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Indipendentismi e allargamento

Serbia: riflessi europei di un riconoscimento del Kosovo

25 Giu 2018 - Edoardo Corradi - Edoardo Corradi

Spagna, Cipro Slovacchia, Romania e Grecia sono i cinque Paesi dell’Unione europea che ancora non riconoscono l’indipendenza del Kosovo. Il motivo risiede nel fatto che in questi Paesi vi sono delle minoranze che portano avanti politiche indipendentiste o autonomiste – come catalani e ungheresi – oppure, come nel caso greco-cipriota, nel fatto che il governo da decenni non ha più materialmente il controllo su parte del territorio. Riconoscere il Kosovo potrebbe, di fatto, concedere a queste minoranze di poter anche loro optare per la secessione.

L’eventuale riconoscimento del governo di Pristina da parte della Serbia potrebbe dunque aprire un’interessante partita interna tra i governi centrali di questi Stati e le rispettive minoranze secessioniste, dopo che Belgrado ha maldigerito la sconfitta ai Mondiali di Russia 2018 ad opera di una nazionale Svizzera a trazione kosovaro (gol di Xhaka e Shaqiri, che nell’esultanza in campo hanno mimato l’aquila albanese).

L’antefatto del conflitto
Il 2 luglio 1990 i rappresentanti albanesi adottarono una risoluzione che riconobbe il Kosovo come una entità indipendente seppur all’interno della Jugoslavia, ormai prossima al collasso. Belgrado rispose con lo scioglimento dell’Assemblea regionale, che, benché esautorata dei suoi poteri, dichiarò l’indipendenza del Kosovo il 22 settembre 1991. Rastrellamenti, torture, arresti, maltrattamenti e talune volte anche omicidi di civili kosovari cominciarono ad essere all’ordine del giorno. La situazione degenerò nel 1996, con l’ingresso nella scena politica kosovara dell’Uck, l’esercito di liberazione del Kosovo.

Il conflitto si risolse nel 1999 con l’Accordo di Kumanovo, che impose il ritiro delle forze serbe e la fine della presenza di Belgrado nella regione. Solo nel 2008 il Kosovo si dichiarò unilateralmente indipendente, ottenendo un forte supporto internazionale ma la ferma opposizione della Serbia e, soprattutto, della Russia e della Cina, entrambi membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La dichiarazione d’indipendenza venne dichiarata contraria al diritto internazionale dalla Serbia, ma un parere consultivo della Corte internazionale di giustizia ha dato opinione contraria.

Vučić: a prevalere è l’integrazione europea
È da mesi che il presidente serbo Aleksandr Vučić fa riferimenti a un possibile riconoscimento del Kosovo, in linea con la realpolitik che è spesso ne ispira l’operato. D’altronde, il futuro della Serbia passa proprio da quella che considera essere una sua terra di diritto. L’Ue, infatti, ha posto la normalizzazione dei rapporti con Pristina come uno dei principali paletti all’integrazione europea di Belgrado. Vučić non può dunque avere tutto e deve fare una scelta. Già nel 1998 lo storico Noel Malcolm scrisse, nel suo libro Kosovo: A Short History che “semplicemente, la Serbia ha già perso il Kosovo nei termini più profondamente umani e demografici”. Passati dieci anni dall’indipendenza e quasi venti dalla guerra, il controllo della Serbia sul Kosovo è pari a zero.

La scelta di Vučić sarebbe quindi tra il mantenimento di una retorica nazionalista fine a se stessa, ribadendo la sovranità serba sul Kosovo, e la chiusura di un complesso capitolo della storia del Paese per aprirne uno nuovo, dentro l’Unione europea. Un passo che, tuttavia, non potrà essere fatto prima del riconoscimento da parte delle autorità kosovare dell’Associazione delle municipalità serbe, che sono parte degli Accordi di Bruxelles e ritenute necessarie per garantire la tutela dei serbi ancora presenti in Kosovo.

Vučić rischierebbe con questa mossa la sua carriera politica, perdendo probabilmente gran parte del supporto elettorale che l’ha portato a essere acclamato da premier a presidente. L’idea di convocare un referendum, in modo da legittimare “esternamente” la difficile scelta politica, è stata anche presa in considerazione dal presidente serbo.

Europa e minoranze indipendentiste
Spagna, Romania, Slovacchia e Cipro non hanno mai riconosciuto il Kosovo per evitare precedenti con le proprie questioni interne. Madrid, infatti – se da un lato è riuscita a calmierare l’indipendentismo basco, in particolare con lo scioglimento dell’organizzazione terrorista indipendentista Eta, si è però ritrovata ad affrontare la spinosa questione catalana, con la dichiarazione d’indipendenza del governo regionale, la Generalitat, e la conseguente risposta di Madrid che ha portato all’attivazione del controllo diretto, convocazione di elezioni anticipate e arresto di numerosi esponenti dell’indipendentismo. Complicata è anche la situazione di Cipro, con metà isola de facto indipendente e sotto il controllo turco. Il colpo di Stato a Nicosia del 1974 causò la reazione della Turchia che, nello stesso anno, occupò il nord dell’isola. In questa zona d’occupazione sorgerà, nel 1983, la non riconosciuta internazionalmente Repubblica Turca di Cipro del Nord.

Meno complessa, ma non per questo non potenzialmente esplosiva, è il contesto rumeno, dove vive una forte minoranza ungherese, i secleri. Il partito di riferimento dei secleri è l’Alleanza democratica degli ungheresi di Romania, che dalla sua fondazione nel 1989 persegue l’autonomia della regione abitata dagli ungheresi, la cosiddetta Székelyföld in Transilvania. La situazione etnica è identica in Slovacchia, dove circa l’8,5% della popolazione è di etnia ungherese e vive quasi in maggioranza nel sud del Paese.

L’indipendenza del Kosovo, se riconosciuta da Belgrado, potrebbe rendere più difficile la posizione dei governi spagnolo, cipriota, slovacco e rumeno rispetto a Pristina. Non potrebbero più, cioè, negare di riconoscere il Kosovo, giacché l’indipendenza sarebbe accettata dallo stesso Paese che ne rivendicava la sovranità. Questo, però, potrebbe generare un imponente effetto domino che darebbe maggiore potere alle stesse minoranze che aspirano alla secessione.

Foto di copertina © Frank Rumpenhorst/DPA via ZUMA Press