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Il 12 giugno a Singapore

Corea: verso il vertice Kim-Trump, le incognite del negoziato

20 Mag 2018 - Rodolfo Bastianelli - Rodolfo Bastianelli

Il vertice tenutosi a Panmunjom lo scorso 27 aprile tra il presidente sudcoreano Moon Jae-in ed il leader nordcoreano Kim Jong-un è stato salutato con entusiasmo da parte della comunità internazionale, la quale auspica che lo storico incontro programmato il prossimo 12 giugno a Singapore tra quest’ultimo ed il presidente degli Stati Uniti Donald Trump possa condurre ad un accordo di pace nella penisola, nonostante il clima teso venutosi a creare negli ultimi giorni.

Tuttavia, nonostante i toni ottimistici, il summit intercoreano non ha per il momento ancora risolto nessuna delle questioni aperte, a cominciare da quella riguardante lo smantellamento del programma nucleare di Pyongyang. Come è stato sottolineato da diversi analisti, i risultati concreti dell’incontro sono per il momento molto limitati e la stessa dichiarazione comunicata al termine dei colloqui riprende in sostanza i termini di quella rilasciata già nel 2000, a conclusione della visita compiuta in Corea del Nord dall’allora presidente sudcoreano Kim Dae-jung, che incontrò l’omologo di Pyongyang Kim Jong-il, e dell’altra seguita all’incontro avvenuto nel 2007 tra quest’ultimo e Roh Moo-hyun per Seul.

La strategia della distensione
La stessa intenzione del governo della Corea del Sud di riaprire il complesso industriale di Kaesong – l’impianto situato in territorio nordcoreano avviato nel 2004 con la partecipazione di cinquanta aziende sudcoreane e poi chiuso nel 2016 a causa delle crescenti tensioni sorte tra i due Paesi – nonché di dare il via ad altri progetti di cooperazione con la Corea del Nord non potranno essere realizzati finché le sanzioni economiche varate nei confronti del regime di Kim non verranno almeno parzialmente eliminate.

Se si esclude quindi la decisione di stabilire un canale di comunicazione diretta tra Pyongyang e Seul, l’incontro ha avuto essenzialmente un valore simbolico prima di quello tra Trump e Kim Jong-un, cercando di creare un clima positivo affinché questo possa condurre a risultati politici concreti.

I dubbi sull’esito del vertice continuano quindi a rimanere, nonostante Pyongyang abbia inviato un segnale di apertura verso Washington rilasciando tre cittadini statunitensi ancora prigionieri nel Paese.

Le opinioni degli osservatori difatti divergono non solo sulle concessioni che entrambe le parti dovrebbero fare per arrivare ad un compromesso ma soprattutto su quali siano le intenzioni di Kim Jong-un. Come sottolineato dal New York Times, il leader nordcoreano avrebbe come obiettivo sia quello di consolidare lo status di potenza nucleare per il suo Paese sia quello di ottenere la cancellazione di alcune sanzioni economiche, e questo senza effettuare alcun passo concreto verso la denuclearizzazione ma compiendo solo dei gesti simbolici ma privi di contenuto concreto, quali la chiusura del poligono nucleare di Punggye-ri, che comunque già da tempo era considerato inutilizzabile dagli esperti.

L’ambiguità di Pyongyang
Inoltre, a rendere più difficili i negoziati contribuirebbe poi non solo la condotta tenuta in passato dal regime nordcoreano che spesso non ha mantenuto gli impegni sottoscritti con la comunità internazionale, ma anche la reciproca sfiducia tra i due Paesi, che potrebbe trasformare i colloqui in un’estenuante, e probabilmente fallimentare, trattativa nella quale Pyongyang richiederebbe che ogni sua apertura venga compensata da analoghe e simultanee concessioni da parte di Washington.

I segnali giunti da Pyongyang si prestano poi ad opposte interpretazioni. Se da una parte, a differenza di quanto sempre dichiarato in passato, si fa notare come Kim Jong-un non abbia posto come precondizione l’annullamento delle manovre militari congiunte tra Washington e Seul e il ritiro delle truppe straniere di stanza in Corea del Sud, dall’altro però si sottolinea come lo stesso leader nordcoreano, in un discorso tenuto poco prima del vertice al Comitato centrale del Partito dei lavoratori, abbia affermato come la sospensione dei test missilistici è stata adottata perché ormai la Corea del Nord ha raggiunto lo status di potenza nucleare, aggiungendo che la decisione di sospendere i test nucleari costituisce un importante passo verso il disarmo globale.

E proprio il fatto che il leader nordcoreano non abbia accennato in alcun modo ad una possibile rinuncia di Pyongyang all’arma atomica costituirebbe il segnale di come la Corea del Nord non intenda smantellare il suo arsenale nucleare, nel quale il regime vede una garanzia per la sua sopravvivenza.

Il ruolo di Giappone e Usa
Né Washington né Seoul si aspettano che Kim Jong-un sia pronto ad abbandonare rapidamente le sue ambizioni nucleari. E sulla stessa posizione si pone anche il Giappone, per cui rimane di fondamentale importanza risolvere anche il problema dei cittadini giapponesi rapiti negli anni Settanta e Ottanta dai nordcoreani, dodici dei quali non sono mai stati rimpatriati. Attestato su linea di fermezza verso Pyongyang, il premier di Tokyo Shinzo Abe, subito dopo il vertice intercoreano, ha affermato che se Kim Jong-un effettuasse davvero dei passi concreti verso lo smantellamento del programma missilistico e nucleare, un vertice tra Giappone e Corea del Nord potrebbe essere organizzato per discutere della questione.

Ma tra gli osservatori si discute anche delle concessioni che gli Stati Uniti potrebbero offrire qualora la Corea del Nord accettasse prima di congelare, e poi in seguito di smantellare, il suo programma atomico. Nel corso del colloquio con  Moon Jae-in, il leader nordcoreano ha affermato che sarebbe disposto ad abbandonare il suo arsenale nucleare se gli Stati Uniti s’impegnassero formalmente a non attaccare la Corea del Nord, una richiesta però subito respinta, e ritenuta solo un’affermazione propagandistica, dal consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton.

Tuttavia, come ha sottolineato in un’analisi l’International Institute for Strategic Studies, dato che per Kim Jong-un è essenziale la preservazione del suo regime, gli Stati Uniti potrebbero comunque dover concedere delle assicurazioni nel caso Pyongyang procedesse effettivamente verso lo smantellamento del suo arsenale. In questo caso, oltre alla firma di un trattato di pace ed alla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi, Washington potrebbe anche accettare che il ruolo delle forze militare americane in Corea del Sud si trasformasse in quello di una forza di peacekeeping regionale, e quindi implicitamente privo di attitudini offensive verso la Corea del Nord.

Il peso delle sanzioni
Non meno significative sono poi le questioni di carattere economico. Le sanzioni varate dagli Stati Uniti e dall’Onu stanno infatti avendo un pesante impatto su Pyongyang, anche perché Pechino, che contribuisce per il 90% agli scambi commerciali della Corea del Nord, stavolta sembra aver adottato una linea più severa, proibendo l’esportazione in Cina di una serie di importanti prodotti nordcoreani. Questo sta provocando nella bilancia commerciale nordcoreana un forte deficit verso Pechino che, di conseguenza, sta progressivamente prosciugando le riserve valutarie di Pyongyang.

Se fino alla scorsa settimana lo scenario appariva improntato all’ottimismo, tanto che il neo-segretario di Stato americano Mike Pompeo aveva dichiarato come gli Stati Uniti fossero disposti ad avviare un programma di aiuti economici alla Corea del Nord se questa avesse deciso di procedere verso la denuclearizzazione, negli ultimi giorni invece si sta registrando nuovamente un ritorno della tensione che sembrerebbe addirittura mettere in forse il vertice tra Kim e Trump a Singapore.

Ad irrigidire l’atteggiamento di Pyongyang sarebbero state le dichiarazioni di John Bolton, il quale ha dichiarato come Pyongyang non solo dovrà smantellare il suo arsenale nucleare e trasportare le testate negli Stati Uniti perché vengano distrutte, ma anche abbandonare il suo programma missilistico unitamente allo sviluppo di armi bio-chimiche: una soluzione simile a quella attuata a suo tempo per la Libia ma che risulta improponibile per i nordcoreani.