Governo Conte: Ue e politica estera, domande senza risposte
Per chi si aspettava qualche maggiore indicazione rispetto al contratto di governo, l’intervento del presidente del Consiglio in Parlamento è stato probabilmente una delusione. Conte si è infatti limitato a declinare diligentemente i contenuti del contratto, in alcuni casi con vere e proprie citazioni testuali. Nessuna precisazione su tempi e modi di attuazione del programma, nessuna indicazione delle effettive priorità, nessun riferimento ai costi delle riforme proposte, né tanto meno alle relative coperture finanziarie. Qualche accenno generico alle proposte apparentemente più innovative (ma vago su tempi e modi per introdurre la flat tax, e ancor più prudente sul reddito di cittadinanza). Un silenzio significativo sulla riforma della legge Fornero, su grandi lavori, infrastrutture, scuola, cultura e diritti civili.
Ma ancor più deluso sarà rimasto che si aspettava qualcosa di più preciso sul rapporto con l’Europa, sulla collocazione internazionale del Paese e sulle grandi sfide con cui dovrà fare i conti l’Italia nei prossimi mesi. Solo due striminziti paragrafi del discorso del presidente del Consiglio sono stati dedicati a questi aspetti del programma di governo. Date le premesse, forse meglio così. Ma forse Parlamento e cittadini avevano il diritto di capire meglio le intenzioni del nuovo governo su questioni solo apparentemente astratte e remote, ma che hanno un impatto diretto sugli interessi nazionali.
Poche frasi e molti silenzi per la collocazione internazionale
Il tema della collocazione internazionale è liquidato con le poche frasi del contratto. Fedeltà alla Alleanza atlantica e agli Usa, cui si riconosce lo status di alleato privilegiato. Ma anche apertura nei confronti della Russia, cui si riconosce un ruolo nella gestione di varie crisi internazionali, e impegno ad avviare un’iniziativa per le revoca delle sanzioni. Non un parola da Conte sulle difficoltà del rapporto con gli Usa di Trump (le cui ultime iniziative, ad esempio su commercio e Iran, rischiano di colpire interessi nazionali italiani molto concreti). Non una parola sulla Cina, che pure si avvia ad essere la maggiore potenza economica del mondo. Non una parola sul Mediterraneo o sul Medio Oriente, la cui stabilità rimane pur sempre un interesse vitale per l’Italia. Non una parola sulla nostra proiezione internazionale, sul ruolo che forse potremmo aspirare a svolgere a tutela di interessi nazionali. Non un parola sui grandi temi della governance globale, dal commercio internazionale al cambiamento climatico, dalla non proliferazione al contrasto del terrorismo internazionale. In sintesi l’immagine di un Paese ripiegato su se stesso, con scarsa vocazione ad assumersi responsabilità sulla scena internazionale.
Sul rapporto con l’Europa, una litania di affermazioni generiche
Ma ancora più laconiche sono apparse le scarne indicazioni sul rapporto con l’Europa. Nessuno si attendeva una testimonianza di fede europeista da un presidente di un Consiglio condannato a esprimere la sintesi di due forze politiche che avevano assunto la polemica contro l’Europa come cifra comune delle rispettive, talora contrastanti, campagne elettorali.
Ma forse era legittimo aspettarsi qualcosa di più della consueta litania su un’Europa più forte ma anche più equa, su un’Europa più orientata a tutelare i bisogni dei cittadini, più capace di meglio bilanciare i principi di responsabilità e di equità. Era legittimo aspettarsi di capire cosa effettivamente questo governo ha in mente quando parla di riformare l’Unione europea, con quali alleati vuole far avanzare le proprie idee (davvero Conte pensa che Orban sia il nostro alleato ideale in Europa?). Perlomeno Conte ha escluso che l’uscita dell’Italia dall’euro sia una opzione per questo governo. E date le premesse c’è da tirare un sospiro dì sollievo. Ma è troppo poco per chi si aspettava che questo governo abbia in mente una linea, ad esempio per inserirsi nel dibattito in corso sulla riforma della governance dell’euro.
Interrogativi senza risposta e prossime scadenze G7, Ue, Nato
Ma a fronte di queste scarne indicazioni di programma cosa possiamo aspettarci dal nuovo governo sul rapporto con l’Europa, sul rapporto con i maggiori partners internazionali dell’Italia, sulle grandi sfide del contesto internazionale? Chi deciderà effettivamente la politica europea del governo e le scelte di politica estera? Quale ruolo vorranno riservarsi di due azionisti di riferimento? E quali margini di manovra possiamo immaginare per i ministri ‘tecnici’ inseriti nel Governo per rassicurare partners internazionali e mercati?
Nell’attesa di risposte a questi interrogativi non resta che attendere le prossime scadenze internazionali del presidente del Consiglio. Già al vertice del G7 in programma in Canada l’8 e 9 giugno c’è da immaginare che i nostri partners vorranno capire meglio da Conte cosa comporterà sul piano operativo la richiesta italiana di revoca delle sanzioni alla Russia; e magari vorranno anche capire dove si colloca il nuovo governo italiano sul tema del commercio internazionale e sui rischi di una ripresa del protezionismo.
Ma ancor più delicata si presenta la scadenza del Consiglio europeo di fine giugno. Con quali richieste si presenterà il presidente del Consiglio quando si cercherà di definire una ‘road map’ per il completamento dell’Unione bancaria e della governance dell’euro? Con quali argomenti si cercherà di far passare la richiesta di maggiore solidarietà nella gestione dei flussi migratori? Attorno a quali priorità si definirà la posizione italiana sul futuro bilancio dell’Unione?
Ed infine al Vertice Nato di luglio appare più che legittimo attendersi che americani ed alleati europei vogliano capire meglio come si articolerà la posizione italiana sul rapporto con Mosca, quanto il nuovo governo vorrà (o potrà) impegnarsi sulle spese per la difesa; cosa ci si dovrà attendere sul tema della presenza italiana in missioni internazionali (a cominciare dalla missione Nato in Afghanistan).
Rischi forse evitati, ma restano incognite e preoccupazioni
In sintesi, conclusa finalmente (mi auguro) la campagna elettorale, e con il nuovo esecutivo pienamente in carica, non dovrebbero esserci rischi di drammatiche soluzioni di continuità rispetto al passato in merito alla collocazione internazionale del Paese. E malgrado le reticenze dell’intervento di programma del presidente del Consiglio, il nuovo governo dovrebbe rimanere ancorato al sistema di alleanze e di partenariati consolidato dai precedenti esecutivi. Ma alcuni interrogativi dovranno trovare una risposta.
Il tema del rapporto con Mosca ad esempio resta un’incognita. Se è assolutamente legittimo che il governo si faccia promotore, all’interno del contesto europeo e atlantico, di un ripensamento del rapporto con la Russia, appare tuttavia velleitario pensare che l’Italia possa revocare o sospendere da sola le sanzioni. Il rischio di isolamento dai nostri tradizionali alleati dovrebbe essere preso seriamente in considerazione prima di assumere iniziative autonome e non concertate.
Ugualmente il rapporto con l’Unione solleva qualche più che giustificata preoccupazione. Sia per la narrativa utilizzata in campagna elettorale dalle due forze politiche che sostengono l’esecutivo. Sia per la sconcertante vaghezza del programma di governo su questo tema. Sia infine per la ricorrente tentazione dei due partiti che sostengono il governo a considerare l’Europa più come una camicia di forza che come una opportunità. C’è almeno da sperare che il governo Conte si ricordi che per portare avanti una proposta o una richiesta in Europa, con qualche chances di successo, occorrono almeno tre condizioni: sapere esattamente cosa chiedere e a chi; presentarsi al tavolo del negoziato con le carte in regola e con la necessaria credibilità; sapere costruire un sistema di alleanze.