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Rischi e opportunità

Corea/Iran: nucleare, Trump usa due pesi e due misure

21 Giu 2018 - Carlo Trezza - Carlo Trezza

Nel valutare il risultato dell’ incontro Donald Trump / Kim Jong-un a Singapore, non possiamo cadere nella trappola in cui cade Trump quando critica e cerca di smontare sistematicamente qualsiasi cosa abbia costruito il suo predecessore Barack Obama. Non possiamo quindi negare al presidente Usa il merito di aver avuto il coraggio di confrontarsi direttamente con Kim, considerato sino a poco prima come il primo dei suoi avversari.

Occorre però riconoscere anche che nell’accettare l’incontro con Kim, Trump si è solo accodato alla nuova politica di apertura verso il Nord – inizialmente da lui osteggiata – lanciata dal nuovo presidente sudcoreano Moon Jae-in dopo la sua vittoria elettorale lo scorso anno. Prima di Trump si era avvicinato a tale approccio anche Kim, a partire dal suo discorso di fine anno 2017 in cui egli indicava una disponibilità nordcoreana al dialogo, avendo il suo Paese raggiunto gli obiettivi strategici che si era prefissato nel campo nucleare e missilistico.

Una dichiarazione nell’alveo della normalizzazione
Neppure si può legittimamente sostenere, come hanno fatto alcuni, l’irrilevalanza del documento sottoscritto a Singapore. Esso va collocato nel contesto della più ampia e sostanziale dichiarazione dei due leader coreani concordata nell’aprile scorso a Panmunjom, in cui è stata definita una vera e propria ‘road map’ che dovrebbe condurre a una normalizzazione dei rapporti tra le due Coree.

La dichiarazione di Singapore è parte di tale processo. Non è un trattato internazionale, bensì una dichiarazione di intenti che dovrà essere seguita dai fatti. Ma non è banale che vi si parli di “completa denuclearizzazione”della Penisola coreana in cambio di “garanzie di sicurezza” che gli Usa darebbero alla Dprk . Ciò che non è stato ancora chiarito è cosa si intende per “denuclearizzazione” e qual è la natura delle garanzie di sicurezza.

Precedenti inquietanti e passi avanti
Non sfugge di certo ai dirigenti del Nord che l’Ucraina nel 1994 ottenne da alcune potenze nucleari “assicurazioni di sicurezza” (che includevano l’integrità territoriale) che vennero poi platealmente disattese dalla Russia con l’invasione della Crimea e con le azioni nella Ucraina orientale. Sicuramente il Nord vorrà ricevere da Washington garanzie più robuste che siano giuridicamente vincolanti e forse anche garanzie di protezione ed assistenza da parte della Cina che facciano da contrappeso a quelle che Corea del Sud riceve dagli Stati Uniti.

Nel frattempo, però, alcuni passi concreti si sono già fatti: il Nord ha distrutto, sembra in modo irreversibile, le gallerie in cui si svolgevano i suoi esperimenti nucleari e ha interrotto i lanci missilistici. Trump, a sorpresa dello stesso Pentagono, ha preannunciato la sospensione delle manovre militari congiunte Usa – Sud Corea provocatorie ed ha menzionato il possibile ritiro di forze americane dal Sud. Misure di fiducia di altro tipo sono state concordate bilateralmente a Panmunjom tra le due Coree e sono già in applicazione. Non si tratta solo di parole ma anche di gesti concreti ed impegni la cui attuazione è facilmente verificabile.

Teheran e Pyonyang, comportamenti ben diversi
Ciò che però è incomprensibile sono i diversi pesi e misure che Trump adotta nei confronti della Corea del Nord e dell’Iran. Da una parte, egli si apre al dialogo con la Dprk che ha denunciato il Trattato di Non Proliferazione nucleare, si è chiusa agli ispettori internazionali, ha effettuato sei esplosioni nucleari, si è dotata dell’arma nucleare e di relativi vettori e ha minacciato il loro impiego.

Dall’altra, egli non solo interrompe il dialogo con l’Iran, ma addiritttura fa saltare proprio l’accordo internazionale che impedisce all’Iran di fare tutto ciò che ha fatto la Corea del Nord. L’Iran è sempre stato parte del Trattato di Non Proliferazione che gli proibisce di costruirsi l’arma nucleare. Esso è ora sottoposto al regime ispettivo più intrusivo previsto dall’Aiea. Ha ridotto al minimo la sua capacità di arricchire l’uranio, ha accettato di disfarsi di quasi tutto lo stock di uranio arricchito accumulato, ha chiuso in modo irreversibile impianti considerati sensibili. Ha accettato restrizioni che vanno ben al di là di quelle imposte dal Tnp, accogliendo un modello virtuoso di intesa che potrebbe servire da precedente a tutti i Paesi che desiderano inoltrasi nella costosa e rischiosa capacità nel campo dell’arricchimento dell’uranio.

Con questo approccio discriminatorio e sconsiderato Trump non solo danneggia l’Iran, ma lo invita a riprendere le sue attività nucleari sconvolgendo gli equilibri in Medio Oriente e penalizzando i propri alleati che perdono commesse importantissime (fino a 27 miliardi di Euro per la sola Italia) danneggiando le stesse esportazioni americane tanto care al presidente Usa (circa 60 miliardi di US $ solo per la Boeing).

La ribellione dell’Europa a un approccio irrazionale
Occorre riconoscere che l’Europa politica si e’ ribellata sin dall’inizio a questo approccio irrazionale. L’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini, ha assunto e mantenuto senza esitazione un atteggiamento decisamente critico nei confronti della linea Trump sull’Iran. Purtroppo non le sarà facile mantenere questa rotta poiché le imprese europee temono le ritorsioni che la macchina punitiva americana, dopo la ripresa delle sanzioni contro l’Iran, estende anche al di fuori dei propri confini.

Contro-ritorsioni analoghe non rispondono alla cultura economico commerciale dell’Europa che sta ora cercando di mettere al riparo le proprie imprese da queste aggressività. Ci vorrà del tempo ma l’Europa non ha altra scelta, in questo caso, se non quella di allinearsi con le altre potenze commerciali danneggiate da questo confronto e con la stragrande maggioranza degli Stati che intendono tenere fede agli impegni sottoscritti con l’Iran nel 2015 che sono sanciti da una risoluzione giuridicamente vincolante del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

L’Unione europea ha giustamente salutato gli sviluppi fruttuosi che si stanno realizzando nella Penisola coreana cui verrà probabilmente chiamata a dare il proprio contributo. Nel sostenere la svolta nell’Asia Orientale, essa dovrà tuttavia porre in evidenza l’irrazionalità di mantenere due pesi e due misure così contrastanti tra loro nei confronti delle due principali crisi nucleari che la comunità internazionale sta vivendo.