IAI
Analisi di programma

Italia/Ue: contratto di governo, in cauda venenum

22 Mag 2018 - Gianni Bonvicini - Gianni Bonvicini

Lima a destra, lima a sinistra, modifica, aggiungi e togli, alla fine il programma /  contratto M5S e Lega ha cambiato tono perfino sulla tanto contestata Unione europea. Innanzitutto, dalla lettura dell’intero testo si evince chiaramente che le politiche dell’Ue pervadono tutti, o quasi, i settori della vita nazionale: dalla giustizia all’economia, dall’emigrazione ai campi nomadi. Il richiamo alle misure comunitarie è necessariamente continuo: un implicito riconoscimento che l’Ue è parte imprescindibile delle nostre scelte nazionali e per forze ‘sovraniste’ ed euroscettiche questa deve essere una dura constatazione.

Si comincia con il piede giusto
Detto ciò, per quanto riguarda l’impegno comunitario dell’Italia si comincia con il piede giusto: in uno dei paragrafi del primo punto del contratto si sottolinea la necessità di rafforzare il coordinamento fra le varie componenti nazionali che negoziano con Bruxelles: governo, amministrazioni pubbliche e perfino gruppi parlamentari, al fine di presentare una posizione univoca in sede comunitaria.

Ottima intenzione quella di un migliore coordinamento interno italiano e vecchio problema mai completamente risolto. Magari sarebbe stato opportuno indicare anche i meccanismi per assicurare un tale coordinamento onde evitare lo storico contrasto fra Farnesina e ministro (o sottosegretario) per gli Affari comunitari.

Ritornano poi di attualità vecchi punti di vista italiani, come la revisione degli accordi di Dublino sull’immigrazione o la richiesta di non calcolare nel deficit gli investimenti pubblici produttivi o perfino la proposta, invero un po’ criptica, “di intervenire per il pieno superamento dei campi rom in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea”.

Grandi timori e pericoli paventati, non proprio esagerazioni
Ma stando così le cose, come si giustifica il grande timore che il programma / contratto solleva quasi indistintamente nelle cancellerie europee, nelle istituzioni comunitarie e nella grande stampa internazionale? Si paventa il pericolo che politiche irresponsabili da parte del futuro governo italiano finiscano per creare le premesse di una prossima crisi dell’euro e questa volta con conseguenze ben più gravi di quanto già avvenuto con la Grecia. Si sottolinea che l’Italia è “too big to fail” e che un evento del genere sarebbe paragonabile al dramma europeo della Brexit.

Esagerazioni? Solito giudizio conformista sulla mancanza di credibilità del nostro Paese? Non proprio. Torniamo al testo del contratto. Un intero paragrafo, il 29°, è dedicato all’Ue. L’incipit è anche qui in linea con una vecchia idea renziana e del precedente governo (espressa dal sottosegretario Sandro Gozi): ritornare ai criteri di convergenza macroeconomica di Maastricht. Si legge: “alla luce delle problematicità emerse negli ultimi anni, l’Italia chiederà la piena attuazione degli obiettivi stabiliti nel 1992 con il Trattato di Maastricht”.

Tra Trattato di Maastricht e Fiscal Compact
In altre parole tornare al deficit al 3% abbandonando la pretesa del successivo Fiscal Compact di arrivare in qualche anno al pareggio di bilancio. Piccolo problema: il Fiscal Compact è un accordo internazionale sottoscritto e ratificato nel 2013 da ben 25 Paesi sui 28 che allora facevano parte dell’Ue e se si vuole ‘dismetterlo’ va rinegoziato da tutti i 25. Solo così si ritornerebbe a Maastricht.

Il contratto M5S-Lega continua quindi il ragionamento sottolineando i punti centrali del Trattato di Maastricht che devono essere rafforzati: promuovere il progresso economico e sociale, estendere alla Bce lo statuto vigente delle principali banche centrali del mondo, affermare l’identità europea sulla scena internazionale, stretta cooperazione nel campo della giustizia e così recitando. Quasi un peana sulle virtù e potenzialità del Trattato di Maastricht, riconfermate dal vigente Trattato di Lisbona.

Ritorno all’ ‘età dell’oro’ e revisioni dei Trattati
Da non credere, se poi qualche paragrafo più avanti il tono non cambiasse radicalmente. “In cauda venenum” si sarebbe tentati di dire: si enuncia infatti “lo spirito di ritornare all’impostazione delle origini in cui gli stati europei erano mossi da un genuino intento di pace, fratellanza, cooperazione e solidarietà: si ritiene quindi necessario rivedere, insieme ai partner europei, l’impianto della governance economica europea” dalla politica monetaria in giù.

Questo passaggio si ricollega al punto 8 del contratto in cui in modo ben più esplicito si propone una revisione delle politiche sul deficit “attraverso la ridiscussione dei Trattati dell’Ue e del quadro normativo principale a livello europeo”. Insomma, a leggere questi punti, invero piuttosto confusi, sembrerebbe che neppure Maastricht vada bene, ma che si favoleggi su uno spirito pre-Maastricht dove regnava la fratellanza e la solidarietà.

Un ripasso della storia dell’Unione farebbe bene. Lo spirito pre-Maastricht può essere letto in due modi. Il primo è la cancellazione dell’euro e il ritorno alla vecchia Comunità europea dove lotte e insofferenze non mancavano davvero: dalla politica della sedia vuota di De Gaulle nel 1965 alla perentoria richiesta della signora Tatcher “I want my money back”, che ha definitivamente indebolito la struttura del bilancio comunitario; per non parlare poi dell’inflazione a due cifre della lira e dell’assenza di un mercato unico europeo.

La seconda lettura è invece quella di un lunghissimo e faticoso sforzo per arrivare sia a un mercato unico europeo (l’Atto Unico del 1986, prima revisione del Trattato di Roma) e di completarlo e consolidarlo con il percorso verso la moneta unica, il tutto sotto la guida illuminata del grande Jacques Delors. Era questo il vero spirito europeo dell’epoca che, nel pieno del grande sommovimento geo-politico della fine degli Anni ’80 (crollo dell’Urss e riunificazione tedesca), dava vita al Trattato di Maastricht e al tragitto verso l’euro.

La vera solidarietà era proprio questa: l’euro come collante di una volontà di unificazione politica. Quindi rimettere in questione l’euro significa cancellare il futuro dell’Ue. Il contratto M5S-Lega quindi si distanzia radicalmente dall’approccio che anima sia l’impostazione data da Macron al futuro dell’Uem sia dalle enunciazioni del programma del nuovo governo tedesco: non guarda al futuro e ai necessari miglioramenti dell’euro, ma si concentra sulla negazione del passato.

Non ci fa ‘sognare’, ma ci riporta ai climi antagonisti dei periodi bui della storia dell’Unione. Il rischio è che con questo spirito aumentino i timori dei nostri partner, a cominciare dai tedeschi, sulla sostenibilità di un piano di riforma dell’euro che deve assolutamente partire per potere rimediare, anche a nostro vantaggio, alle ovvie insufficienze della moneta unica. Ma per farlo non si può rinunciare alla presenza e al contributo dell’Italia (o almeno così speriamo).

Il Consiglio europeo di giugno è ad un passo, ma questo programma / contratto confuso e rivendicativo non ci fa davvero sperare nel meglio. E non crediamo neppure che esso aiuti il nostro Paese ad ottenere nuove regole di governo dell’euro, a noi più favorevoli delle attuali.