbero impegnare la comunità internazionale nella sua interezza.

Il dibattito include considerazioni umanitarie, in particolare se riferite alle migrazioni provocate da situazioni di guerra e dal mancato sviluppo. A questo afferiscono le migrazioni cosiddette climatiche e la tutela dei diritti umani. La cooperazione multilaterale serve a comprendere quali siano gli stimolatori (drivers) delle migrazioni: la mancanza di opportunità di lavoro, le difficoltà del vivere in certi Paesi, gli squilibri economici, le crisi agricole e ambientali, il mancato rispetto dei diritti umani fondamentali. Emergono poi “le questioni nella questione”, che vanno dall’annoso problema della fuga da Paesi dove lo stato non tutela dalle cosiddette “sparizioni forzate” alla protezione rafforzata da riconoscere a minori e donne migranti.

Un problema da affrontare alla fonte
In questo quadro, in omaggio ai principi del multilateralismo sottesi all’azione esterna (art. 21 Tue), Commissione, Consiglio e Parlamento europei fanno riferimento all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (A/Res/70/1) e, nel 2017, adottano la dichiarazione “Nuovo consenso europeo in materia di sviluppo – il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro”. Sostengono che il tema migratorio va affrontato alla fonte: nei Paesi di provenienza dei flussi attraverso la politica di sviluppo per rimuovere i ritardi economici.

La cooperazione allo sviluppo è così intesa come strumento utile a combattere specificamente la migrazione irregolare, mentre in senso più ampio si ritiene che la migrazione vada consolidata quale aspetto fondamentale del dialogo politico esterno dell’Ue. E’ il tipico approccio democratico alle relazioni internazionali, che l’Unione persegue pur scontando il difficile rapporto con regimi che di democratico hanno assai poco. Ecco perché l’Unione cerca di ampliare il campo degli interlocutori locali: non solo i governi ma anche le società civili ed il settore privato. Tale approccio risponde peraltro alle chiare indicazioni di fonte Onu (incluso l’Alto Commissariato per i diritti umani) e Oil.

L’approccio multilaterale è umanitario, quello nazionale securitario
In ambito multilaterale dunque, l’approccio alle migrazioni è marcatamente umanitario (human rights oriented) e considera in priorità gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. I profili di sicurezza sono sostanzialmente lasciati alle valutazioni degli Stati membri.

L’Unione gode dello status di mero osservatore ai lavori dell’Onu. La dimensione esterna  delle politiche dell’immigrazione dell’Unione, con l’inserimento delle stesse nella cooperazione allo sviluppo, comporta la competenza solo parallela dell’Unione stessa, che quindi non preclude agli Stati membri di esercitare la propria.

Sul piano procedurale infine, i Global Compacts sono concepiti come un insieme di regole prive di natura giuridica vincolante. L’Unione pertanto non concluderà un vero e proprio accordo con l’Onu attraverso la procedura  ordinaria di cui all’art. 218 Tfue. La Commissione propone comunque che il Consiglio la autorizzi a rappresentare l’Unione alla conferenza finale per approvare il testo a nome dell’Unione ed a titolo di altre basi giuridiche previste dai trattati (cooperazione allo sviluppo o politiche dell’immigrazione).