Dialogo con l’Islam, tra crescita, identità, implicazioni politiche
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una sintesi, a cura dell’ambasciatore Giovan Battista Verderame, del Dialogo diplomatico “Dialogo con l’Islam e sue implicazioni politiche”, organizzato dal Circolo di Studi diplomatici con la partecipazione della professoressa Francesca Corrao, ordinaria di lingua e cultura araba presso la Luiss, dell’iman Yahia Pallavicini, presidente della Comunità religiosa islamica italiana, e del dottor Andrea Trentini della Comunità di Sant’Egidio.
Secondo una ricerca del Pew Research Center ,nel periodo 2010/2050 le popolazioni musulmane nel mondo aumenteranno a un tasso del 73%. Ciò significa che i circa 1,6 miliardi di musulmani che si contavano nel 2010 saliranno nel 2050 a 2,76 miliardi. Nello stesso periodo le popolazioni cristiane cresceranno del 35%, passando dai 2,17 miliardi del 2010 a 2,92 miliardi nel 2050. In sostanza, lo scarto esistente fra i due gruppi nel 2010 andrà progressivamente assottigliandosi, fino a quasi scomparire nel 2050.
Questa previsione contribuisce a rafforzare il senso dell’urgenza del dialogo fra queste due realtà, che già oggi rappresentano quasi quattro miliardi di individui su una popolazione mondiale di poco superiore ai sette miliardi e mezzo.
Il mutuo recupero della consapevolezza degli elementi comuni
In questa prospettiva, se è vero che l’Occidente deve recuperare la consapevolezza degli elementi che condivide con il mondo islamico e che per secoli hanno permeato le rispettive culture, è anche vero il reciproco, e cioè che il mondo islamico deve impegnarsi nella ricerca di basi solide a partire dalle quali condurre un dialogo mutuamente vantaggioso e fondato sul riconoscimento dell’altro.
In questo contesto, un grande problema che il mondo islamico si trova a dover affrontare e risolvere è quello del conflitto fra modernità e tradizione, in un approccio che vede la modernità nella nostra accezione, frutto di un percorso culturale che nell’Islam non si è sviluppato, come espressione di un Occidente laico, oppressivo e prepotente e nel laicismo e nella secolarizzazione l’incarnazione del male.
Il concetto occidentale della laicità delle strutture di governo, sia pure con declinazioni diverse da Paese a Paese, non comporta la negazione del ruolo della religione nella società: la religione che accetti le regole del gioco democratico può portare al dibattito pubblico un prezioso nutrimento morale in un ambito nel quale la misura delle scelte politiche è affidata ad un confronto libero e pluralista per la ricerca di soluzioni il più possibile condivise..
Recuperi d’identità e arroccamenti difensivi
Di fronte al recupero di identità in corso nelle variegate realtà del mondo islamico, nel cui ambito la religione diventa spesso una difesa contro la complessità e le contraddizioni del mondo globalizzato e l’islamismo politico anche un’espressione del rifiuto di una ancora percepita volontà di dominio occidentale, cresce nell’Occidente, soprattutto europeo, la tendenza ad attestarsi su una posizione di difesa, a chiudere i canali di comunicazione, a rifugiarsi nella propria identità, cristiana o laica che sia, a ripiegare gelosamente sui proprî percorsi.
Mentre sarebbe necessario, invece, recuperare comunicazione e contatti e promuovere i presupposti del dialogo, superando la tentazione di travasare in modo impositivo costumi e modelli, fermi restando i principi fondamentali di uguaglianza giuridica e dignità di tutti gli esseri umani.
La divergenza sulla universialità dei diritti è emblematica
Tra le divergenze, quella sulla universalità dei diritti è emblematica delle difficoltà esistenti. Le riserve formulate in relazione alla Dichiarazione sui Diritti Umani del 1948 dai Paesi islamici esprimono una sensibilità in tema di identità cultural-religiosa con la quale è inevitabile doversi confrontare. D’altra parte, le istanze che esprimevano le piazze delle Primavere arabe echeggiavano, come si era manifestato senza seguiti duraturi e consolidati in altre fasi della storia recente di quei Paesi, temi del liberalismo e della democrazia occidentali.
Il dialogo al quale dobbiamo rivolgerci dovrà quindi saper conciliare l’esigenza del rispetto del sentimento religioso, e della spiritualità che esso esprime, con la ricerca di basi culturali e di valori umani e civili comuni per la convivenza pacifica tra i popoli e all’interno di essi.
Questa ricerca interpella tutti gli interlocutori del dialogo affinché non cedano a tentazioni di affermazione di una supremazia culturale, ma accettino invece la regola fondamentale di ogni dialogo, e cioè sapere misurare le proprie convinzioni sul metro di quelle altrui, superando la componente totalizzante che spesso le religioni e le ideologie recano in sé.
Sulle prospettive di un dialogo veramente costruttivo gravano spesso pregiudizi e suggestioni fuorvianti, come ad esempio quella che legge nei conflitti in corso nella regione mediorientale esclusivamente l’espressione del contrasto religioso fra sciiti e sunniti, sottovalutando, e spesso ignorando, la loro natura di scontro geo-politico per la supremazia nell’area in cui l’elemento religioso, lungi dall’essere il fattore scatenante, diviene spesso pretesto e strumento. Le vicende degli ultimi anni hanno inoltre alimentato una tendenza a parlare di Islam soprattutto in relazione al terrorismo, complicando al livello delle percezioni popolari le prospettive del dialogo.
Islam e democrazia, una narrazione stereotipata
Infine, la narrazione secondo la quale il mondo islamico è incapace di produrre sistemi democratici contrasta con l’evidenza che in non pochi Paesi musulmani si è assistito e si assiste a processi favoriti anche dalla sempre più accentuata circolazione culturale.
Si pensi – a fronte dell’oscurantismo pur con tante contradizioni di molti regimi, specie nell’area del Golfo, o all’autoritarismo di altri a noi geograficamente vicini – ai limitati ma innegabili progressi in alcuni Paesi islamici, specie della sponda sud del Mediterraneo, in materia di condizione femminile o diritto di famiglia, o al pluralismo – imperfetto quanto si vuole, ma comunque operante – di sistemi, come ad esempio quello algerino, nel quale da tempo i partiti di ispirazione islamica hanno accettato il gioco elettorale o, ancora, alla monarchia “benevola” marocchina o al coraggioso percorso seguito dalla Tunisia verso il riconoscimento generalizzato della libertà di fede e di coscienze in un quadro che, pur confermando l’Islam religione di Stato, non prevede la sha’aria come base del diritto del Paese.
Da questa varietà di situazioni sembra potersi concludere che ogni popolo ha i suoi ritmi evolutivi: sta al dialogo riconoscerli e auspicabilmente accompagnarli verso traguardi di ulteriore crescita.