Libano: Hariri giù, Hezbollah su, ma problemi irrisolti
Domenica 6 maggio, per la prima volta dopo quasi un decennio, i libanesi sono tornati alle urne per rinnovare il loro Parlamento, rilanciando il processo democratico. L’esito delle elezioni ha confermato i sondaggi che prevedevano il successo di Hezbollah in Parlamento (14 deputati) e la sconfitta del primo ministro Saad Hariri (da 32 a 21 deputati).
Nonostante la perdita di un terzo dei suoi seggi, il leader sunnita ha dichiarato che “il Libano può essere governato solo da tutte le sue componenti politiche e chi dice il contrario inganna se stesso”, sottolineando la complessità di un sistema basato sul confessionalismo.
I 583 candidati (77 liste) si sono contesi i 128 seggi parlamentari ripartiti in 15 nuovi distretti (‘caza’). In seguito all’adozione l’anno scorso di una nuova legge elettorale, le elezioni si sono svolte con la ripartizione dei seggi con il metodo proporzionale, permettendo una rappresentanza più equilibrata con due voti, uno per la lista e l’altro di preferenza a un candidato a livello di distretto. Anche se le quote settarie sono state mantenute, il nuovo sistema dava una speranza di competere a candidati della società civile.
Tra disincanto e immobilismo, l’ora del cambiamento
Sui 3,8 milioni di elettori registrati, meno della metà s’è recata alle urne. Con un’affluenza intorno al 49% dell’elettorato, si conferma la sfiducia dei libanesi nella politica del Paese. Anche se il cambiamento della legge elettorale ha permesso per la prima volta il voto degli espatriati, l’appello alla mobilitazione è stato sostanzialmente ignorato.
Inoltre, il voto è avvenuto in un periodo di disincanto per la popolazione libanese, in preda a difficoltà sia economiche che sociali e che accusa il governo d’immobilismo.
Nonostante una mobilitazione alta delle Forze armate libanesi (20.000 uomini) per l’evento, ci sono stati diversi incidenti tra elettori di diversi campi politici o religiosi che riflettono la forte divisione tra i libanesi alimentata da un divario socio-economico profondo nella popolazione.
Le difficoltà socio-economiche
Con un debito pubblico fra i più elevati del mondo (150% del Pil, secondo il Fmi) e una crescita debole prolungata, i nuovi eletti dovranno concordare a breve un piano economico che permetta una stabilità macro-economica e attuare riforme strutturali.
Infatti, il supporto offerto dalle conferenze internazionali– gli 11 miliardi di dollari di finanziamento promessi durante la conferenza Cedre a Parigi -, mirate a fare uscire il Libano da una situazione di blocco e tensioni tangibili, non sembra sufficiente a rilanciare il Paese dei Cedri.
A ciò si aggiunge una pessima gestione del servizio pubblico (inesistente per l’elettricità e l’acqua e nella recente crisi dei rifiuti) e delle infrastrutture che dura da anni, la crisi dei profughi siriani (un quarto della popolazione totale del Paese) e un contesto regionale poco stabile, tutti problemi per cui i diversi programmi elettorali non promettono grandi cambiamenti.
La nuova maggioranza e l’insieme dei partiti dovranno fare grandi sforzi verso il cambiamento per prevenire una nuova crisi politica e tensioni all’interno del Paese.
La svolta del Partito di Dio
Con la Rivoluzione dei Cedri dopo l’assassinio nel 2005 del ex premier Rafiq Hariri, padre di Saad, si era verificato una profonda divisione politica. Da allora si sono principalmente scontrati da un lato la Coalizione dell’8 Marzo (pro-Assad e filo-iraniani), dall’altro la Coalizione del 14 Marzo (anti-Assad, filo-sauditi). Le alleanze man mano si stanno modificando.
Negli ultimi anni, Hassan Nasrallah (leader del Hezbollah) è riuscito a crearsi un posto dominante nel paesaggio politico libanese, soprattutto grazie alle sue alleanza con il partito Amal (sciita), con Nabih Berri, incrollabile presidente del Parlamento dal 1992, e con il Movimento patriottico libero (Mpl) di Michel Aoun, attuale presidente della Repubblica di confessione cristiana-maronita. Nelle elezioni di domenica, l’unità del tandem sciita è stata determinante per fare pendere la bilancia nel loro favore e confermare il successo del Partito di Dio.
Ai musulmani, è riservata la metà dei seggi in Parlamento: dei 27 che spettano agli sciiti, Hezbollah e i suoi alleati ne hanno ottenuto la quasi totalità (26). Questo risultato permette loro di consolidare il potere in Parlamento.
Se il blocco tra Hezbollah e i suoi alleati non può decidere da solo le ampie e necessarie riforme, la sua voce sarà però essenziale nel prendere decisioni strategiche importanti.
Dall’altro lato, Hariri e il suo movimento ‘Future’- con un programma senza grandi cambiamenti – non hanno ottenuto il risultato aspettato e registrano una perdita consistente in Parlamento, da 32 a 21 seggi, pagando il prezzo del dissenso profondo tra le forze sunnite, alcune delle quali hanno raggiunto il Partito de Dio. Nonostante tutto, Hariri si conferma come leader dei sunniti e sarà molto probabilmente designato di nuovo primo ministro in virtù del sistema confessionale.
Da notare anche l’avanzata sorprendente delle Forze Libanesi di Samir Geagea (da 8 a 15 seggi), partito cristiano non alleato di Aoun e nemico di Hezbollah, che ora avrà più peso in Parlamento.
Persistenza dell’establishment?
Gli osservatori lo avevano anticipato: non ci sarebbe stato un totale rinnovamento, soprattutto con un sistema in cui si deve ancora rispettare una parità islamo-cristiana scrupolosa (64 seggi sia per i cristiani che per i musulmani) e la divisione confessionale tra le diverse comunità.
Per di più, la tenuta di queste elezioni rappresentava anche una sfida regionale. Con un Hezbollah pro-iraniani e un Hariri molto legato ai sauditi, i risultati sono stati determinanti anche per questi due vicini rivali ingombranti – Iran e Arabia Saudita-, che cercheranno sicuramente di usare la loro influenza nel Paese dopo l’elezione.
Inoltre, c’era una speranza di rilancio democratico con l’entrata in politica – permessa dalla nuova legge – di candidati provenienti dalla società civile, che rivendicano la lotta contro la corruzione o che rifiutano di allearsi con candidati confessionali. I deludenti risultati ottenuti, con un solo candidato eletto, hanno confermato che la società civile che non riceve adeguati finanziamenti dallo Stato e non può fungere da contrappeso ai partiti tradizionali che controllano da anni il Paese.
L’esito delle elezioni riflette anche altre delicate questioni. Da un lato, la rappresentanza delle donne in Parlamento è ancora quasi inesistente (6 su 128); dall’altro, i diritti di alcune comunità tra cui i palestinesi e gli ebrei continuano a essere ignorati. I risultati del voto sono quindi lontani dal risolvere le grandi sfide del Libano e dal garantire la sua stabilità. Ciò che è certo è che la formazione del nuovo governo potrebbe richiedere molto tempo.