Venezuela: elezioni, senza alternative a Maduro e alla crisi
Nel 2013, Nicolàs Maduro vinse le prime elezioni presidenziali post-chaviste in Venezuela per 300.000 voti: una vittoria risicata, che lasciò trapelare la già scarsa popolarità politica del nuovo presidente. Ora, nonostante la drammatica crisi economica e umanitaria che sta colpendo il Venezuela, il partito del presidente ha stravinto le elezioni amministrative del 2017 e Maduro si appresta a essere rieletto per i prossimi sei anni. Eppure, il voto del 20 maggio, ancor prima di conoscerne i risultati, è già democraticamente delegittimate.
L’anticipo del voto contestato e la situazione dell’opposizione
La decisione di anticipare le elezioni a maggio, al fine di sfruttare le divisioni interne agli oppositori anti-governativi, ha scatenato una forte reazione. Mesa de Unidad Democràtica, la coalizione che riunisce molti dei partiti che si oppongono al governo di Maduro, ha già dichiarato che boicotterà il voto, denunciando il clima di repressione cui sarebbero sottoposti i suoi attivisti.
I leader più carismatici del fronte anti-Maduro sono stati esclusi preventivamente dalla corsa, lasciando la strada spianata all’astensionismo e alla conferma del presidente in carica. Henrique Capriles, cui nel 2013 sfuggì una clamorosa vittoria alle elezioni presidenziali, non potrà candidarsi essendo stato accusato di irregolarità amministrative quando era governatore della regione di Miranda, così come Leopoldo Lopez, esponente di spicco del partito Primero Justicia, arrestato per i disordini del 2014.
Sono rimasti a contendere la presidenza a Maduro tre candidati: Claudio Fermìn, politico di lungo corso, con scarsissima popolarità; il pastore evangelico Javier Bertucci; e Henri Falcòn, ex governatore dello stato di Lara e leader di Avanzada Progresista. Quest’ultimo, sebbene il suo partito sia stato catastroficamente sconfitto alle elezioni amministrative, è l’unico che può politicamente sfidare Maduro. La candidatura di Falcòn ha però qualcosa di ambiguo perché la sua corsa alla presidenza serve quasi a legittimare la democraticità del voto del 20 maggio.
Un regime isolato in un contesto geo-politico mutato
Rispetto al 2013, a rendere ancora più precario il processo democratico in Venezuela è il mutamento dello scacchiere geopolitico nel continente sud-americano, che relega il governo di Maduro all’isolamento politico. All’ottavo Vertice dell’Americhe, a Lima, in aprile, il Venezuela non è stato invitato, scatenando la timida reazione solo di Bolivia, Cuba, Ecuador e Nicaragua. A livello internazionale, gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno chiesto di posticipare il voto per garantire la partecipazione di tutte le forze politiche del Paese, criticando le violenze del governo di Maduro.
Le elezioni di maggio avvengono mentre l’economia venezuelana continua la sua caduta verso il baratro. Il Pil del Paese si è contratto del 16% nel 2016 e del 14% nel 2017 e nel 2018 si prevede un’ulteriore caduta del 15%. Secondo le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale, l’inflazione in Venezuela, arrivata al 2.400% l’anno scorso, raggiungerà il 13.000% quest’anno: una situazione che ha già portato il bolivar venezuelano a perdere il 99,9% del suo valore in dollari negli ultimi due anni.
La crisi economica e umanitaria
Nel 2017 le proteste anti-governative furono sedate con violenza dalle forze militari, offrendo una visione collettiva globale della crisi venezuelana. Oggi, però, le immagini che arrivano dal Venezuela non sono più quelle degli scontri tra manifestanti e polizia, ma delle lunghe fila di persone che attraversano il confine, a testimonianza della crisi umanitaria che i venezuelani stanno vivendo. L’Osservatorio venezuelano di Conflittualità sociale ha registrato 2.414 proteste nei primi 90 giorni del 2018, un incremento del 93% rispetto al medesimo periodo nell’anno precedente. Delle recenti proteste, però, solo il 15% hanno avuto motivazioni puramente politiche. La maggioranza di esse è stata originata dalla rivendicazione per i diritti economici, in gran parte legati alla crisi alimentare.
La cornice macro-economica internazionale non favorevole e le pessime strategie di politica economica del governo Maduro hanno progressivamente eroso la capacità dell’economia venezuelana di produrre persino beni di prima necessità. Il declino dei prezzi del petrolio e la crescente riluttanza dei creditori, persino di Russia e Cina, a concedere nuovi prestiti rende sempre più difficile l’accesso del Venezuela alla valuta estera con cui acquistare e importare merci basilari per la vita quotidiana.
Il sistema sanitario è al tracollo: mancano sia medicinali che personale medico. Secondo dati recenti rilasciati dal governo venezuelano, nel 2016, la mortalità infantile è aumentata del 30% e i casi di malaria fino al 76%. E’ stata anche registrata la ricomparsa di malattie sconfitte dagli Anni ’90, come la difterite.
L’esodo crescente verso gli Stati confinanti
Il crollo economico venezuelano sta diventando una crisi umanitaria a livello regionale con l’esodo, in misura sempre crescente, di cittadini venezuelani verso gli Stati confinanti. Agli inizi del 2018, il numero di venezuelani che lasciava il Paese era di circa 5000 persone al giorno. Lo Stato che maggiormente sopporta il peso dei flussi migratori dal Venezuela è la Colombia.
Molti venezuelani attraversano temporaneamente il ponte di Simon Bolivar, che divide la Colombia e il Venezuela, per procurarsi beni di prima necessità, ma molti altri rimangono in Colombia, il che ha indotto il governo colombiano a rafforzare la presenza militare al confine tra i due Paesi. In Brasile, il governo dello Stato di Roraima ha dichiarato che, dal 2016, sono giunte dal Venezuela circa 30.000 persone: il presidente brasiliano Michel Temer ha dichiarato lo stato d’emergenza nella regione.
Nonostante la retorica ufficiale del governo venezuelano neghi l’esistenza di una crisi umanitaria, è innegabile che il Paese sta attraversando una congiuntura economico-politica drammatica, in cui i venezuelani hanno difficoltà ad accedere a beni e servizi primari. Purtroppo però le prossime elezioni presidenziali non lasciano nessuno spiraglio di cambiamento. Con l’irrigidimento delle libertà democratiche e l’esclusione degli avversari politici, Maduro si prepara a consolidare il suo potere, lasciando ai venezuelani l’onere della sua vittoria.