Macedonia (del Nord): dal nome ottimismo per l’ingresso nell’Ue
La quasi trentennale disputa tra Grecia ed ex repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom) sull’utilizzo del toponimo “Macedonia” sembra essere giunta a una soluzione, dopo che l’accordo siglato tra il premier di Skopje Zoran Zaev – che nella prima parte del suo mandato aveva deciso di accelerare sulla risoluzione delle controversie internazionali riguardanti il Paese – e il suo omologo di Atene Alexis Tsipras.
La risoluzione della disputa sul nome promette di aprire definitivamente le porte dell’Unione europea e della Nato alla Macedonia, portando a termine un lungo processo arenatosi nel 2005, quando al Paese fu attribuito lo status di Paese candidato all’adesione all’Ue.
Alle origini della disputa
Dopo la nascita della Macedonia come Paese indipendente dalle ceneri della Jugoslavia, la Grecia non riconobbe quella che secondo Atene fu una vera e propria appropriazione di quel nome, di diritto legato alla storia e alla cultura greca, paventando inoltre un pericolo irredentista verso la regione con capoluogo Salonicco. Le autorità di Skopje, invece, legittimarono l’uso del nome Macedonia, legato alla regione storica in cui il nuovo Stato sorse, modificando la bandiera e la Costituzione per favorire il dialogo con la Grecia: se la prima, infatti, rappresentava fedelmente il Sole di Verghina – simbolo trovato sugli scudi dell’esercito di Filippo II -, la seconda lasciava invece spazio ad ambigue rivendicazioni territoriali da parte di Skopje.
La Grecia, tuttavia, mai riconobbe la scelta della Macedonia di utilizzare il toponimo conteso, e solo le Nazioni Unite riuscirono a giungere a un provvisorio accordo: il nome (provvisorio) sarebbe stato ex repubblica jugoslava di Macedonia, per dare un chiaro riferimento storico al Paese.
La questione del nome venne di fatto congelata soprattutto a causa del decennale “regno” del primo ministro conservatore Nikola Gruevski, che ha usato la storia e la narrativa identitaria per consolidare il proprio controllo sul Paese, perso dopo un gigantesco scandalo di intercettazioni che nel 2016 travolse il suo partito e diede origine all’imponente “rivoluzione colorata”.
Sotto il governo conservatore, un immenso progetto architettonico – “Skopje 2014” – ha modificato completamente lo skyline della capitale, decorata con centinaia di statue volte a elogiare gli eroi nazionali ellenici. Nella piazza principale, Ploštad Makedonija, fu eretta una fontana monumentale rappresentante Alessandro Magno e numerose statue richiamanti l’epoca ellenica sono sorte in tutta l’aera circostante la piazza. Nonostante ciò, un’indagine condotta dall’Institute of Social Science and Humanities di Skopje ha mostrato come la maggioranza della popolazione non ritrovi le sue origini nell’antico Regno di Macedonia, bensì veda come suoi principali eroi nazionali i due missionari Cirillo e Metodio, patroni d’Europa, e nella storia del Novecento il momento principale della costituzione dell’identità macedone.
Lo storico accordo sulle rive del lago di Prespa
Le consultazioni tra i due esecutivi si sono riaperte nei mesi appena trascorsi e hanno cercato di trovare un toponimo che identificasse chiaramente, da un punto di vista geografico, le distinzioni tra la Macedonia e la regione settentrionale della Grecia. La quadra è stata raggiunta con la decisione di adottare il nome di Repubblica della Macedonia del Nord (Republika Severna Makedonija) ed è stato firmato dai rispettivi primi ministri e ministri degli Esteri il 17 giugno sulle rive del lago di Prespa, confine naturale tra Macedonia, Grecia e Albania.
L’accordo, già ratificato dal Parlamento di Skopje, non è stato tuttavia firmato dal presidente Gjorge Ivanov. Ciò comporta che l’intesa dovrà essere nuovamente approvata dall’assemblea; dopo questo passaggio, Ivanov – conservatore del partito di Gruevski – non potrà più rifiutarsi di firmare. Il presidente macedone sostiene infatti che l’accordo sia in violazione di alcuni articoli della Costituzione del Paese e sia lesivo della nazione macedone.
Il premier Zaev, inoltre, ha comunque deciso di sottoporre l’intesa raggiunta con Atene a un referendum, aggiungendo che un’eventuale bocciatura da parte della popolazione determinerebbe le sue dimissioni.
Un’occasione per l’Ue
Per l’Unione europea la risoluzione della disputa ha un’importanza notevole, che può così in primo luogo dimostrare efficacia nella risoluzione delle controversie nella regione.
I Balcani non rappresentano soltanto un’area instabile al confine sud-orientale dell’Europa, ma soprattutto un insieme di partner strategici in campi come le migrazioni e il terrorismo. Inoltre, la prospettiva di integrazione europea di questi Paesi li rende interlocutori privilegiati di Bruxelles.
In secondo luogo, l’Ue inizierebbe a velocizzare il processo di adesione della regione, bloccato non solo da criticità interne e dal mancato adeguamento di questi Paesi agli standard europei e internazionali. La Commissione europea, nel report sull’allargamento pubblicato nell’aprile scorso, ha raccomandato l’apertura dei negoziati per l’adesione con Albania e Macedonia. La disputa sul nome era indicato come uno dei punti chiave da risolvere. E lo scorso Consiglio europeo ha confermato – seppur rallentato di un anno – l’intenzione: i negoziati inizieranno nel giugno 2019.