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Madrid / Barcellona

Spagna: Sánchez, incognite d’un governo senza maggioranza

6 Giu 2018 - Elena Marisol Brandolini - Elena Marisol Brandolini

In appena una settimana, il quadro politico spagnolo è cambiato radicalmente. Mentre si vanno riempiendo le ultime caselle del governo Sánchez, Mariano Rajoy dichiara la sua definitiva uscita di scena dimettendosi da presidente del Pp. In Catalogna il nuovo governo Torra si insedia nelle consiglierie della Generalitat, finalmente libere dal giogo del 155.

Il contesto del successo della mozione di sfiducia di Sánchez
Apparentemente tutto è avvenuto per effetto della sentenza sul caso Gürtel che ha confermato il coinvolgimento del Partido popular nella trama di corruzione più emblematica della storia della democrazia spagnola. Certamente quella sentenza ha obbligato tutti gli altri partiti a uno scatto di dignità, ma le ragioni del successo della mozione di sfiducia presentata da Sanchez non si fermano qui.

Da alcune settimane, i sondaggi pronosticavano una irresistibile ascesa di Ciudadanos cresciuta sull’anti-catalanismo viscerale, addirittura con un’inversione di gradimento elettorale a suo favore rispetto al Pp, a conferma della scommessa ormai compiuta dai poteri forti sulla formazione arancione. Secondo questi sondaggi, i socialisti si battevano con i popolari per il terzo posto nello scacchiere politico, in una complessiva retrocessione del tradizionale bipartitismo.

Il Partido Nacionalista Basco temeva l’auge del partito di Rivera da sempre ostile al patto fiscale vigente in Euskadi. Anche per questo ha aggiunto il suo voto a quello di Ciudadanos per approvare la legge di bilancio per il 2018 presentata dal Pp, malgrado l’opposizione del resto delle forze politiche che non vi leggevano alcuna risposta alle rivendicazioni sociali dell’ultimo periodo. In Catalogna, non si riusciva a far partire il nuovo governo e perciò a liberarsi dal commissariamento sulle istituzioni catalane, perché l’Esecutivo Rajoy si rifiutava di pubblicare in gazzetta ufficiale i nominativi indicati dal president, per la presenza tra questi di due consiglieri in prigione e due in esilio.

Le tre mosse vincenti socialiste e gli errori del Pp
Motivi per liberarsi del Pp di Rajoy, oltre una questione di igiene democratica, senza precipitare in nuove elezioni, ce n’erano dunque per tutti ed è stato ciò che ha reso possibile la confluenza di istanze politiche così differenti sulla mozione di sfiducia socialista. Le mosse vincenti sono state tre: la proposta di Sánchez per una mozione aperta al voto di tutti i gruppi parlamentari, facendo cadere il cordone sanitario apposto attorno agli indipendentisti catalani; la decisione degli indipendentisti e nazionalisti catalani e baschi di votare alla stessa maniera; la ‘minaccia’ del leader di Podemos Iglesias di presentare una mozione per convocare subito le elezioni se fosse fallita quella socialista, convincendo così definitivamente il Pnv.

Gli errori del Pp sono stati mettere all’ordine del giorno della discussione parlamentare la mozione in tempi rapidissimi, confidando che ciò avrebbe impedito il formarsi della coalizione a suo sostegno, mentre ne avrebbe invece accelerato la sua definizione; e affidare all’approvazione del bilancio la continuità della legislatura, sottovalutando le conseguenze della sentenza sul quadro politico.

Ora il Pp è un partito improvvisamente disarcionato dal potere e c’è chi dice che questo potrebbe essergli fatale. Male ne esce anche Ciudadanos, che avrebbe voluto andare ad elezioni e si ritrova ad avere votato per Rajoy per non favorire un governo socialista, dimostrando perciò di essere più che l’alternativa al Pp la sua continuità. Il governo Sánchez dovrà fare i conti perciò già in partenza con l’opposizione di una destra furibonda e smarrita.

Le incognite sul terzo governo socialista spagnolo
Per il resto, la vita del terzo governo socialista della Spagna democratica è una incognita: non si sa se riuscirà a reggere fino al 2020 come sarebbe la scadenza naturale della legislatura, o se arriverà solo alle elezioni municipali e autonomiste della prossima primavera. Non è il frutto di una vittoria elettorale, non è un governo delle sinistre, anche se Podemos è il principale partito che lo sostiene, perché nasce sulla debolezza dell’avversario che ha fatto convergere forze molto diverse con l’unico interesse comune di fare fuori Rajoy.

Conta su 84 deputati e deputate, meno di un quarto della Camera, e dovrà conquistarsi i voti provvedimento su provvedimento. La sua nascita apre un tempo nuovo di speranza, ma non risolve in sé i problemi seri che attanagliano la Spagna di oggi. Che sono nella crisi economica risolta per le banche, ma non per le famiglie, i disoccupati, gli anziani; nell’evidenza di una democrazia debole e dell’emergere di un riflesso d’ordine nella società; nell’arretramento sul terreno della cittadinanza, dei diritti e delle libertà; nell’eccezionalità democratica della questione catalana che rimarrà tale fino a che ci saranno prigionieri politici.

Gli equilibri socialisti e la scelta dei ministri
Sánchez ha vinto appena un anno fa le primarie interne al suo partito, tornandone alla guida da cui era stato scalzato; ma quelli che allora sostennero la sua concorrente Susana Díaz cercheranno di condizionarne l’azione, a cominciare dalla formazione del governo. Il neo-presidente socialista ha promesso dialogo alla Generalitat, ha avuto come primo alleato sulla mozione il gruppo di Podemos. Ciudadanos e il Pp lo hanno accusato di avere chiesto il voto degli ex-amici dell’Eta, quello di chi vuole rompere la Spagna, e di stare costruendo una maggioranza con i radicali estremisti.

Alcuni nomi del nuovo governo sembrano una risposta a queste accuse, anche nel tentativo di recuperare un’immagine della Spagna a livello internazionale molto deteriorata. Come quello al ministero degli Esteri del catalano Josep Borrell, già presidente del Parlamento europeo, che nei mesi passati ha usato parole molto dure nei confronti del movimento indipendentista, che accoglie questa proposta di nomina con diffidenza e contrarietà. O quello di Nadia Calviño al ministero dell’Economia, finora direttore generale del Bilancio della Commissione europea, una nomina di cui s’è felicitata la presidente del Banco Santander Ana Botín.