Migranti: Sar fra i marosi, tra status quo e stallo politico
Il silenzio delle istituzioni governative sembra calato sul soccorso in mare dei migranti, a fronte del risalto di questioni strategiche come il Global Compact o l’andamento (per noi) negativo del negoziato di riforma del Sistema di Dublino. Sarà l’effetto della stasi politica, sarà per via delle questioni irrisolte con Tripoli, ma il nodo del salvataggio marittimo (Sar) e del ‘luogo sicuro’ diverso dall’Italia dove trasportare i migranti, in passato oggetto di diatribe con Frontex, agita sempre meno le cronache. Di tanto in tanto, si accende però qualche fiammata, ad indicare che il fuoco cova sotto la cenere. Certo, gli arrivi in Italia sono nettamente diminuiti rispetto al 2017. Ma c’è da chiedersi se l’attuale situazione d’incertezza, che alimenta le speranze di masse di persone pronte ad imbarcarsi verso l’Italia, sia destinata a consolidarsi.
La Sar della Libia
Dopo il proclama libico del 10 agosto 2017 che escludeva l’intervento autonomo di navi straniere nella propria zona Sar, i cui limiti erano identici a quelli della sovrastante zona Fir di controllo traffico aereo, a fine 2017 c’è stato un cambiamento. L’Organizzazione Marittima Internazionale (Imo) ha infatti comunicato che Tripoli ha revocato la sua pretesa. I motivi non si conoscono. In un’interrogazione presso il Parlamento europeo ci si chiede come mai non sia stato dato adeguato supporto alle istituzioni marittime libiche.
In effetti, l’Ue finanzia l’addestramento Sar libico e la costituzione di un idonea centrale operativa a standard Imo, affidandone la realizzazione alla nostra Guardia costiera. All’attività di formazione concorre anche la missione Eunavfor Med Sophia. A livello ufficiale, non sono chiari i motivi per cui le capacità Sar libiche non siano ancora a regime. Da alcune parti, si sostiene che la Libia, stanti tali carenze, abbia giurisdizione solo sino alle 24 miglia della sua zona contigua, ma non in acque internazionali.
La posizione italiana
Duplice (ma qualcuno potrebbe dirla ambivalente) è attualmente la posizione italiana: da un lato, si continua a dare sostegno alla Guardia costiera libica come dimostrato dalla visita a Tripoli del ministro dell’Interno Marco Minniti di qualche giorno fa, sulla base di una policy incentrata sul contestato memorandum d’intesa italo-libico del 2 febbraio 2017. Dall’altro, la nostra Autorità Sar – considerando forse la carente legittimazione dell’omologa struttura tripolina e i dubbi sul rispetto dei diritti umani nei centri di raccolta libici (peraltro controllati da Unhcr, Iom e Ong) – continua in proprio a coordinare le attività di soccorso nell’ipotetica zona Sar libica anche a mezzo di Ong lì presenti.
Per comprendere tale situazione, bisogna considerare che l’organizzazione di soccorso italiana – di fatto estesa in un’area di più di un milione di chilometri quadrati, dall’Italia alla Libia – opera sotto l’”imperio della legge”. Essa, per non incorrere in reati di omissione, oltre che per etica professionale, applica rigidamente il principio Imo secondo cui, ricevuta una chiamata di soccorso, l’attività Sar deve continuare sino alla fine delle operazioni, coincidenti con il trasporto in idoneo luogo sicuro (cioè in Italia). A meno che non intervenga un altro Paese che offra eguali garanzie di trattamento delle persone salvate.
Il ruolo delle Ong straniere nelle operazioni Sar dirette dalla centrale operativa di Roma, inizialmente limitato dal Codice di condotta dell’Interno per rispettare la giurisdizione libica, è stato rivalutato dopo una pronuncia della magistratura. È noto infatti che Il Gip del Tribunale di Ragusa non ha convalidato il sequestro della nave spagnola ‘Open Arms’. La motivazione del provvedimento stabilisce inequivocabilmente, al di là di qualsiasi visione politica delle relazioni con Tripoli, che la nave ha disobbedito per necessità alle direttive di agevolare il soccorso da parte libica, in quanto, “a fronte delle informazioni attualmente disponibili, che indicano ancora la Libia come luogo in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani … , non si ha prova che si sia pervenuti in Libia o in porzioni del suo territorio a un assetto accettabile di protezione dei migranti soccorsi in mare”.
Forze in campo
Molte sono in Italia le entità che operano nel settore dell’accoglienza dei migranti salvati. Tra l’altro l’Ue, lasciando trapelare la possibilità di stanziare fondi dedicati a noi (e alla Grecia), sembra fornire un tempestivo assist. Proprio nel momento in cui il Def approvato dal Governo Gentiloni indica in circa cinque miliardi di euro (di cui uno riservato al soccorso in mare) i costi di assistenza.
Pensare che ci possano essere cambiamenti a tale status quo in tempi medio-brevi appare purtroppo irrealistico. Si ipotizza non a caso che solo nel 2020 la Libia potrà avere piena titolarità delle funzioni Sar.
Scomparsa dalla scena mediterranea Malta, mai sviluppata la nostra cooperazione Sar con Tunisia, Algeria ed Egitto, senza speranza la possibilità che Francia o Spagna accettino di essere il luogo di approdo di una Ong di loro bandiera, poco interessata la Grecia a questioni diverse dal respingimento di migranti verso la Turchia, limitata la valenza Sar delle operazioni navali e marittime Ue, il futuro prossimo potrebbe dunque vederci sempre più impegnati nel ruolo giocato attualmente.