Migranti: Spagna, occhi puntati su Frontera Sur e Rotta Ovest
Più o meno nelle stesse ore in cui la nave Aquarius arrivava nel porto di Valencia, scortata dalle unità italiane Dattilo e Orione, con i 629 migranti a bordo attesi da uno straordinario dispositivo di accoglienza di 2.300 persone, l’Andalusia riceveva circa un migliaio di immigrati recuperati in mare dal Salvamento Marítimo mentre cercavano di attraversare lo Stretto di Gibilterra su una settantina di scialuppe – quattro venivano trovati morti nelle acque attorno a Cadice -; e il 22 giugno accoglieva altri 600 migranti.
La pericolosità della Frontera Sur e della rotta Ovest
In meno di 48 ore, i nuovi arrivati venivano smistati su autocarri diretti a Barcellona, Madrid e Bilbao, perché nei Centros de Internamiento de Extranjeros (Cie) del Sud della Spagna non c’era più posto. Succede alla Frontera Sur e sulla rotta marina del Mediterraneo Ovest, considerata una delle più pericolose al mondo. Nel 2017 vi sono morte 249 persone mentre tentavano di raggiungere le coste spagnole e dunque l’Europa, oltre 6.000 sono le vittime ufficiali negli ultimi vent’anni: un dato che però andrebbe moltiplicato per tre, secondo la Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía (ApdhdA).
Un dato destinato a crescere perché in crescita è il flusso di arrivi: già ora, a metà 2018, secondo quanto riferisce l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, sono 292 le persone morte o sparite in mare, oltre il 17% in più rispetto al 2017. Il contrario di quanto sta accadendo e sempre più accadrà sulla rotta del Mediterraneo centrale, dopo gli accordi con la Libia e la Turchia e ancora più ora con la chiusura dei porti da parte del governo italiano.
Secondo i dati dell’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UnHcr) nel suo ultimo rapporto “Global Trends. Forced Displacement in 2017”, lo spostamento coatto della popolazione mondiale per ragioni di persecuzioni, guerre o violenze, alla fine dello scorso anno, riguardava 68,5 milioni di persone, 2,9 milioni in più rispetto al 2016, con un flusso migratorio diretto per l’85% verso Paesi in via di sviluppo. Alla fine del 2017 erano oltre tre milioni i migranti in attesa di una risposta alla loro petizione di asilo. Nello scorso anno, secondo la Comisión Española de Ayuda al Refugiado (Cear), la Spagna ha accolto solo una domanda d’asilo su tre, il 35% del totale, collocandosi perciò al di sotto della media europea (45%). E nel 2018 si prevede che il numero di richiedenti superi il record dello scorso anno.
Cacofonia tra volontà popolare e comportamenti politici
L’inchiesta realizzata dalla Ong Oxfam Intermón mostra che una larga maggioranza della popolazione spagnola è preoccupata per la crescita del razzismo e della xenofobia (80%) ed è disponibile ad “aiutare urgentemente le persone rifugiate perché si trovano in pericolo estremo” (70%). In Spagna non ci sono partiti xenofobi, Barcellona è stata la capitale dell’accoglienza nel febbraio dello scorso anno con la sua manifestazione di centinaia di migliaia di persone Volem acollir.
Ma le politiche migratorie dei governi spagnoli, specie negli ultimi 7 anni di governo del PP, non si sono mosse in sintonia con questo sentimento popolare. La Spagna non ha rispettato la quota di redistribuzione dei flussi migratori decisa nel 2015 dal Consiglio europeo: avrebbe dovuto farsi carico di 9.323 persone rifugiate, ma fino al mese di marzo di quest’anno ne aveva accolte appena 1.359. Ora si aspetta di capire quale sarà la posizione del governo Sánchez al prossimo Vertice europeo sull’immigrazione del 28 e 29 giugno. Il ministro degli Esteri Borrell sembra non scartare la possibilità di ragionare sulla proposta franco-tedesca di centri per migranti nel Nord-Africa, mentre il leader di Podemos Pablo Iglesias afferma che “le piattaforme di sbarco fuori dalla Ue sono una misura non solidale e contraria al diritto umanitario”.
Il presidente del Governo ha annunciato alcune misure per invertire in parte la tendenza degli ultimi anni. In primo luogo il ritorno alla sanità universale da cui Rajoy aveva escluso i cittadini extra-comunitari non regolarizzati nel 2012, per quanto diverse Comunità autonome avevano continuato a fornire loro assistenza. Sánchez ha detto anche che toglierà dalla valla che separa la frontiera fisica della Spagna con il Marocco, le lame collocate da Zapatero nel 2005 e poi in parte ritirate e di nuove ripristinate dal governo del Pp.
Le caratteristiche e la situazione alla Frontera Sur
La Frontera Sur della Spagna è quella che fisicamente, attraverso le città autonome di Ceuta e Melilla, o via mare, segna il confine tra continente europeo e quello africano. Secondo l’ApdhA, “Balance Migratorio. Frontera Sur 2017”, dal 2010 al 2017 gli arrivi attraverso la Frontera Sur in territorio spagnolo sono passati da oltre 5.000 a oltre 28.500. Di questi, oltre 18.000 sono arrivati in Andalusia. Sono per lo più uomini, provenienti dal Magreb e dall’Africa Sub-Sahariana, ma c’è pure una quota superiore al 12% originaria di altri Paesi, soprattutto della Siria.
“Nella Frontera Sur terrestre dello Stato spagnolo con il Marocco vengono sistematicamente lesi i diritti umani delle persone migranti su entrambi i lati della frontiera”, si legge nel rapporto dell’associazione catalana Irídia, Centre per la Defensa dels Drets Humans, con la collaborazione del Comune di Barcellona, “La Frontera Sur”, realizzato nel 2017. Vengono lesi i diritti dei migranti provenienti dall’Africa nera in transito per le città del Marocco; il recinto issato a segnare fisicamente la frontiera si avvale di un dispositivo “disegnato per ferire le persone che lo attraversano”; vi si pratica l’espulsione immediata contraddicendo i principi della protezione internazionale; i Ceti, Centros de Estancia Temporal de Inmigrantes, sono sovraffollati e non garantiscono il diritto all’asilo; vi è violenza istituzionale nei confronti dei minori non accompagnati; grave è la situazione delle porteadoras, per lo più donne, che si caricano sulle spalle le mercanzie dal Marocco verso Ceuta e Melilla. Di fronte a questa situazione, i governi spagnolo e marocchino generano “processi di repressione per evitare che le organizzazioni locali e internazionali realizzino un lavoro di difesa dei diritti umani e di denuncia”.