Blockchain: Italia in ritardo sull’algoritmo rivoluzionario
Era il 2016 quando l’Estonia annunciò l’adozione della tecnologia blockchain a livello governativo. Allora solo i pochi esperti del settore ne conoscevano l’esistenza e un Bitcoin valeva circa il 5% di quello che vale ora. Come ben noto, in ambito digitale, l’ex repubblica sovietica è uno dei Paesi leader nel mondo. Ad oggi, infatti, il governo di Tallinn ha già digitalizzato il suo intero sistema sanitario, garantito la cosiddetta cittadinanza digitale, informatizzato il 99% dei servizi pubblici – incluso quello elettorale (finora, il sistema estone di i-Voting ha fatto risparmiare 11 mila giorni lavorativi alla sua intera popolazione) –, perfezionato un sistema giudiziario online che è il secondo per celerità in Europa, e lanciato una sua criptovaluta nazionale.
Se è possibile affermare che il vero potenziale della blockchain non è ancora stato compreso da tutti, è altrettanto vero che i principali attori dello scenario geopolitico ed economico internazionale vi hanno invece intravisto una grande opportunità: se da una parte le Nazioni Unite ne promuovono la ricerca per scopi umanitari e per favorire lo sviluppo sostenibile globale, dall’altra la Cina ha creato un fondo di oltre un miliardo di dollari per startup innovative che lavorano a questa tecnologia.
Mentre i grandi colossi bancari ne stanno già finanziando lo sviluppo da tempo – avendovi tuttavia intravisto una considerevole minaccia –, l’Unione europea ha invece istituzionalizzato il proprio interesse per la blockchain al Digital Day di Bruxelles dello scorso 10 aprile, durante il quale 20 Stati membri (l’Italia non figura tra questi) hanno firmato la 2018 Declaration on European Partnership on Blockchain, sulla scia dell’istituzione di un Osservatorio europeo sulla blockchain avvenuta due mesi prima.
La transizione verso una nuova era digitale
Dopo la recente ondata speculativa che ha travolto le criptovalute, l’opinione pubblica ha inevitabilmente iniziato a porsi qualche domanda su quale fosse stato il meccanismo che nei fatti ha permesso a chiunque di creare denaro virtuale come farebbe una banca. È stato allora che ci si è resi conto che questo fenomeno delle criptovalute costituiva soltanto la punta di un iceberg chiamato blockchain.
La blockchain non è altro che un registro contenente transazioni. Queste transazioni possono essere qualsiasi movimento di denaro, beni o dati protetti: per esempio un acquisto in un supermercato o l’assegnazione di un numero ID di governo. Le transazioni sono automaticamente raccolte in blocchi, a loro volta interdipendenti tra loro (da qui il nome catena di blocchi).
La peculiarità di questa tecnologia è che, a differenza dei sistemi informatici tradizionali, essa è completamente decentralizzata. Questo significa che le transazioni effettuate vengono registrate simultaneamente da tutti gli utenti della catena, cristallizzandone per sempre il contenuto. L’intera rete certifica in modo continuo – e con un maestoso plebiscito digitale – l’autenticità di ognuna delle transazioni effettuate. Ciò, senza necessità di alcun intermediario, garantisce la massima trasparenza ed affidabilità delle informazioni.
Già in un report del 2015 il World Economic Forum stimò che, entro il 2027, il 10% del Pil mondiale sarebbe stato rappresentato da asset digitali in blockchain. Sebbene questa tecnologia si sia inizialmente espressa in termini finanziari e commerciali, essa promette ora di espandersi rapidamente agli ambiti più disparati.
Contrasto alle fake news e prospettive elettorali
La tecnologia blockchain, per esempio, potrebbe contribuire considerevolmente a combattere il fenomeno delle fake news. La verifica della reputazione di utenti attraverso una certificazione della loro identità digitale basata su un algoritmo blockchain, per esempio, appare come un’efficace soluzione all’attualissima questione della post-verità.
Ed è proprio su questo aspetto che tale nuova tecnologia può offrire le maggiori opportunità. La creazione di un’identità digitale certificata prospetta, per esempio, una rivoluzione per quanto riguarda l’accesso ai servizi delle pubbliche amministrazioni, eliminando le frodi e ottimizzandone le procedure. Un protocollo basato sulla blockchain poi, potrebbe garantire trasparenza e sicurezza nelle transazioni bancarie, ma anche sostituire atti notarili o tutelare l’utilizzo illegale del diritto d’autore, grazie a quelli che vengono definiti smart contracts.
D’altro canto, la tecnologia blockchain è anche in grado di tutelare la privacy delle proprie transazioni; caratteristica più che interessante, se vista dalla prospettiva di una ricerca scientifica che progredisce a rilento a causa di una scarsa propensione a condividere i dati da parte dei vari enti che li detengono. I dati sensibili condivisi potrebbero – ipoteticamente – essere raccolti in un database decentralizzato che li protegga da qualsiasi potenziale violazione ma che ne permetta l’utilizzo ai fini di ricerca scientifica. Ovviamente, lo stesso potrebbe essere fatto con ogni tipo di dato, creando un’alternativa sicura ai ben noti colossi che detengono i big data.
L’utilizzo della blockchain offre anche interessanti prospettive per la tutela del consumatore e della qualità dei prodotti. Ricevendo una marcatura digitale – il cosiddetto timestamp – per ogni fase di produzione, un qualsiasi prodotto sarebbe in grado di giungere al consumatore finale con tutte le informazioni relative alla sua lavorazione. Qui si noti che – in particolare nel settore agroalimentare – questa costituirebbe un’enorme opportunità per tutelare e rilanciare il made in Italy.
L’innovazione di questa tecnologia si estende fino alla stessa vita del processo democratico: lo scorso 7 marzo, per esempio, la fondazione svizzera Agora ha messo a disposizione un sistema elettorale basato sulla blockchain che è stato utilizzato per le elezioni legislative in Sierra Leone. Il team di Agora ha già annunciato l’introduzione di sistemi biometrici e soluzioni crittografiche per automatizzare l’intero processo elettorale. Nel considerare il possibile avvento del voto digitale nei decenni a venire, l’opzione blockchain si sta candidando indubbiamente come una delle più trasparenti e sicure.
Ma l’Italia arranca
Nonostante le sperimentazioni avviate nel 2017 siano cresciute del 73% – secondo i dati dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano –, l’Italia, ad oggi, risulta la grande assente. Dei 172 progetti avviati, più della metà viene ricondotto al settore finanziario(59%), mentre gli altri progetti riguardano l’attività di governo (il 9%), logistica (7,2%), utility (3,9%), agroalimentare (3%), assicurazioni (2,7%), fino al settore sanitario(2,4%), al trasporto aereo (2,4%), ai media (1,8%) e alle telecomunicazioni (1,2%).
A livello istituzionale, solo alcune timidissime parole sono state finora pronunciate al riguardo, sebbene la blockchain sia stata espressamente menzionata nel contratto di governo espressione della maggioranza parlamentare della XVIII legislatura tra Movimento Cinque Stelle e Lega. Parrebbe che, in questa nuova corsa all’oro digitale, l’Europa non sia disposta ad aspettare l’Italia, che risulta ancora troppo impreparata e disorientata.