IAI
Un bilancio delle Amministrative

Tunisia: elezioni; comuni, vincono astensionismo e indipendenti

19 Giu 2018 - Giulia Cimini - Giulia Cimini

L’Alta Istanza indipendente per le Elezioni (Isie) ha finalmente confermato, a metà giugno, i risultati delle elezioni amministrative svoltesi in Tunisia il 6 maggio, dopo il rigetto dei ricorsi presentati per 28 municipalità (su 350). Come previsto, l’astensionismo ha caratterizzato questo primo appuntamento elettorale per i comuni dopo le rivolte del 2011. Il tasso di partecipazione finale, infatti, si è attestato al 35,6%, dato che corrisponde a poco più di 1,9 milioni di votanti recatisi alle urne (su circa 8 milioni aventi diritto, di cui, tuttavia, solo 5,3 milioni si erano registrati, con un calo della componente ‘giovani’). Sul piano dei rapporti di forza politica, le elezioni hanno evidenziato la sconfitta di Nidaa Tounes (il partito vincitore del 2014), un ulteriore indebolimento di Ennahda, l’incapacità della sinistra o di altre formazioni di offrire una credibile alternativa al duopolio attuale e, di contro, il successo degli indipendenti.

Partiti tradizionali e liste indipendenti: crisi e ascesa?
Sebbene lo svolgimento delle elezioni sia stato giudicato nel complesso credibile e trasparente, non sono mancate segnalazioni per carenze organizzative – aperture in ritardo di alcuni seggi, errori nelle schede e nei registri elettorali, ritardi nella concessione degli accreditamenti agli osservatori – nonché ricorsi presentati da partiti e indipendenti. Tutti rigettati, come ha annunciato Mohamed Tlili Mansri, alla presidenza dell’Isie dal novembre 2017 dopo lo stallo a seguito delle dimissioni dell’ex presidente Chafik Sarsar e di gran parte dell’équipe dell’Istanza.

Grandi vincitrici di questo appuntamento elettorale sono state le liste indipendenti, che conquistano 2373 seggi (su 7212), corrispondenti a poco più del 32% dei voti espressi, risultato che ne fa, virtualmente, la prima forza nel panorama politico del Paese. Tuttavia, per quanto le liste indipendenti abbiano saputo cavalcare l’onda del malcontento nei confronti dei tradizionali partiti politici, diversi aspetti vanno considerati.

Il fenomeno degli indipendenti
Pur trattandosi di un fenomeno in crescita dal 2011, tale nebulosa di liste indipendenti non lascia presagire l’emergere di alcuna forza politica nuova e compatta a livello nazionale che sia capace di sfidare i grandi partiti in occasione delle legislative del 2019. In molti casi costruite attorno a singole personalità note solo localmente, queste liste hanno basato la campagna elettorale su una presunta natura ‘non politica’, ma semplicemente amministrativa, dei loro progetti, con generici programmi (non diversamente dai partiti) volti al miglioramento delle infrastrutture, allo smaltimento dei rifiuti, a riforme agrarie e lotta alla corruzione.

Inoltre, l’ ‘indipendenza’ di queste liste va in molti casi problematizzata e ridimensionata. Accanto a liste genuinamente indipendenti, vi sono anche, per quanto difficile a dirsi con matematica certezza, satelliti dei principali partiti che, sganciandosi formalmente da quelle etichette, hanno voluto catturare altri segmenti di elettorato e approfittare della delusione verso i partiti tradizionali: liste nate attorno a dissidenti e fuoriusciti dai partiti (soprattutto Nidaa), ma che potrebbero nuovamente tornare nella loro orbita. Da ultimo, quello degli ‘indipendenti’ è un fenomeno che ha riguardato anche le liste di partito, molte delle quali hanno vantato nelle loro fila candidati ‘esterni’: scelta di apertura e rinnovamento, ma che può essere interpretata anche come un tentativo di aggirare, in qualche misura, la sfiducia e diffidenza popolare verso le attuali élites al potere.

Le difficoltà dei partiti
Con il 28,6% dei voti e 2139 seggi ottenuti, Ennahda ha resistito meglio del suo principale concorrente (nonché partner al governo) alla sanzione dell’elettorato, dimostrando, ancora una volta, una grande capacità di attrazione sull’intero territorio nazionale, con buoni risultati anche nella fascia costiera dove è tradizionalmente sfavorito. E nonostante la crescente perdita di voti dal 2011 a oggi, torna ad imporsi come il primo partito tunisino.

Senza dubbio, hanno attirato l’attenzione mediatica candidature come quella a sindaco di Tunisi di Souad Abderrahim, donna in carriera, profilo ‘moderno’ e formalmente indipendente dal partito (di cui non è tesserata, ma con cui ha legami fin dai tempi della sua militanza nel sindacato islamista studentesco, già deputata dell’Assemblea Costituente per Ennahda nel 2011, e che pure aveva fatto discutere per le sue dichiarazioni contro i diritti delle madri single) o la presenza di Simon Slama, ebreo, nella lista a Monastir.

La scelta consistente di cosiddetti ‘indipendenti’ – al di là di specifici casi più ‘eclatanti’ – confermerebbe la recente linea adottata dal partito a riprova, secondo vari esponenti, della sua natura aperta e mutevole e del percorso di ‘naturalizzazione’ intrapreso negli ultimi anni. Tale approccio viene invece interpretato dai suoi detrattori come mera propaganda, soprattutto se confrontato con la decisione di oltre un centinaio di imam di candidarsi (prevalentemente) nelle liste di Ennahda, contravvenendo all’idea della separazione tra sfera politica e religiosa operata dal partito stesso nel suo ultimo congresso a maggio 2016. In ogni caso, la diversificazione nella scelta dei profili dei candidati segnala lo sforzo del partito di allargare la sua tradizionale base elettorale, spostandosi sempre più verso posizioni centriste e un elettore ‘mediano’.

Dall’altra parte, Nidaa Tounes, il partito fondato dall’attuale presidente della Repubblica, Beji Caid Essebsi, con il 20,85% dei voti e 1600 seggi, perde quasi un milione di preferenze rispetto al 2014, quando si era affermato come principale partito con oltre il 37%. Nonostante sia stata l’unica, assieme ad Ennahda, a proporre liste in ogni circoscrizioni del Paese (non tutte sono state però validate), la formazione nazionalista che si presenta come erede del progetto di Habib Bourghiba, paga sicuramente lo scotto di una lunga crisi che l’ha condotta alla scissione, frutto di rivalità interne e di contestazione della sua leadership, infine affidata al figlio di Essebsi. Senza dubbio, Nidaa Tounes sconta anche – e più di Ennahda al momento – l’ambiguità della sua identità, sin da principio molto ibrida: creato per controbilanciare l’ascesa degli Islamisti, è con loro nella coalizione di governo; e, nonostante la pretesa di rappresentare il polo ‘modernista’, si rivela piuttosto ostaggio del dualismo modernità/tradizione, mentre cresce al suo interno il peso di figure del vecchio regime.

Li rincorrono, a grande distanza, Courant Démocrate, partito social-democratico nato nel 2013, e la coalizione di estrema sinistra del Front Populaire, rispettivamente con il 4,19% e il 3,85% dei voti, seguiti da altri partiti, coalizioni e liste che non superano il 2% su base nazionale, emblema di un’opposizione alternativa, di sinistra ma non solo, che fatica a strutturarsi nel Paese ed a ottenere consensi di massa, al di là di ristretti circoli borghesi ed intellettuali o ad altre specifiche nicchie elettorali micro-localizzate.

La sfida dei consigli municipali e la decentralizzazione
L’assenza, per lo più generalizzata, di maggioranze assolute nelle varie municipalités, dovuta anzitutto alla natura fortemente proporzionale del sistema elettorale, obbliga le liste a negoziare alleanze in seno ai consigli municipali. La legge (da ultimo, la n° 2017-7 del 14 febbraio 2017) prevede, infatti, che la ripartizione dei seggi tra le liste che abbiano superato lo sbarramento del 3% avvenga secondo il metodo dei più alti resti. Tramite scrutinio segreto, i consiglieri scelgono poi il presidente del consiglio municipale, alla cui carica concorrono i capilista eletti. In caso di non raggiungimento della maggioranza assoluta dei voti al primo turno, si procede al ballottaggio tra i due candidati più votati e ne risulta eletto colui che ottiene il maggior numero di preferenze.

Tuttavia, la vera scommessa delle ‘rinnovate’ municipalità, non riguarda tanto le alleanze, piuttosto prevedibili, in sede di gestione futura del consiglio e, in primo luogo, di scelta dei sindaci, quanto l’effettiva capacità dei rappresentanti locali di apportare miglioramenti tangibili alla vita quotidiana di un pubblico sempre più disilluso e al contempo esigente, attraverso  strumenti, modalità e risorse previste dal Codice delle collettività locali, adottato in extremis lo scorso 26 aprile ma che non risolve, di per sé, considerevoli ambiguità e problematiche. Un percorso, quello della decentralizzazione e della costruzione di un efficiente ed efficace apparato istituzionale locale nuovo, che si preannuncia alquanto in salita.