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Tra Brexit e allargamento

Balcani: Vertice di Londra e paradosso britannico

11 Lug 2018 - Eleonora Poli - Eleonora Poli

Oltre allo stress dell’Inghilterra in semi-finale ai mondiali di calcio e alle ennesime dimissioni di ministri dal Governo in carica, in questi giorni la Gran Bretagna ha dovuto anche gestire il V Summit sui Balcani Occidentali nell’ambito del Processo di Berlino. Il Summit ha visto incontrarsi a Londra i ministri degli Esteri dei sei Paesi dei Balcani occidentali (Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Bosnia e  Macedonia), insieme ai loro omologhi del Regno Unito e di Francia, Germania, Austria, Italia, Grecia, Slovenia, Croazia, Bulgaria e Polonia (che ospiterà il prossimo Summit, nel 2019).

Di fatto, quando nel luglio 2017, durante il Summit di Trieste, l’allora ancora ministro Boris Johnson aveva annunciato, che nel 2018 il Processo di Berlino sarebbe stato ospitato a Londra, tutti avevano pensato ad uno scherzo, l’effetto di un “senso dello humor tutto british”. Nato nel 2014 su spinta tedesca, il Processo di Berlino è un’iniziativa di stampo intergovernativo che ambisce a rivitalizzare il dibattito europeo sull’allargamento dell’Ue verso i Balcani occidentali.

Il Processo, con i suoi Summit, non si sostituisce all’iter formale di accesso all’Ue che è rimasto appannaggio della Commissione e dei Governi di tutti i Paesi membri, ma punta a rilanciare il dialogo tra le parti e a promuovere canali di sviluppo economico, sociale e istituzionale che facilitino l’adesione ai Paesi della regione.

Il Paese della Brexit improbabile paladino dell’ampliamento balcanico
Parlare di allargamento in un Paese che ha avviato la propria uscita dall’Ue sembra veramente paradossale, se non di cattivo gusto. Se fosse avvenuta prima del referendum sulla Brexit, la presidenza di turno del Processo di Berlino sarebbe stata in linea con la politica estera britannica degli ultimi 40 anni. Da quando è diventato membro dell’allora Comunità europea nel 1973, il Regno Unito si è infatti fortemente impegnato ad ampliare i confini geografici dell’Unione a discapito di una coesione politica ed istituzionale più stringente, con l’intento di indebolire, allo stesso tempo, la sfera d’influenza russa sull’Europa dell’Est. Se i fili conduttori della politica britannica verso l’Ue e l’Europa orientale non sono cambiati, la Gran Bretagna non può, però, e per ragioni evidenti, essere una credibile paladina dell’allargamento.

E’ dunque lecito chiedersi cosa abbia spinto il Regno Unito a proporsi come leader del Processo di Berlino, in un momento in cui il Paese sembra avere molte altre priorità. Dal punto di vista politico, il Summit sui Balcani poteva essere un’occasione per dimostrare che, se il Paese sta lasciando l’Unione, non ha in alcun modo intenzione di giocare un ruolo secondario sia nel Vecchio Continente che sulla scena internazionale. Anzi è deciso a rafforzare le proprie relazioni bilaterali e a sviluppare un chiaro impegno politico nella difesa e sicurezza dell’arena globale.

Per questo motivo, durante il Summit, il governo britannico ha dichiarato che aumenterà il budget del Fondo Conflict, Security and Stability ad 80 milioni di sterline per promuove la sicurezza nella regione e che manterrà per un altro anno la Pan-Balkans Strategic Reserve Force (Srf) che permetterebbe ai britannici di poter intervenire più agilmente nel caso di situazioni di crisi. Si prevedono inoltre investimenti di un milione di sterline nei settore della cyber security, un maggiore scambio di informazioni tra autorità nazionali e il lancio del Balkans Organised Crime Observatory, in cooperazione con Austria e Norvegia, per contrastare il crimine organizzato.

Obiettivo, rilancio relazioni economiche
La Gran Bretagna non ha inoltre fatto mistero di volere rilanciare i propri rapporti economici con la regione. Sebbene gli scambi commerciali siano abbastanza bassi, un’area di interesse per i britannici è sicuramente quella dei servizi finanziari e commerciali del mercato digitale.  In questo frangente si colloca l’iniziativa britannica di destinare 10 milioni di sterline da spendere in iniziative rivolte ai giovani, per aumentare le loro competenze digitali e combattere quindi la disoccupazione nella regione, che provoca preoccupazioni nei cittadini britannici. Molti disoccupati dei Balcani tentano di emigrare nel Regno Unito per avere accesso ad un mercato del lavoro più meritocratico, meglio retribuito e più ampio.

Dunque, al di là del processo di adesione dei Balcani occidentali all’Ue, che ovviamente non è stato menzionato durante il Summit, le iniziative proposte dal governo britannico sono sicuramente importanti. Potrebbero contribuire al miglioramento sia delle relazioni bilaterali sia delle performance economiche.

Londra coinvolge i partner nel suo fallimento
E’ tuttavia innegabile che la visibilità mediatica del Summit, così come la sua efficacia, è stata fortemente diminuita dalla Brexit. La questione della fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Unione e la spaccatura appena verificatasi nel governo tra Hard Brexiters e Soft Brexiters hanno impedito al Regno Unito di porsi nuovamente come leader dell’allargamento. Il caos mediatico che questi due fattori hanno scatenato hanno rischiato di far saltare il Summit stesso, con il ministro degli Esteri Johnson dimessosi a poche ore dall’inizio mettendo a repentaglio la riuscita dell’evento ma anche relegandolo mediaticamente in secondo piano.

Di fatto questa è già una sconfitta, non tanto per i Paesi dei Balcani occidentali, il cui destino europeo è già stato tratteggiato dalla nuova strategia sull’allargamento pubblicata dalla Commissione nel febbraio 2018. E’ soprattutto un fallimento dei Paesi membri, Gran Bretagna compresa. Già il Summit di Parigi del 2016 era stato oscurato dai risultati del referendum sulla Brexit e la Brexit ancora una volta ha screditato l’incontro di Londra. Inoltre, se il Summit del Processo di Berlino sui Balcani Occidentali non ha dato prova di una rinnovata abilità o peso del Regno Unito nello scacchiere globale, esso ha messo in evidenza quanto la Brexit renderà difficile per Londra mantenere la stabilità politica necessaria per giocare un ruolo di peso nell’arena globale.