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Vertice a Singapore

Corea: Trump-Kim, speranze, scetticismi e precedenti

11 Giu 2018 - Antonio Bello - Antonio Bello

Autentico successo dell’era Trump è sicuramente la sua mediazione con il leader nordcoreano Kim Jong-un e la dichiarata volontà di entrambe le parti di trattare nel Vertice previsto il 12 giugno a Singapore. Ricordando, però, quanto accadde nel ’91, anno in cui le due Coree firmarono un trattato per la denuclearizzazione di tutta la penisola, è comprensibile che vi sia scetticismo, da parte dell’intera comunità internazionale, su una soluzione della logorante controversia. Sia perché il Vertice ha subito una serie di “stop&go”, ad esempio, a detta degli Stati Uniti, per le dichiarazioni della vice-ministra degli Esteri della Corea del Nord Choe Son-hui, che aveva definito il vice-presidente Usa Mike Pence “una stupida marionetta politica” – motivazione decisamente pretestuosa -. Sia perché è difficile credere che il leader nordcoreano sia realmente disposto a sacrificare il suo “capolavoro bellico”, per cui non ha esitato a mettersi contro l’intera comunità internazionale: è dunque lecito ipotizzare che il suo adeguamento alle condizioni poste dagli Usa, e la sua disponibilità ad incontrare Trump, siano solo una strategia “di temporeggiamento”.

Precedenti non incoraggianti con il Tnp
Non dobbiamo dimenticare che anche in passato la Corea si è apparentemente piegata ai voleri degli Usa, per poi agire di nascosto in senso contrario. Esempio lampante fu quanto accadde nel ’94, quando la Corea del Nord rientrò nel Trattato di non proliferazione nucleare prima dello scadere dei tre mesi dalla notifica di recesso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e agli Stati parte (ai sensi dall’art. X del Tnp), che avrebbero reso effettivo l’esercizio di tale diritto.

Il ripensamento fu frutto di una mediazione da parte degli Stati Uniti, che in cambio le concessero delle cospicue forniture di combustibili fossili. In realtà, però, il programma nucleare nordcoreano continuò in segreto e solo nel 2002 venne scoperto dagli Usa, tramite la Cia, con la conseguente e giustificata interruzione da parte di Washington delle forniture. Ciò si tradusse in un nuovo esercizio da parte della Nord Corea del diritto di recesso dal Tnp (e ad oggi Pyongyang non è parte del Trattato).

Il motivo della decisione sarebbe stata allora “la continua violazione della sovranità e della sicurezza della nazione a causa della politica ostile e viziosa degli Stati Uniti”. E l’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’Energia atomica, un’Agenzia dell’Onu) sarebbe stato “uno strumento degli Usa e della loro politica, ostile alla Repubblica popolare di Corea”.

Il punto di vista di Pyongyang
Quasi in contemporanena all’annullamento unilaterale da parte americana del Vertice di Singapore, avvenuto il 24 maggio e poi rientrato, la Corea del Nord aveva trasmesso sulla sua tv nazionale la distruzione della struttura di Punggye-ri, dove venivano effettuati test nucleari. Choe Son-hui aveva allora detto: “Non imploreremo gli Usa per il dialogo, né ci prenderemo il disturbo di persuaderli, se non vogliono sedersi al tavolo con noi. Se gli Stati Uniti ci incontreranno in una sala riunioni o in uno scontro nucleare, dipende interamente dalle decisioni e dai comportamenti della Casa Bianca”; ma, al di là della retorica di Choe, il dietrofront americano non era stato accolto bene da Kim e dal suo staff, perché c’era il timore di un ritorno al punto di partenza.

Ad avvalorare tale tesi, c’è il fatto che il Vertice di Singapore è poi stato riconfermato. Ma se, prima della brusca frenata del presidente Trump, i più ottimisti potevano auspicare che ne uscisse già un progetto di denuclearizzazione, adesso entrambi i leader lasciano trasparire che il loro incontro sarà più che altro una presa di contatto.

Tornando alla scenografica distruzione del complesso di Punggye-ri , è opportuno ricordare che esso non basta perché la Corea del Nord ottemperi alle richieste americane, in quanto il suo programma nucleare militare si è concluso, con successo, nell’agosto del 2017 e pertanto non necessita di ulteriori test. Inoltre, la miniaturizzazione delle testate nucleari nordcoreane ne favorisce l’occultamento, alimentando il ragionevole dubbio da parte americana di un effettivo scongiuramento della crisi nordcoreana.

Due soluzioni possibili
È chiaro che siamo ancora di fronte a una situazione ostica, per superare la quale sono state prospettate due possibili soluzioni tra di loro antitetiche. La prima soluzione è configurabile ‘ex novo’ con un modus operandi pacifico, improntato sulla cooperazione fra gli Stati e sul dialogo, andando cioè avanti lungo la linea seguita fino all’annullamento – poi rientrato – del Vertice di Singapore. Ma siccome la storia ci ha insegnato che la sua natura è ciclica, nel caso di specie si dovrebbe solo auspicare che non vi siano reiterazioni nord-coreane come avvenuto in passato (e il fallimento delle sanzioni dell’Onu, che rientrano nel quadro delle misure non implicanti l’uso della forza, non aiuta ad avallare questa prima ipotesi).

La seconda soluzione, invece, potrebbe essere un’azione coercitiva. Per quanto si possa concordare con la visione che Conforti e Focarelli hanno della dottrina Bush (definita dai due studiosi “una rozza ed arrogante espressione di forza”), non si può non convenire con l’ex presidente statunitense sull’impossibilità di trattare con “tiranni che puntualmente violano trattati di non proliferazione da loro sottoscritti” e con uno Stato ‘orwelliano’, con campi di lavoro e prigionia degni della Germania nazista. In forza di ciò, non appare fuor di luogo questa frase estrapolata dalla dottrina Bush: “I leader degli Stati canaglia sono da considerare attori irresponsabili ed irrazionali, disposti a far subire al proprio popolo una durissima reazione pur di arrecare danni ai loro nemici”.