Colombia: elezioni, Iván Duque nuovo presidente
Nel ballottaggio delle presidenziali vince l’estrema destra ‘uribista’ di Ivan Duque con il 53,98% dei consensi, ma la nuova coalizione progressista di Gustavo Petro ‘Colombia Humana’ ottiene un risultato importante, raggiungendo il 41,81% .
Ivàn Duque sarà il più giovane presidente della storia moderna della Colombia – il prossimo 1 agosto compirà 42 ani – . Avvocato con una specializzazione in economia alla Georgetown University , Washington DC , ha rappresentato nella campagna elettorale l’anima tradizionale della società colombiana, contraria agli accordi di pace e spaventata dalla crisi economica venezuelana.
È considerato il delfino politico dell’ex presidente e ora senatore Alvaro Uribe, che non esita a chiamare ‘Presidente eterno’, la cui influenza, potere e consenso rimangono indiscutibili a dispetto delle dozzine di indagini sul suo conto. All’interno del suo partito, il Centro Democratico, si afferma che Duque “deve” tutto all’ex presidente; per l’’opposizione, è solo il suo ‘Titère’ (burattino).
Il presidente più giovane e i legami con Uribe
Iván Duque: ¿Títere con cabeza? titola la Semana, autorevolissima testata di informazione e di approfondimento politico, usando l’innata ironia di questa terra per definire un presidente a cui è riconosciuto talento e competenza, ma che nel contempo deve guadagnarsi e dimostrare la sua reale autonomia.
La sua immagine gioviale e informale, spesso senza cravatta e in jeans, è in contrasto con le sue profonde convinzioni neocon: è fortemente contrario ai matrimoni e all’adozione gay, all’eutanasia, alla legalizzazione o depenalizzazione delle droghe e in campagna elettorale ha corteggiato tutti i settori della estrema destra patriarcale ed evangelica, come Viviane Morales e l’ex procuradore Alejandro Ordóñez,.
Un passaggio storico della transizione colombiana
Detta così può apparire solo e semplicemente come la vittoria di un passato o di una dimensione anacronistica di società; invece, queste elezioni segnano un passaggio storico della transizione colombiana con importantissimi elementi positivi:
la lunghissima contesa elettorale è stata vissuta, partecipata e soprattutto pacifica. Il dibattito ha coinvolto il Paese in un continuo esercizio dialettico escludendo sabotaggi e/o manifestazioni di violenza.
La ripetuta questione di cosa fare con i guerriglieri e il dibattito tra la linea dura e il dialogo non è stata una priorità. La questione della sicurezza, sempre brandita e strumentalizzata, ha ceduto il passo a temi di discussione dirimenti come l’educazione e l’istruzione gratuita, il diritto alla salute e il cambio del sistema di sviluppo basato sull’estrattivismo e sulle materie prime.
Il tema della corruzione è stato centrale come lo è stato il tema della povertà e delle disuguaglianze, l’occupazione, i trasporti ed il decoro pubblico, sentimenti rivoluzionari in una società soggiogata alla mera logica della delega politica.
La paura del castrochavismo e il rilievo del risultato di Petro
La paura del castrochavismo, ovvero di una deriva ‘venezuelana’ dell’economia colombiana, usata come una clava dall’uribismo contro Petro, ha sicuramente inciso, ma no ha sfondato in un’ opinione pubblica che ha rielaborato in termini di credibilità il sistema politico.
Per questo Gustavo Petro, nonostante la sconfitta, ha ottenuto un risultato rilevante con più di 8 milioni di voti e il merito di avere costruito un movimento reale e popolare, imponendo la discussione su tematiche forti e non devianti su cui non è stato impossibile indugiare.
L’ex guerrigliero e controverso ex sindaco di Bogotà ha personificato il sentimento anti-establishment, ma soprattutto ha imposto un’agenda programmatica su cui tutta la sinistra si è riunita con la sola eccezione di Sergio Fajardo, che ha dichiarato di votare scheda bianca.
L’opzione di dare un significato politico al voto in bianco fatta da Fajardo e da Humberto de la Calle – capo negoziatore per il governo dell’accordo con le Farc – è stata fortemente ridimensionata e non capita dai colombiani (circa il 4%) mentre sono apparse straordinariamente efficaci le strategie di comunicazione dei due candidati verso i loro elettorati di riferimento: Petro vince a Bogotà con più di 400.000 voti su Duque (che però recupera), nelle città di Bacaramanga e Cali e in molte province della costa; l’uribismo conserva il suo forte consenso nel ventre molle del Paese e nelle roccaforti terriere dell’Antioquia, Eje Cafetero e Risaralda.
Il candidato della Colombia Humana ha riconosciuto la sconfitta e potrà sicuramente fare valere il consenso ricevuto come capo dell’opposizione politica, risultando un’esperienza significativa anche per tutta la sinistra latinoamericana.
La Colombia che cambia si è data un nuovo presidente, ma soprattutto ha un nuovo confronto, serio e “spiegabile”, e di questo, forse con più calma – principalmente in Colombia, dove non è affatto amato – si dovrà dare merito a Juan Manuel Santos e al suo importante mandato.
Ci sono le ragioni dell’ottimismo.