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Pechino 'acquista' alleati

Cina/Taiwan: anche la Repubblica Dominicana cambia campo

3 Mag 2018 - Fabio Angiolillo - Fabio Angiolillo

Il 1° maggio il ministro degli Esteri della Repubblica Dominicana, Miguel Vargas Maldonado, e il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, hanno firmato un comunicato congiunto che sancisce l’inizio delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.  Lo Stato caraibico afferma di riconoscere solo e unicamente la Repubblica popolare cinese come legittima Cina e che Taiwan ne è un territorio inalienabile.

L’offerta cinese alla Repubblica Dominicana, cioè a Santo Domingo, per assicurarsi la sua alleanza è stata di 3,1 miliardi di dollari, da investire in progetti infrastrutturali, una nuova superstrada e una nuova centrale termoelettrica a gas naturale. Questa generosa disponibilità economica ha nettamente superato l’offerta di Taipei, che ha duramente reagito contro il governo cinese condannandone la diplomazia economica e sostenendo che la sua politica estera aggressiva erode la fiducia reciproca.

L’importanza del tassello Repubblica Dominicana
Il vice-presidente cinese Wang Qishang, braccio destro di Xi Jinping, ha incontrato Vargas, portando molto di più di un semplice saluto. La Repubblica Domenicana rappresenta uno dei più importanti colpi diplomatici inflitti a Taiwan, per tre motivi principali. Primo, Pechino è riuscita a spezzare una relazione che durava da 77 anni, cioè da ancor prima della guerra civile che portò Chiang Kai-shek a cercare un rifugio forzato nell’isola di Formosa.

Secondo, la strategia di Pechino s’è affinata nel tempo: la ‘conquista’ di Santo Domingo è avvenuta con un’avvolgente politica economica informale nei confronti dello Stato caraibico. Infatti, anche prima del riconoscimento diplomatico, la Cina era il secondo partner economico del Paese sull’isola di Hispaniola, segnando un interscambio commerciale di quasi due miliardi di dollari nel 2017.

Terzo, la Repubblica Domenicana è uno degli Stati più dinamici dell’America Latina registrando una crescita del Pil del 6,6% nel 2016 e del 4,8% nel 2017. Nel 2017 è stata superata da un altro Paese dell’area che mesi fa ha lasciato Taipei per stringere un’alleanza strategica con Pechino: Panama.

Gli anelli della catena di successi di Xi
Dal 2013 Xi Jinping è riuscito a convincere già quattro alleati di Taiwan a disconoscere le relazioni diplomatiche con Taipei per inseguire le offerte economiche elargite da Pechino. Più precisamente gli Stati interessati sono due in Africa, Gambia e São Tomé e Principe, e due in America Latina, Panama e Repubblica Domenicana. Questa accelerazione in America Latina, tra giugno 2017 e maggio 2018, ha come obiettivo da parte della leadership cinese quello di privare l’isola di alleati strategicamente ed economicamente importanti.

Infatti, Panama ha beneficiato fortemente dei 900 milioni di dollari promessi da Pechino per ammodernare il porto dell’Isola Margherita, il più grande dello Stato centro-americano. Dopo questa vittoria economico-diplomatica, condannata da Taipei per l’utilizzo della “diplomazia del libretto degli assegni”, Xi ha potuto individuare in Panama City un importante hub dal quale potere commerciare con tutti i Paesi della Regione.

I motivi che hanno portato Pechino a scegliere Panama possono spiegare anche la scelta della Repubblica Domenicana. La sua posizione strategica nel mare caraibico, vicina alla maggior parte dei rimanenti alleati centro-americani di Taipei, sembra preludere a un’azione progressiva verso un ulteriore ampliamento della presenza cinese in America Centrale a discapito di Taiwan. Sono quattro gli Stati vicini al nuovo alleato cinese che ancora mantengono l’alleanza con Taiwan e altri cinque si trovano nell’area dell’America Centrale tra Messico e Colombia.

Una strategia che segna tutto il XXI Secolo cinese
Se la strategia di Xi Jinping nei confronti degli alleati diplomatici di Taiwan sembra essere chiara, è però necessario anche collocare il trend in una prospettiva più generale. Infatti, durante l’era Hu Jintao, il predecessore di Xi nella leadership cinese, il gigante asiatico ha messo a segno ben 11 nuovi accordi diplomatici sottraendo altrettanti Paesi alla Repubblica di Cina.

Tra il 2003 e il 2018, Pechino ha registrato la media di uno slittamento diplomatico l’anno: un ritmo molto importante per la credibilità internazionale di uno Stato che sta crescendo sempre di più. Dall’altra parte, questo è un risultato molto pericoloso per Taipei che vede restringersi sempre di più i suoi margini di manovra in campo internazionale e che non ha, ad oggi, nessuna strategia evidente per rallentare l’incombente declino.

La vittoria elettorale del Partito progressista democratico di Tsai Ing-wen il 20 maggio del 2016 e il successivo inasprimento delle relazioni tra le due Cine nello Stretto di Taiwan hanno probabilmente accelerato un processo che però era già molto evidente negli anni precedenti. Il Partito comunista cinese ha mantenuto la sua strategia a prescindere dal leader, ribadendo la sua centralità in molte delle decisioni prese dal governo. Quello che è certo è che senza una forte strategia di contrasto nei confronti di Pechino sembra inevitabile la progressiva estinzione delle relazioni diplomatiche della Repubblica di Cina che ad oggi mantiene solo 19 partner internazionali.