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Non solo Arabia Saudita

Golfo: riforme e successioni, binomio per Kuwait e Oman

13 Mag 2018 - Eleonora Ardemagni - Eleonora Ardemagni

Riforme e successioni nel Golfo: non solo Arabia Saudita e Mohammed bin Salman. Infatti, questo binomio è osservabile, con stili differenti, anche in Kuwait e Oman, due Paesi che rappresentano un Golfo assai diverso – e spesso politicamente alternativo – rispetto all’assertiva diarchia saudita-emiratina. Kuwait City e Mascate hanno inaugurato complessi percorsi di riforma economico-sociale: i problemi sono i medesimi (entrate petrolifere limitate, saturazione del settore pubblico, disoccupazione giovanile), così come le strategie individuate per affrontarli (tagli a spesa e sussidi, investimenti stranieri, privatizzazioni, mega-progetti infrastrutturali, valorizzazione del patrimonio archeologico-culturale e turismo).

La sfida economica si intreccia con la delicata partita delle successioni al trono: l’emiro del Kuwait, Sabah Al-Ahmed Al-Sabah, ha 89 anni, mentre il sultano dell’Oman, Qaboos bin Said Al-Said, ne ha 77 ed è gravemente malato dal 2014. Prima o poi, i successori dovranno confrontarsi non solo con pesanti eredità politiche (anche in chiave di diplomazia regionale), ma con la stessa transizione oltre lo ‘stato della rendita’.  E chi si è distinto nella gestione del post-oil potrebbe avere più carte da giocare.

Kuwait, riforme e veti
Kuwait, Oman e Bahrein hanno rimandato al 2019 l’imposizione dell’Iva al 5%, introdotta da Riad e Abu Dhabi nel 2018: in mancanza di misure di compensazione sociale, l’impatto politico sarebbe troppo forte. La ‘Vision 2035’, strategia di diversificazione economica elaborata dal Kuwait nel 2010 (dunque sei anni prima dell’ormai celebre ‘Vision 2030’ saudita), è in parte bloccata dall’Assemblea nazionale.

I deputati kuwaitiani, spesso esponenti del ceto commerciale, resistono alle privatizzazioni, temendo anche la concorrenza della famiglia reale degli Al-Sabah, sempre più coinvolta negli affari economici: nuove reti di clientela stanno ridisegnando gli equilibri di potere economico tra la dinastia reale e l’élite mercantile. In più, il 90% dei nationals lavora nel settore pubblico: di fronte ai programmi di ‘kuwaitizzazione’ del lavoro privato, gli imprenditori temono l’aumento dei costi.

Oman al rallentatore
In Oman, la strategia quinquennale di riforma, lanciata nel 2016, si chiama Programma nazionale di Rafforzamento della Diversificazione economica (Tanfeedh). La strada è però ancora lunga: una ‘Vision 2040’ è infatti in lavorazione. Grazie a joint ventures e capitali stranieri, Mascate progetta un nuovo asseto socio-economico entro il 2020, fondato su infrastrutture, commercio, turismo, industria manifatturiera, pesca e settore minerario, ‘omanizzando’ il lavoro privato. Ma il petrolio rappresenta ancora l’83% delle entrate (contro il 2% del turismo) e l’88% dei lavoratori del settore privato è straniero (soprattutto indiani).

Kuwait e Oman stanno investendo in grandi opere, assecondando un trend che coinvolge l’intera sponda arabica del Golfo. L’emirato ha rilanciato ‘Silk City’, nuova città del commercio e della tecnologia che dovrebbe attrarre investimenti asiatici: il governo legherebbe questo progetto a un’altra iniziativa avveniristica, ovvero la zona economica integrata che collegherà cinque isole disabitate (tra cui Boubyan) tramite canali in stile veneziano. Il sultanato ha invece puntato sull’hub portuale di Duqm e sulla sua Zona economica speciale (con investimenti cinesi e indiani), nonché sul potenziamento del porto di Salalah nel Dhofar.

Eredi al trono possibili
La salute dell’80enne principe ereditario del Kuwait è incerta, mentre il figlio maggiore dell’attuale emiro, ovvero il 70enne Nasser bin Sabah Al-Ahmed Al-Sabah, è in forte ascesa. Nominato vice primo-ministro e ministro della difesa nel dicembre 2017, Nasser conosce bene gli ingranaggi e le trappole del parlamentarismo kuwaitiano, ma ha l’allure del modernizzatore: è capo del Segretariato per la Pianificazione e lo Sviluppo, ha forti contatti con il mondo asiatico, è capo di due holding private.

A Kuwait City, si prepara una successione verticale (da padre a figlio) e non più orizzontale (tra fratelli): nel 2006, è saltata la regola informale dell’alternanza fra i due rami degli Al-Sabah (Salem e Jaber, le discendenze dei due figli del fondatore), aprendo a potenziali lotte intra-dinastiche.

Il caso dell’Oman è più complicato. Com’è noto, Qaboos non ha eredi in linea diretta: secondo lo Statuto, entro tre giorni dalla sua scomparsa, il Consiglio della Famiglia reale è chiamato a determinarne il successore. In caso di disaccordo, il Consiglio di Difesa nominerà il candidato prescelto da Qaboos, il cui nome è contenuto in due lettere sigillate (a Mascate e a Salalah). In prima linea ci sono i tre cugini, soprattutto il 64enne Asaad bin Tariq, che dal 2017 svolge il ruolo, vacante da tempo, di vice primo-ministro e rappresentante speciale del Sultano. La sorpresa potrebbe essere il 38enne Taimur, figlio di Asaad, capo della seconda banca islamica del Paese.

Nasser e Asaad, con un profilo di businessmen reali, incarnano i leader del futuro: la gestione del potere richiederà, però, più collegialità e meno verticismo. E la continuità in politica estera non potrà che essere la bussola dei loro regni: questo è ciò che li contraddistingue e li preserva dall’instabilità. Nonché dalle ricadute dell’avventurismo regionale di emiratini e sauditi.

Foto di copertina © Nie Yunpeng/Xinhua via ZUMA Wire