IAI
La vicenda dell'Aquarius

Migranti: non crisi ma flusso, l’Italia non si isoli in Europa

13 Giu 2018 - Eleonora Poli - Eleonora Poli

In un’Europa già frammentata dai diversi effetti della crisi economica e di sicurezza, il flusso di migranti ha creato profonde divisioni, limitando l’efficacia degli sforzi collettivi come la vicenda dell’Aquarius sta mostrando -. Secondo i dati dell’UnHcr, nel 2017 il numero di arrivi sulle coste europee dal Mediterraneo è stato di 173.301 persone. A giugno del 2018, il numero si è ridotto a 37 mila di cui la metà all’incirca (15 mila) è sbarcata in Italia, mentre il resto si è diviso tra Grecia (12 mila circa) e Spagna (10 mila circa).

Se gli arrivi sono in calo, così come il numero dei morti nel Mediterraneo, sicuramente il problema non è risolto. In questo frangente critico, l’Italia non può e non deve agire da sola. In effetti, la magnitudine della situazione e la sua complessità deve portare ad una risposta europea e non nazionale. Al di là dell’orientamento politico, questo era ed è lo spirito in cui sia il nuovo ministro dell’Interno Salvini che il suo predecessore Minniti hanno cercato di fare fronte al problema. I metodi applicati, così come la retorica politica, sono pero diversi.

Metodi e retorica politica diversi
Durante il suo mandato, Minniti ha cercato di coniugare l’azione italiana all’interno di uno sforzo che doveva però essere di matrice europea. Ad esempio, l’accordo messo in atto dall’ ex ministro dell’Interno con la Libia, che prevedeva cooperazione nel contrasto all’immigrazione tramite il completamento del sistema di controllo dei confini libici, supporto tecnico agli organismi locali incaricati di contrastare il traffico di esseri umani e finanziamento italiano ed europeo ai centri di accoglienza, è stato criticato dall’Onu per le condizioni disumane in cui vengono trattati i migranti nei campi libici, ma è stato di per sè ben accolto dall’Ue. Lo stesso vale per il codice di condotta della Ong, che aveva l’intento di sanzionare un possibile traffico di vite umane messo in atto tra contrabbandieri e organizzazioni non governative.

E’ indubbio che l’efficacia di tali azioni è limitata. La crisi migratoria più che una crisi è un trend che durerà nel corso degli anni. Tuttavia la cooperazione con i partner europei rimane l’unica via. Il nuovo ministro dell’Interno ne è sicuramente consapevole, ma la retorica sovranista adottata nel caso Acquarius, che vede l’Italia vittima degli sbarchi dal Mediterraneo, mentre l’Unione guarda altrove, sebbene contenga degli elementi di verità, non porterà a risultati migliori nel lungo termine. Anzi. Inoltre, gli attacchi ricevuti dalla Francia sul comportamento tenuto dal governo, definito “vomitevole”, lasciano il tempo che trovano, ma non hanno una mancanza di fondamenta totale.

Come si è arrivati a questo punto
E’ stata l’Italia, durante il governo Renzi, ad avere formalmente accettato con Triton, in cambio di maggiore flessibilità nell’ambito delle politiche economiche nazionali, di fare sbarcare i migranti nei suoi porti. Dopo la missione Mare Nostrum, messa in atto dal governo Letta nel 2013 e che gravava solo sulle spalle italiane con un costo di 114 milioni di euro (9,5 al mese), la missione europea Triton, che costava meno di tre milioni di euro al mese, poi sostituita dalla missione Eunavfor Med, hanno come mandato non tanto il soccorso in mare quanto il pattugliamento delle acque, ma prevedono che le navi dei Paesi europei che sorvegliano il Mediterraneo portino i migranti eventualmente soccorsi in Italia.

L’Italia ha di fatto formalmente accettato di ricevere i migranti, ma c’erano poche altre scelte. La vicinanza geografica con la Libia la rende il Paese più facile su cui spingersi e sbarcare, da dove le possibilità di raggiungere il Nord Europa, con il suo welfare più sviluppato, sono maggiori. L’Italia ha sicuramente le sue colpe, ma dal resto d’Europa c’è stata ben poca solidarietà, soprattutto dalla Francia, che ha ripetutamente espulso i migranti irregolari sul confine a Ventimiglia.

Le soluzioni sono sul tavolo di Bruxelles
Le soluzioni per l’Italia rimangono però sempre sul tavolo di Bruxelles. Dal punto di vista istituzionale, l’Italia deve cercare di modificare la Convenzione di Dublino. Tuttavia, come dimostra il recente fallimento bulgaro, questa via è più facile a dirsi che a farsi. L’accordo di Dublino sancisce l’obbligo per i migranti a presentare richiesta di asilo politico nel Paese europeo di arrivo.

Questo mette l’Italia in prima linea sia nel processare le domande di asilo (nel 2017 ci sono state circa 129 mila domande di asilo in Italia, 223 mila in Germnia e solo 79 mila in Francia e 26 mila in Spagna) sia nell’effettuare gli eventuali rimpatri di tutti quei migranti che non si qualificano come detentori del diritto di asilo ma come semplici immigrati economici, pratica quest’ultima che richiede anni. Inoltre l’intesa Dublino non prevede nessun obbligo per i Paesi europei di accettare il ricollocamento di richiedenti asilo dall’Italia o dalla Grecia, che rimane una pratica che molti Paesi, tra cui proprio i Visengrad, non accettano.

Le controindicazioni dell’alleanza con il Gruppo di Visegrad
Per questo motivo, l’intenzione di Salvini di cercare un’alleanza con i Paesi del Gruppo di Visegrad sembra lasciare il tempo che trova e non è chiaro che cosa l’Italia potrebbe ottenere da tale relazione. Probabilmente sarebbe più utile riuscire a fare fronte comune con i Paesi del Mediterraneo, tra cui la Spagna e la Francia, che ora disapprovano l’Italia, ma soffrono e hanno sofferto di problemi comuni, e non solo nell’ambito dei flussi migratori, ma anche nel porsi in maniera critica verso le politiche di austerità.

Questa però non sembra essere la via che il governo giallo-verde vuole adottare. Al contrario, il ministro Salvini ha ribadito che nonostante i rapporti con la Francia possano essersi deteriorati, la Germania rimarrà un buon alleato italiano. Di fatto, però, Berlino non metterà in pericolo il binomio franco-tedesco o i suoi interessi nazionali per l’Italia.

Il ruolo del Consiglio europeo e i nodi politici
L’Italia deve affrontare il problema non bilateralmente ma nel Consiglio europeo: sono i capi di Stato dei Paesi dell’Ue ad avere la legittimità politica, istituzionale e democratica per superare il problema. Quest’ultimi, però, hanno poca o forse nessuna intenzione di rischiare il proprio mandato a livello nazionale, accettando politiche migratorie che siano percepite sì di solidarietà verso l’Italia ma svantaggiose a livello nazionale. Con il nazionalismo in aumento in tutti i Paesi europei e il prezzo alto da pagare per il partiti tradizionali, soprattutto quelli di sinistra, che sono spariti dai governi di quasi tutti i Paesi europei, fatta eccezione per Spagna, Portogallo, Svezia e pochi altri, nessuno vuole mettere repentaglio la propria legittimità politica per una questione spinosa come quella migratoria.

In questo frangente, sta all’Italia rimettere il tema sul tavolo e spingere per una soluzione condivisa. Le prove di forza servono a riaccendere l’attenzione e possono avere risultati di breve termine, ma non porteranno a soluzioni sostenibili, di lunga durata e vantaggiose per l’Italia, che al contrario rischia di trovarsi isolata.