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Transizione verso nuove elezioni

Thailandia: la fatica del ritorno alla democrazia

16 Giu 2018 - Francesco Valacchi - Francesco Valacchi

Le proteste di fine maggio a Bangkok, quelle di appena un mese prima a Chiang Mai e l’immediata reazione delle forze armate del Paese dall’altra trasmettono la sensazione di un futuro di instabilità, almeno dal punto di vista politico, per la Thailandia. Il Paese è governato da un esecutivo militare a seguito del colpo di Stato del 2014, che con buona probabilità dovrà presto lasciare il passo ad un compiuto processo di democratizzazione. Già nel 2017, il generale Prayuth Chan-ocha, primo ministro in carica a seguito del golpe, aveva dichiarato che sarebbero state presto tenute delle elezioni democratiche.

Dal 2014 ad oggi, gli effetti della politica autoritaria e forzatamente stabile di Bangkok non sono andati sempre a braccetto con i risultati economici. L’economia thailandese, infatti, non ha ottenuto risultati eccellenti ed è rimasta legata ad un andamento balbettante almeno sino al 2017.

L’anno scorso, però, la crescita del Pil ha raggiunto risultati che non si toccavano dal 2012. Dopo una prima fase di stallo, dovuta con ogni probabilità alle misure eccessivamente autoritarie del governo tese a ristabilire adeguate condizioni di sicurezza, l’economia ha approfittato di alcune riforme di tendenza liberale dei militari per riprendersi con apprezzabile decisione. La ripresa del 2017 potrebbe essere senz’altro frutto delle riforme economiche del 2015, concepite per attrarre investimenti esteri sotto l’egida del Thailand’s Board of Investment.

Tra Washington e Pechino
La politica di ricerca di investimenti diretti esteri (Ide) promossa dalla giunta militare ha attirato, fra gli altri, la Cina, che si profila come partner di peso nel futuro di Bangkok. La Thailandia vanta inoltre un’amicizia pluridecennale con gli Stati Uniti e l’Occidente in generale. Il governo di Washington reputa l’amicizia di alto valore, in funzione degli interessi militari sul territorio (al culmine della loro importanza negli anni della guerra in Vietnam) e degli scambi commerciali.

Le attenzioni di Pechino, iniziate nell’era Hu Jintao si sono concretizzate ancor di più con la guida di Xi Jinping. La Cina è interessata alla possibilità di investimenti redditizi e all’importante posizione geografica del Paese (la Thailandia si trova infatti, come il Myanmar, all’imbocco dello stretto di Malacca, punto di passaggio One Belt One Road Initiative, la nuova Via della Seta cinese) e le mosse di politica estera ed economica hanno portato alcuni analisti (come Benjamin Zawacki, autore della monografia Thailand: Shifting Ground Between the US and a Rising China) a sostenere un cambio di asse nell’assetto delle alleanze thailandesi. Bangkok si troverebbe quindi ad oscillare decisamente verso un’affiliazione a Pechino.

La Cina, con la definizione del suo modello di sviluppo economico che si impone a partire da una gestione autoritaria del potere, caratteristica fondante del cosiddetto “Sogno cinese”, non si lascerà certo sfuggire l’occasione di sostenere il governo militare e la democratizzazione “in stile thailandese”, così come definita dal premier Prayuth Chan-ocha.

In attesa di nuove elezioni
Il fatto che le problematiche di sicurezza nel sud del Paese siano state arginate (anche se si è lungi da una soluzione) e che l’economia abbia imboccato la strada della ripresa dovrebbero condurre il governo militare a concedere regolari elezioni nei primi mesi del 2019. Almeno questo viene sostenuto da più voci, sia negli ambienti accademici sia fra gli addetti ai lavori. Nonostante le dichiarazioni del governo e gli appelli di certi analisti ed accademici, le disposizioni ufficiali riguardo alla tornata elettorale rimangono ancora incerte e nebulose. Proprio questa situazione è stata una delle cause dei disordini e delle proteste registratisi nelle scorse settimane.

Se da una parte è chiaro che i tentennamenti del governo militare sono causati dalla volontà di attendere il momento più opportuno per ottenere i risultati migliori per la lista legata al governo uscente, dall’altra sarà dirimente capire se l’eventuale guida subentrante avrà le capacità di incarnarsi efficientemente nella dirigenza di Bangkok.

La democratizzazione (e lo dimostrano altri casi di paesi dell’Asean, primo fra tutti il Myanmar) è un processo anziché un singolo evento, e per progredire necessita di fattori essenziali, come una élite capace oltre che interessata a percorrere la strada della trasformazione, una convinzione popolare che possa legare gran parte della popolazione e proiettarla nella volontà di cambiamento ed una dimensione sociale pronta a recepire il nuovo regime. I sommovimenti popolari thailandesi sono forse il termometro della volontà popolare, ma resta da capire se le élites che dovranno subentrare al potere militare sono preparate al compito da espletare.

La difficile gestazione di una classe dirigente alternativa
Le manifestazioni di piazza sono espressione di eterogenei gruppi di attivisti – nel caso migliore di estrazione populista -; le voci di intellettuali e accademici che chiamano alla democrazia restano isolate, e nel frattempo la giunta militare ha avuto modo di rimandare più e più volte il ritorno alle urne.

Se è vero che il colpo di stato del 2014 fu un attacco diretto al precedente premier thailandese Yingluck Shinawatra e ad un sistema politico non basato su un effettivo bilanciamento democratico ma su un sistema di notabili membri di una vera e propria oligarchia, è anche chiaro che in questi anni non si è formata, se non in chiave embrionale, una classe politica che abbia saputo coniugare una formazione ideologica ad una preparazione al governo.

Corollario di ciò è che non esiste un sistema partitico o di movimenti che possano imporsi in maniera efficace e fare da contraltare alla struttura militare in maniera bilanciata. In ultima analisi il processo di democratizzazione, seppur innescatosi, sembra essere ancora diretto saldamente dai governanti militari e l’ambiente delle future elezioni sarà molto probabilmente da loro influenzato.

Foto di copertina © Chaiwat Subprasom/Pacific Press via ZUMA Wire