Ue: Consiglio europeo, spiragli di adesione per i Balcani
Il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno sarà cruciale per il futuro europeo dei Balcani occidentali. All’ordine del giorno del Vertice di Bruxelles c’è infatti un dibattito sull’allargamento dell’Ue per la prima volta dal 2014. Il rischio è, però, che le questioni migratorie che hanno ultimamente “preso in ostaggio” il governo tedesco e diviso ormai in maniera visibile l’Unione distolgano l’attenzione politica dalla questione dell’allargamento.
Questa sarebbe veramente una sciagura. Negli ultimi anni l’Ue non ha assunto alcun serio impegno politico e strategico nei confronti dei Balcani occidentali, mantenendo essenzialmente il processo di allargamento a livello tecnico. Il coinvolgimento dei Balcani occidentali nelle discussioni dell’Ue negli ultimi anni si è concentrato principalmente su due settori: antiterrorismo e dimensioni esterne della migrazione.
Orizzonte 2019
Considerate le radicate divisioni politiche ed etniche della regione, lasciare i Balcani al di fuori delle strutture euro-atlantiche potrebbe rappresentare una vera minaccia per la sicurezza europea.
Le vecchie inimicizie etniche – ma anche le sfide di una transizione ormai senza fine – insieme alle nuove preoccupanti tendenze di un declino democratico, al pari delle accresciute influenze esterne nella regione, potrebbero sfortunatamente costituire una ricetta perfetta per un rinnovo dei conflitti nei Balcani.
Questo “vuoto di potere” creato dall’assenza di un chiaro impegno politico dell’Occidente nei confronti della regione ha portato a una sorta di stallo nelle riforme delle strutture nazionali, e anche fatto fare passi indietro in Paesi delle regione. Questo, a sua volta, ha ampliato ulteriormente il divario istituzionale ed economico con i Paesi dell’Europa occidentale.
Nel corso del Vertice di giugno, due Paesi – l’Albania e l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (che dopo l’intesa con la Grecia che ha risolto una disputa durata 25 anni, e al termine delle procedure interne ai due Paesi, si chiamerà Repubblica della Macedonia del Nord) – dovrebbero ricevere disco verde all’apertura dei negoziati con l’Unione europea, dopo le raccomandazioni positive della Commissione nelle sue relazioni sullo stato di avanzamento dei Paesi candidati all’adesione dello scorso aprile.
Le ultime dichiarazioni provenienti da Bruxelles, che parlano di un impegno ad aprire i negoziati nel giugno 2019 – condizionati alla realizzazione di serie riforme a Tirana e Skopje -, manda dei messaggi misti a questi due Paesi.
Da un lato è un segnale di ottimismo per il futuro europeo dei Balcani occidentali. D’altra parte, in un anno tante nuove sfide potrebbero presentarsi, non soltanto nei Balcani, ma principalmente all’interno dell’Ue, che nel marzo prossimo vedrà l’ufficiale addio della Gran Bretagna. Esiste anche il timore che un il nuovo parlamento europeo nel 2019 potrebbe vedere la questione d’allargamento europeo da un diversa prospettiva.
Un messaggio politico non rinviabile
Le raccomandazioni positive riflettono che ci sono stati dei progressi compiuti nella regione, ma la necessità di proseguire con le riforme è più forte che mai. Per l’Albania, l’apertura dei negoziati, dopo alcuni nella sala d’attesa dell’Ue, invierà il messaggio giusto per continuare con le necessarie riforme istituzionali. Aiuterà anche a calmare il tossico clima politico, una caratteristica della politica albanese dall’inizio della transizione.
Per l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, subito dopo lo storico accordo con la Grecia che pone fine alla disputa sulla questione del nome del Paese, il sostegno dell’Ue sarebbe una “luce verde” nel processo di integrazione, oggi più necessari che mai. Viste le società sempre più polarizzate e pessimiste, se la gente sente di non ricevere nulla in cambio dall’Occidente per i sacrifici fatti, ci sarebbe un palpabile rischio di fallimento dell’accordo con Atene. Questo sarebbe fatale non soltanto per la Macedonia, ma tutti i Balcani.
Per essere chiari: aprire i negoziati con l’Ue non significa fissare una data obiettivo per l’adesione, ma invierebbe un messaggio politico molto importante alla regione.
Ciò è tanto più importante in questo momento, in quanto sembra essersi aperta una finestra di opportunità per la regione dopo la pubblicazione della nuova strategia della Commissione europea per “Una prospettiva credibile di allargamento per i Balcani occidentali”, il documento più ottimista dai tempi del Vertice europeo di Salonicco del 2003. Ma, contro ogni aspettativa, il Vertice Ue-Balcani occidentali di Sofia, durante la presidenza bulgara del Consiglio dell’Unione, non è stato per niente una “Salonicco II”.
Senz’altro, tutti i paesi dei Balcani occidentali hanno tanti problemi da risolvere. Tuttavia, mantenere la prospettiva di un futuro europeo nella regione è fondamentale. Nuovi attori globali come Russia, Turchia e Cina, stanno lavorando sodo per colmare le lacune lasciate dall’Occidente nella regione sud-est europea, approfittando delle carenze istituzionali in questi Paesi.
Le preoccupazioni Ue
Alcuni Paesi dell’Ue hanno comprensibilmente espresso preoccupazioni per quanto riguarda gli alti livelli di corruzione e criminalità organizzata nei Balcani, nonché i continui flussi migratori che passano per la regione. L’apertura dei negoziati con l’Unione non implicherebbe una diminuzione delle norme e degli standard, ma sarebbe un forte segnale di solidarietà con la regione, e rafforzerebbe le speranze dei riformatori.
Solo il processo di integrazione con l’Ue manterrà i Balcani occidentali sulla giusta strada, affrontando seriamente questioni di trasparenza, stato di diritto e responsabilità. Il pericolo, semmai, è che la mancanza di impegno politico dell’Ue venga usata impropriamente da alcuni leader dei Balcani occidentali come giustificazione per non far avanzare le riforme.
Il Vertice del 28 e 29 giugno potrebbe dunque essere un “make-or-break deal” per il futuro europeo dei Balcani occidentali. Ed sarà anche una cartina al tornasole per lo stato di salute per l’Ue.
Con livelli di reddito regionali di 5.000 dollari, -pari a solo il 13% dei redditi medi dei paesi dell’Ue -, le prospettive di una rapida convergenza con l’Occidente sono molto pessimistiche. In questa situazione, la maggioranza dei cittadini sta pensando di lasciare il proprio Paese per una vita migliore nell’Europa occidentale. E la persistente fuga dei cervelli potrebbe presto diventare una nuova sfida per i Balcani occidentali. È tempo per l’Ue di agire.