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Elezioni presidenziali e politiche

Messico: López Obrador presidente, la vittoria del cambiamento

3 Lug 2018 - Nicola Bilotta - Nicola Bilotta

L’onda che ha globalmente travolto i partiti tradizionali si è infranta anche in Messico. Dopo quasi un secolo, il popolo messicano ha eletto alla presidenza del Paese un candidato non appartenente ai due partiti storicamente maggioritari. Secondo gli ultimi dati ufficiali, Andrès Manuel López Obrador ha vinto con il 53% dei voti le elezioni presidenziali, staccando gli altri candidati di quasi 30 punti percentuali. Il suo partito e i suoi alleati avrebbero anche conquistato una stretta maggioranza sia al Senato che alla Camera. Se fosse davvero fosse così, Obrador avrà una forza parlamentare, che non si vedeva da trent’anni, per governare il Messico senza dovere cercare compromessi politici con gli altri partiti.

Obrador, la discontinuità alla presidenza
La popolarità di Obrador incarna una profonda volontà di cambiamento del popolo messicano, disilluso dalle politiche degli ultimi anni. Il nuovo presidente del Messico, che assumerà l’incarico ufficialmente il 1 dicembre, ha conquistato i messicani promettendo di trasformare il Paese ribaltando le politiche di libero mercato che hanno fatto da modello per lo sviluppo economico del Messico fin dagli Anni ’80.

Obrador eredita una Paese economicamente stabile. Gli indicatori macro-economici del Messico mostrano una realtà che cresce in maniera costante, in cui il debito pubblico è relativamente basso, l’inflazione sotto controllo e il deficit fiscale sostenibile. Nonostante ciò, il Messico continua ad avere degli disequilibri socio-economici che minano lo sviluppo del Paese.

Squilibri e violenza fra le piaghe del Paese
Le riforme economiche che gli hanno permesso di crescere hanno contemporaneamente trascurato ampi strati della popolazione messicana e numerose aree del Paese, che continua ad essere ostaggio della violenza diffusa della criminalità organizzata messicana che, sfruttando povertà e ingiustizia sociale, riesce a imporsi sulle istituzioni statali. Il 2017 è stato uno degli anni con il più alto numero di omicidi dell’ultimo ventennio.

La lotta contro la povertà non ha sortito gli effetti sperati. Nel 2008 circa 50.5 milioni di messicani vivevano in condizioni di povertà, una cifra che è andata progressivamente aumentando, raggiungendo i 55.6 milioni su 127.5 milioni di abitanti nel 2016. Ed è proprio nel malcontento generalizzato contro uno status quo che ha cristallizzato le disuguaglianze che Obrador è riuscito a conquistare la sua vittoria.

Le promesse di Obrador e i dubbi sulla loro attuazione
Obrador ha concentrato la sua campagna elettorale su un piano di riforme in cui lo Stato riconquista un ruolo centrale nella politica economica del Paese sviluppando dei programmi sociali per aiutare la crescita socio-economica delle classi meno privilegiate. Tra le varie proposte, Obrador vorrebbe alzare le pensioni più basse per portarle ai livelli del salario minimo, implementare dei sussidi pubblici per aiutare la produttività dei contadini più poveri e espandere gli aiuti finanziari per gli studenti.

Per finanziare le politiche sociali promesse da Obrador, il governo dovrebbe investire annualmente circa il 2.5% del Pil del Paese. Il nuovo presidente ha però affermato che le coperture per le manovre economiche non porteranno né all’aumento delle tasse né andranno a pesare sul debito pubblico. Per sovvenzionare le riforme di inclusione sociale, Obrador cercherà di ricavare i fondi da una lotta serrata alla corruzione che, ad oggi, pesa negativamente sull’economia del Messico contraendo il Pil nazionale del 2% all’anno. La corruzione rimane una ferita aperta nel Paese, che, secondo Transparency International, sarebbe al 135.o posto su 180 nella classifica delle Nazioni più corrotte al mondo.

Per quanto virtuosa, questa strategia lascia dubbi sulla sua attuabilità. Trasformare la retorica elettorale in atti legislativi che sradichino la cultura della corruzione nel Paese, quanto meno nel breve termine, appare irrealistico così come la possibilità che tali politiche possano portare nelle casse dello stato messicano quanto sperato.

I timori dei mercati internazionali
La vittoria di Obrador è stata accolta con preoccupazione dagli investitori internazionali. Il suo approccio statalista e nazionalista viene visto come un possibile freno alla crescita e, in particolare, si teme la riduzione degli investimenti esteri. Durante la campagna elettorale, Obrador ha dichiarato di voler parzialmente ridiscutere la privatizzazione delle risorse naturali messicane, iniziando da 100 contratti di concessione petrolifera che hanno un valore stimato di circa 200 miliardi di dollari di investimenti esteri in dieci anni. Nonostante ciò, Obrador ha espresso la volontà di espandere l’industria petrolifera messicana, marginalizzando però gli investimenti privati nel settore.

Malgrado la campagna denigratoria dei suoi avversari che l’hanno attaccato etichettandolo come il nuovo Chavez, Obrador ha dimostrato già da sindaco di Mexico City un pragmatismo politico che lo avvicina più alle esperienze politiche della sinistra riformista di Lula in Brasile. Difatti, ha usato toni conciliatori e non radicali garantendo la sua volontà di mantenere l’indipendenza della Banca centrale messicana e di lasciare libera la convertibilità  del peso.

Il Nafta e i rapporti con l’America di Trump
Un ulteriore punto delicato sarà la posizione di Obrador sul North American Free Trade Agreement (Nafta), cui, teoricamente, si è detto favorevole. Ma l’incertezza si gioca sulla sua possibile relazione diplomatica con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Entrambi i presidente hanno dimostrato di avere una personalità particolarmente spigolosa che potrebbe portare ad un peggioramento dei rapporti, già ai minimi storici, tra Messico e Usa. Eppure, i margini per trovare una convergenza tra le due strategie presidenziali potrebbe esistere malgrado la loro profonda diversità.

Si è già ventilata un’ipotesi per cui il nuovo presidente messicano potrebbe essere disponibile a negoziare un maggior controllo sull’immigrazione illegale messicana verso gli Usa in cambio di investimenti americani per lo sviluppo.

Le elezioni di Obrador sono state storiche. Ora, per fare la storia, Obrador dovrà dimostrare di essere in grado di trasformare le promesse in realtà. E questa sarà la vera sfida della sua presidenza.