Chiese europee: Kek, Negro ‘una visione del futuro dell’Europa’
Maturare una visione profetica del futuro dell’Europa. L’Assemblea generale della Conferenza delle Chiese europee (Kek), programmata in Serbia, a Novi Sad, da oggi – 31 maggio – al 6 giugno, mette al centro dei suo lavori un’aspirazione alta che tocca il punto nevralgico di un progetto altrettanto alto, ma contrastato dalle chiusure nazionaliste e dai populismi conservatori: quale Europa costruire per il XXI secolo. Le 140 Chiese aderenti alla Kek, fra protestanti, anglicane, ortodosse e vetero-cattoliche e 40 consigli nazionali, partiranno dalla relazione introduttiva del vescovo anglicano Christopher Hill, presidente della Kek, sul tema “Sarete miei testimoni”. AffarItaliani.it ne ha parlato con il pastore Luca Negro, presidente della Fcei (Federazione delle Chiese evangeliche in Italia).
Perché questo titolo?, quali sono le priorità che le Chiese europee si sono date?
Il vescovo Hill parlerà di una testimonianza che si esprime nell’accoglienza, nella giustizia, in un tempo di ritirata insulare – questo il termine che userà – e di neo-nazionalismo. Il Dio Trinitario del cristianesimo, la sua natura è una natura di comunione e quindi la testimonianza delle Chiese deve essere di comunione, di unità.
Lei, pastore Negro, condurrà uno studio su Genesi 18, 1-8, ovvero l’annuncio della nascita di Isacco ad Abramo da parte di tre uomini che altro non sono che tre angeli inviati da Dio. Perché questa lettura biblica?
Direi che in una giornata dedicata all’ospitalità la scelta è quasi obbligata. E’ questo il testo fondante dell’accoglienza in senso biblico e lo metterò in stretta correlazione con quello successivo dove, al contrario, gli abitanti di Sodoma non accolgono i due angeli del Signore. Da un lato Abramo, che resta un esempio di accoglienza di quelli che per lui erano degli sconosciuti; dall’altro Sodoma, che li rifiuta. Noi, nell’Europa di oggi, vogliamo essere Abramo o il popolo sodomita? Il passo su Abramo è richiamato anche nel Nuovo Testamento, nella Lettera agli Ebrei.
La Kek è nata nel 1959 in clima di guerra fredda e il Consiglio ecumenico delle Chiese nel 1948. Oggi la realtà europea e, in generale, quella geo-politica mondiale sono molto diverse. Sono organismi ancora adeguati a questo contesto storico?
Sì e no. Sì perché la Kek ha sempre cercato di aggiornare la sua visione dell’Europa che, attenzione!, non coincide con i confini dell’Unione europea. Per entrambi gli organismi resta il limite dell’assenza della Chiesa cattolico-romana che rappresenta la metà circa del cristianesimo europeo e anche mondiale, così come è esclusa buona parte della Chiese evangelicali. Il movimento ecumenico non è rappresentativo dell’intero cristianesimo e questo è un problema.
Parliamo allora del dialogo con la Chiesa cattolico-romana che partecipa ai lavori della Kek, ma solo come osservatore. Perché non ne fa parte, considerata l’accelerazione impressa da questo pontificato sulla strada dell’ecumenismo e del dialogo inter-religioso?
La Chiesa cattolica ha una struttura molto diversa da quella delle Chiese sia protestanti sia ortodosse che sono organizzate su base nazionale. La Chiesa cattolica ha una struttura più ampia. Chiedere alla Conferenza episcopale di aderire sarebbe qualcosa di improprio. Bisognerebbe rifondare gli stessi organismi ecumenici, ripensare agli schemi tradizionali anche perché l’emigrazione sta cambiando tutto e abbiamo Chiese consistenti, attive in Europa, come le ortodosse romene o quelle provenienti dall’Africa.
Ma che cosa ostacola ancora, nonostante i passi avanti, il dialogo ecumenico tra protestanti e cattolici?
Se restiamo in Europa, da un certo punto di vista siamo tornati un po’ indietro. Si era trovato un modus operandi tra Kek e Consiglio delle Conferenze episcopali europee, ma una decina d’anni fa questa collaborazione ha iniziato a scricchiolare. Da parte cattolica è calato l’interesse verso l’ecumenismo. Papa Francesco sta dando un grande impulso, ma stiamo attendendo che l’onda lunga arrivi dove ancora non è arrivata, aspettiamo che si concretizzi. D’altra parte il Papa non è l’Onnipotente e sicuramente deve fare i conti con le varie posizioni esistenti nella Chiesa.
Torniamo all’Europa. L’anno scorso il consiglio direttivo della Kek si soffermò a lungo sulla ‘Lettera aperta sul futuro dell’Europa’. Proprio in questa Europa in sofferenza, con spinte nazionaliste che vengono dall’Est, ma non solo, qual è il ruolo che possono e che vogliono giocare le Chiese cristiane?
Due sessioni di questa Assemblea saranno dedicate a fare il punto su questa Lettera, un’altra proverà a delineare una visione dell’Europa. Lo faranno figure di grande rilievo, come il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente Mor Ignatiu Aphrem II, l’arcivescovo di Canterbury e guida della Comunione anglicana mondiale Justin Weby, l’arcivescova della Chiesa di Svezia Anje Jackelén. La visione che abbiamo è di una società europea che sottolinei la solidarietà e la giustizia, il rispetto tra le persone, le relazioni ecumeniche fruttuose. Sulle aperture ai migranti, sull’ospitalità, non tutti i Paesi europei e non tutte le Chiese hanno dato le stesse risposte. Non dimentichiamo che Viktor Orban, il presidente d’Ungheria, è un riformato, è stato vice-presidente della Chiesa riformata d’Ungheria!
Nel corso del Novecento le Chiese cristiane non sono state sempre pronte a cogliere e contrastare in tempo i segnali pericolosi di involuzione. Oggi riconoscerebbero subito un nuovo Hitler, un nuovo Mussolini?
No. Finchè le Chiese stanno chiuse in loro stesse è difficile che coltivino gli anticorpi necessari per intercettare i nuovi Hitler o Mussolini. Credo, invece, che possa giovare il movimento ecumenico, il suo allargarsi. In Sudafrica, contro l’apartheid, ha giocato un ruolo fondamentale.
Le Chiese cristiane in Europa sono in declino, almeno numericamente. C’è il pericolo, se di pericolo si può parlare, che le Chiese per non perdere rilevanza si istituzionalizzino sempre di più diventando di fatto pezzi di Stato, con funzioni di sussidiarietà?
E’ vero, sotto tutte in declino numerico, tranne quelle di area evangelicale, praticamente inesistenti nella Kek e in crescita anche in Europa, se pur a livelli più contenuti che in Sud America. L’autonomia, la libertà delle Chiese, la loro forza critica, sono importanti, ma oggi sono più gli Stati delle Chiese a prendere le distanze. La Chiesa di Svezia che prima era Chiesa di Stato ora non lo è più, per esempio. In molti cantoni della Svizzera le Chiese sono autonome, senza alcun sostegno statale. Da un lato è positivo, perché aiuta l’autonomia della Chiesa, la sua vocazione rinnovatrice. Dall’altro, non avere una spalla statale a volte crea problemi di sopravvivenza economica.
Nel 2001 veniva redatta la Carta ecumenica. A 17 anni di distanza, qual è il bilancio sulla sua efficacia?
Non siamo riusciti a realizzare tutti gli impegni. Ma questo può essere positivo perché vuol dire che è ancora attuale e costituisce uno stimolo per andare avanti. Un punto messo a segno è l’ecumenismo tra tutte le Chiese, anche cattoliche, sulla difesa del creato. In questo un grande input è venuto da Papa Francesco. In autunno si terrà in Italia un convegno sul tema, sulla responsabilità cristiane per la tutela dell’ambiente. Un obiettivo incompiuto è al paragrafo 5: la comunione eucaristica.