Governo Conte: quale politica di difesa per l’Italia
Il nuovo governo di Giuseppe Conte si basa su un contratto tra i partiti di maggioranza che enfatizza gli interessi nazionali nella politica estera e di difesa. Per difenderli e promuoverli nel quadro euro-atlantico, tre sono i fronti prioritari di cui l’esecutivo dovrà occuparsi: Nato e Russia, Mediterraneo e terrorismo, difesa europea e industria.
Nato e Russia
Il contratto firmato dai due vice-presidenti del Consiglio, e leader dei partiti di maggioranza, rappresenta il punto di partenza per l’azione internazionale del governo. Per tradursi in realtà andrà però attuato tramite decisioni e misure concrete, anche in relazione all’evolversi della realtà internazionale ed interna. Nei paragrafi ‘Esteri’ e ‘Difesa’ del contratto, si “conferma l’appartenenza all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d’America quale alleato privilegiato, e con un’apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante”. Russia che si vuole “riabilitare come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)”.
L’Italia ha tradizionalmente avuto una percezione della Russia diversa rispetto ai Paesi dell’Europa orientale e al mondo anglosassone, e piuttosto simile a quella tedesca, ovvero attenta a bilanciare l’ombrello di sicurezza transatlantico con le relazioni politico-economiche con Mosca. Anche dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014, i governi italiani (e tedesco) hanno insistito in ambito Nato affinché le misure di deterrenza e difesa sul fianco orientale fossero affiancate da un dialogo costante e significativo per evitare pericolose escalation e per sostenere un percorso diplomatico per la risoluzione della crisi in Ucraina. D’altronde, che la Russia sia un interlocutore strategico è riconosciuto da gran parte della comunità internazionale, come dimostrato dai recenti vertici bilaterali di Vladimir Putin con Angela Merkel ed Emmanuel Macron.
La questione oggi per il governo italiano è come ottenere migliori risultati da un lato dall’impegno politico-militare nella Nato, fondamentale per la sicurezza euro-atlantica e quindi italiana, e dall’altro dal dialogo con la controparte russa per la risoluzione delle crisi regionali. L’unico modo per negoziare efficacemente con la Russia è continuare a farlo da una posizione di eguale forza, non di relativa debolezza. A tal fine è fondamentale sia mantenere gli Stati Uniti solidamente agganciati alla difesa dell’Europa, perché l’Ue da sola non è in grado di bilanciare e deterrere Mosca, sia discutere insieme agli alleati euro-atlantici l’eventuale revisione collettiva delle sanzioni alla Russia in base all’andamento dei negoziati con il Cremlino.
Nel frattempo mantenere gli impegni presi, tra cui la guida nel 2018 della forza di reazione rapida Nato, la presenza militare a scopo di deterrenza nei Paesi Baltici ed il contributo alle missioni alleate in Afghanistan e nel Mediterraneo, è sicuramente un utile primo passo per rafforzare la posizione italiana al tavolo Nato, anche in vista della riunione ministeriale di giugno e del vertice di luglio.
Mediterraneo e terrorismo
Proprio il Mediterraneo è indicato dal contratto di governo come la regione dove “si addensano più fattori di instabilità quali: estremismo islamico, flussi migratori incontrollati, con conseguenti tensioni tra le potenze regionali”. Secondo il documento, in quest’area “l’Italia dovrebbe intensificare la cooperazione con i Paesi impegnati contro il terrorismo” e in generale “rifocalizzare l’attenzione sul fronte del Sud”.
La regione euro-mediterranea era già stata indicata come “area di intervento prioritario” dal Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa adottato dall’Italia nel 2015. Nella scorsa legislatura Roma si è impegnata per avere maggiore attenzione sul fronte meridionale sia dall’Ue, con il lancio della missione navale Eunavformed Sofia per contrastare il traffico di migranti, sia dalla Nato, ottenendo la creazione a Napoli di un “hub per il Sud” che dovrebbe coordinare e rafforzare le iniziative dell’Alleanza sul fronte meridionale. Tra le tradizionali priorità italiane ovviamente la Libia, col sostegno politico-militare al processo di riconciliazione nazionale, cui si è aggiunta l’impegno a sud del Sahara in chiave anti-terrorismo e di contrasto al traffico di migranti, con la nuova missione in Niger decisa nel 2017.
Per il governo oggi la questione è come confrontarsi e cooperare con gli attori più importanti per la regione, dalla Francia all’Egitto, dai potentati libici ai Paesi del Golfo. Il livello bilaterale è importante, ad esempio non lasciando cadere l’opportunità di un ‘Trattato del Quirinale’ con Parigi che bilanci l’asse franco-tedesco (sancito dal Trattato dell’Eliseo) e quello anglo-francese (rafforzato dal Lancaster House Treaty), ma va agganciato a quello multilaterale che costituisce una polizza di assicurazione e un fattore abilitante per una media potenza come l’Italia alle prese con interlocutori spesso più solidi del nostro Paese. Il doppio livello bilaterale-multilaterale, nominato esplicitamente nel contratto di governo, vale anche per il contrasto al traffico di migranti e al terrorismo, dove lo scambio di intelligence, la cooperazione tra militari, forze di polizia, guardie di frontiera, e la componente civile, è fondamentale per ottenere risultati concreti.
Difesa europea e industria nazionale
Il mix multilateralismo & bilateralismo è alla base anche degli ultimi sviluppi quanto a cooperazione europea nella difesa. Al livello multilaterale lo scorso dicembre è stata lanciata da 25 Stati membri dell’Ue la Permanent Structured Cooperation (Pesco), mentre la Commissione europea ha stanziato 500 milioni di euro per la ricerca tecnologica militare nel 2019-2010 – con l’intenzione di allocare 1,5 miliardi l’anno dal 2021 in poi tramite lo European Defence Fund (Edf). A livello bilaterale, l’Italia ha una lunga tradizione di programmi di cooperazione con la Francia nel settore navale, spaziale e missilitico, e col Regno Unito nel campo dei velivoli militari (ma adesso bisognerà affrontare il nodo Brexit), mentre non si è ancora concretizzata una stabile collaborazione con la Germania.
Il contratto di governo afferma che “è imprescindibile la tutela dell’industria italiana del comparto difesa”, nominando esplicitamente “progettazione di navi, aeromobili e sistemistica high tech”. La questione oggi per il governo italiano è duplice. Da un lato, come soddisfare al meglio le esigenze delle forze armate tramite programmi di acquisizione di equipaggiamenti prodotti in cooperazione con i principali partner europei e co-finanziati dall’Ue, via Edf e Pesco. Dall’altro, difendere e promuovere le capacità industriali e tecnologiche nazionali, inserendole in progetti di cooperazione europea sui sistemi ad alta tecnologia in campo aereo, navale e terrestre, ad esempio quanto a velivoli a pilotaggio remoto. Due obiettivi da perseguire subito, visto che i regolamenti attuativi dell’Edf saranno adottati entro settembre ed i nuovi progetti Pesco lanciati entro novembre.
Se si vuole equipaggiare le forze armate e promuovere l’industria italiana, cooperare con i Paesi del Mediterraneo contro il terrorismo e il traffico di migranti, farsi valere in ambito Ue e Nato, servono risorse adeguate per la difesa. D’altronde, non si possono fare le nozze con i fichi secchi. Il bilancio della difesa italiano è di gran lunga inferiore a quello dei principali Paesi europei. Inoltre, è rimasto al palo, mentre negli ultimi quattro anni aumentavano in tutta Europa, e continua ad essere sbilanciato a favore di personale ed uffici sacrificando addestramento ed equipaggiamenti.
“Razionalizzazione” e “cambiamento”, parole d’ordine del contratto di governo, nel campo della difesa non significano tagli, ma piuttosto riforme sulla strada indicata dal (non attuato) Libro Bianco. Documento cui peraltro aveva fatto esplicito riferimento, già in campagna elettorale, il nuovo ministro della Difesa Elisabetta Trenta.