Corea: Trump-Kim, un accordo più farsa che storia
Il vertice di Singapore tra Donald Trump e Kim Jong-un sembrerebbe avere tutti i titoli per essere definito ‘storico’. Stati Uniti e Corea del Nord hanno alle spalle una relazione di recriminazioni, ostilità e minacce. I due Paesi hanno combattuto una guerra feroce agli inizi degli Anni 50, quando gli Usa intervennero sotto l’egida dell’Onu per respingere l’invasione della Corea del Sud da parte del Nord.
Le condizioni per parlare di evento ‘storico’
L’antagonismo non si è esaurito con la fine della Guerra Fredda. Al contrario, il programma nucleare della Corea del Nord ha dato filo da torcere a ogni presidente americano da Bush padre in poi, dal momento che ha minato la tenuta del regime di non-proliferazione e trasformato l’Asia nordorientale – punto di congiuntura tra grandi potenze come Russia, Cina, Giappone e Usa – in un’area geopolitica ad alto rischio.
Il rischio di una guerra è sembrato meno remoto che mai non più tardi dell’anno scorso, quando l’Amministrazione Trump ha persuaso i suoi partner in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu (quindi anche Russia e Cina) ad adottare sanzioni draconiane in risposta ai continui test missilistici e nucleari del Nord e lo scontro retorico tra Washington e Pyongyang si è caricato di minacce e insulti personali tra Trump e Kim.
Alla luce di tutto ciò, la dichiarazione congiunta in cui Trump e Kim hanno riaffermato il comune impegno alla denuclearizzazione della penisola coreana, suggellata da una stretta di mano in mondovisione, ha tutta l’aria di un passaggio epocale. Lo smantellamento del programma nucleare nord-coreano sarebbe un colossale successo di non-proliferazione, e l’avvio di rapporti cordiali tra Stati Uniti e Corea del Nord eliminerebbe un costante elemento di rischio in Asia nordorientale.
Valutare bene quanto è accaduto prima di celebrare
Prima di stappare lo champagne, tuttavia, è opportuno valutare per bene quello che è successo. In sostanza, la novità di rilievo è che Trump ha accettato di vedere Kim. Così facendo, ha dato legittimità a un regime totalitario che gli Stati Uniti e non solo hanno sempre trattato alla stregua di una banda di gangster. Kim torna a casa circondato dell’aura mistica di un Vertice faccia-a-faccia con il leader della massima potenza militare del mondo.
Per settant’anni i leader della Corea del Nord hanno cercato un’interlocuzione diretta con gli Usa, e dagli Anni 90 in poi un incontro col presidente americano. Kim Jong-un è riuscito dove suo nonno e suo padre avevano fallito. Impossibile esagerare l’importanza di questo successo per il consenso interno al giovane leader (Kim ha solo 34 anni, nonostante sia al potere già da sette).
Ma c’è di più. Kim torna a casa con una legittimità internazionale che prima non aveva. Ora sarà difficile negare alla Corea del Nord lo status di potenza nucleare – per quanto, sulla carta, in via di disarmo -. Ancora più difficile sarà mantenere intatto il regime di sanzioni, che è ancora in piedi. La Corea del Sud, a cui va il merito di avere creato le condizioni per il Vertice con l’apertura al Nord in occasione delle Olimpiadi invernali, è più che disposta ad allentare la stretta economica su Pyongyang. E la Cina, il principale (se non l’unico) partner commerciale del Nord, nonché il suo unico fornitore di energia, non mancherà di allentare i controlli sui traffici. Le sanzioni resteranno in vigore, ma l’attuazione lascerà un po’ a desiderare.
Pyongyang centra alcuni suoi obiettivi storici
Ma c’è ancora di più. Pur non facendone menzione nella dichiarazione congiunta, Trump ha promesso di sospendere le esercitazioni militari tra Stati Uniti e Corea del Sud (definendole, prendendo a prestito i termini dalla propaganda nordcoreana, “provocatori giochi di guerra”). Il presidente americano ha anche accennato alla possibilità in futuro di riportare in patria le truppe schierate in Corea del Sud.
La sospensione delle esercitazioni militari Usa-Sud è un altro degli obiettivi storici del Nord, nonché della Cina e della Russia, che non gradiscono la massiccia presenza militare americana in Asia nordorientale. Per lo stesso motivo, il ritiro delle truppe Usa dal Sud è la massima aspirazione strategica dei tre Paesi nell’area. Per essere più precisi, Pyongyang ha sempre interpretato la denuclearizzazione della penisola coreana come un processo che includa non solo il disarmo nucleare del Nord, ma anche la fine dell’alleanza tra Washington e Seul.
Ricapitolando, Kim ha ottenuto dal vertice: consenso interno; legittimità internazionale; allentamento della stretta economica; promessa di sospensione delle esercitazioni militari Usa-Sud. Si tratta di risultati significativi. Kim oggi è più sicuro internamente e ha più spazio di manovra internazionale. Ma il suo maggiore successo è che ha conseguito tutto questa senza concedere granché.
Precedenti non incoraggianti
Non è la prima volta che la Corea del Nord si impegna solennemente a lavorare per la denuclearizzazione della penisola coreana. In passato l’aveva già fatto in numerose occasioni, soprattutto nel 1994 e nel 2005, quando l’impegno alla denuclearizzazione era stato inserito in accordi e dichiarazioni congiunte tra Nord e Usa. In ogni occasione la Corea è ritornata sui suoi passi – anche se l’accordo del 1994 ha tenuto fino ai primi 2000 ed è comunque saltato anche per responsabilità americana -.
Il testo della dichiarazione di Singapore è anche più blando degli accordi del passato. Non si parla di ‘disarmo completo, irreversibile e verificabile’, la formula che l’amministrazione Usa aveva usato nei mesi precedenti al Vertice. Non si fa parola della produzione di materiale fissile, né si allude al possibile ritorno degli ispettori internazionali. Nessuna menzione per l’arsenale balistico della Corea, né per le sue ampie dotazioni di armi biologiche e chimiche. E non si stabilisce alcun calendario per i prossimi negoziati.
In sostanza, Trump ha concesso molto, tanto, a Kim, e ne ha ottenuto in cambio poco, pochissimo. Anche se il clima più disteso rispetto all’anno scorso è senz’altro uno sviluppo positivo, siamo solo all’inizio. E se l’investimento personale dei due leader fa pensare che non vorranno fare fallire il negoziato, la vaghezza della dichiarazione di Singapore fa temere che il negoziato si protragga indefinitamente producendo risultati modesti su questioni minori.
Insomma, per il momento – ma è giusto sottolineare che è un giudizio provvisorio – l’incontro di Singapore ha più l’apparenza che la sostanza di un evento storico. Se un vertice senza precedenti alla fine farà da cornice a un accordo al ribasso, avremo assistito a uno spettacolo mediatico (che può ben essere il principale obiettivo di Trump) in cui la tediosa vicenda del nucleare nord-coreano si è ripetuta una volta ancora. E come diceva Marx, la storia non si ripete se non come farsa.