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Il programma in Parlamento

Governo Conte: perché mette a rischio l’Ue e le sue riforme

7 Giu 2018 - Eleonora Poli, Pol Morillas - Eleonora Poli, Pol Morillas

Dopo quasi 90 giorni dalle elezioni politiche del 4 marzo, il Movimento 5 Stelle (M5S) e la Lega sono finalmente riusciti a formare un governo sotto la guida del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il ritardo è stato causato non solo dalla necessità di conciliare due programmi politici per molti versi agli antipodi, ma anche dal veto posto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla nomina a ministro dell’Economia di Paolo Savona, considerato troppo euro-scettico. Nonostante i mercati finanziari abbiamo risposto in modo positivo alla fine di una crisi politica che rischiava di contagiare tutta l’Eurozona, il nuovo esecutivo non avrà strada facile

Elettorati eterogenei, promesse contraddittorie
La coalizione di governo rispecchia infatti un elettorato molto eterogeneo e con esigenze diverse. Ad esempio, se la flat-tax del 15-20% proposta dalla Lega potrebbe favorire gli imprenditori, con un costo di 63 miliardi di euro essa si mal concilia con l’idea stessa di reddito di cittadinanza, che a sua volta potrebbe costare circa 17 miliardi di euro.

Sempre in ambito di politica economica, i due partiti hanno idee molto diverse anche su come gestire la disoccupazione e sul futuro del Job Acts di Renzi. Se inizialmente il M5S era favorevole alla reintroduzione delle garanzie contro il licenziamento previste dall’art. 18, questa proposta non è presente nel contratto di governo che al momento prevede la creazione di un salario minimo, il miglioramento dei centri per l’impiego e altre agevolazioni fiscali per le imprese che assumono giovani.

… ma opinioni simili su questioni europee
Nonostante le differenze in tema di politica economica, il M5S e la Lega (e gran parte dei loro elettori) hanno opinioni simili su diverse questioni europee. Accantonata, almeno per il momento, l’idea di uscire dall’Eurozona, sia Movimento che Lega chiedono l’eliminazione della soglia del 3% del deficit per potere così aumentare la spesa pubblica ed investire nell’economia italiana: misure che sono in contrasto con le regole dell’Eurozona.

Inoltre, sia Lega che M5S sono convinti che l’Ue dovrebbe eliminare le sanzioni economiche e ricostruire una relazione privilegiata con Mosca, che non dovrebbe rappresentare un pericolo bensì un partner strategico per l’Ue. Non da ultimo, entrambi i partiti sono d’accordo sul fatto che l’Unione europea sia diventata sempre più anti democratica e vorrebbero che più poteri venissero conferiti al Parlamento europeo o addirittura devoluti agli Stati membri.

La difficile gestione dell’approccio all’Europa invisa all’opinione pubblica
Tuttavia, più che le politiche nazionali, è proprio l’approccio all’Europa a risultare di più difficile gestione perché, riflettendo trend negativi sull’Unione europea dell’opinione pubblica italiana, che ad oggi è tra le più euro-scettiche dell’Ue, superata solo da quella della Grecia, è apparentemente contradittorio.

Da un lato Lega e M5S sono favorevoli al completamento dell’unione economica, ma allo stesso tempo non vogliono rispettare gli impegni che l’Unione monetaria comporta. Similmente, prendono le distanze da Bruxelles ogni qual volta si parla del problema dell’immigrazione. In queste circostanze, nonostante in passato l’Italia sia stata al fianco di Francia e Germania quando si trattava di definire le politiche europee, il Paese potrebbe ora adottare un approccio meno prevedibile.

Diritto a tutelare gli interessi e carenza di affidabilità politica
Questo di per sé non deve essere fonte di critiche. L’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’Ue e dopo la Brexit sarà la terza economia dell’eurozona. Ha quindi tutto il diritto di chiedere politiche europee che meglio rappresentino i suoi interessi.  Eppure, la mancanza di affidabilità politica, il grande debito pubblico e le difficili condizioni finanziare italiane limitano fortemente la capacità di guidare qualsiasi riforma europea. Inoltre, sarà forse proprio la paura dei partner europei per una possibile crescita nell’instabilità in Italia a portarla ad essere ancora più isolata nell’Ue.

In questo frangente molto dipenderà da come i nuovi ministri si relazioneranno vis-à-vis dell’attuale status quo dell’Ue. Da un lato, il nuovo ministro dell’Economia Giovanni Tria non è un euro-scettico, ma è piuttosto critico sull’austerità. Tria sostiene che gli Stati membri con un grande surplus della bilancia commerciale, come la Germania, dovrebbero stimolare la domanda interna con maggiori investimenti. In questo modo sarebbe possibile promuovere la convergenza delle economie europee pur rimanendo all’interno delle regole fiscali e di budget.

Dall’altro, il controverso Paolo Savona è ministro per gli Affari europei, con una visione forse molto più radicale di quella di Tria. Nelle sue relazioni con l’Unione europea il governo italiano potrebbe dunque avere un approccio schizofrenico, passando dall’essere più moderato a più rigido a seconda delle circostanze o delle presenze.

Questo atteggiamento non potrà portare benefici visto che il sistema di governance europeo, con i suoi complessi sistemi basati su diversi livelli, non permette riforme e cambiamenti in mancanza di solide alleanze. Lo sa bene l’ex ministro dell’economia greco Varoufakis: nonostante le sue richieste di cambiamento delle regole sull’austerity fossero ragionevoli, Varoufakis soffri a causa dell’isolamento nell’Eurogruppo. Il nuovo governo di coalizione italiano potrebbe trovarsi in una situazione simile proprio quando, con l’elezione di Macron in Francia e le elezioni europee del 2019, si sono create condizioni favorevoli a riformare l’Unione europea.