Ungheria: valanga Orbán in difesa dalle “minacce esterne”
L’esito delle elezioni ungheresi ha rispettato i sondaggi. Il partito di governo Fidesz si conferma alla guida del Paese: la vittoria è netta ed è sancita da circa il 49% dei voti conquistato dalla forza politica guidata dal premier Viktor Orbán. Seguono Jobbik, a quota 19,8%, i socialisti dell’Mszp in alleanza con Párbeszéd (Dialogo) con il 12,35% e infine i liberali-verdi dell’Lmp e Coalizione Democratica (Dk, partito centrista guidato dall’ex premier socialista Ferenc Gyurcsány), che superano il 5% necessario per avere seggi in Parlamento.
La soddisfazione di Fidesz è tanta. I risultati di queste elezioni consegnano a Orbán un terzo mandato consecutivo che il premier intende utilizzare per continuare a difendere l’Ungheria dalle “minacce esterne”. Dai migranti, dal magnate George Soros – che secondo il governo magiaro vorrebbe minare la stabilità del Paese – e dall’Unione europea, che intenderebbe dettar legge in casa d’altri.
La retorica Dio, patria e famiglia
Il primo ministro, che ha imposto al Paese un sistema fortemente dirigista teso a esercitare un controllo sempre più capillare ed esteso sui settori strategici, legge nell’esito del voto una conferma del fatto che il suo esecutivo si sta muovendo nella direzione giusta. La sua retorica non cambia da anni: difesa del suolo nazionale e dei valori rappresentati da famiglia, patria e identità cristiana.
A questi si è aggiunta, negli ultimi tre anni, una propaganda martellante sul pericolo rappresentato dai flussi migratori incontrollati e soprattutto dalla politica dell’Ue che, secondo il governo di Budapest, non farebbe altro che incoraggiare il fenomeno e l’attività dei trafficanti di esseri umani. Sembra proprio che questa campagna – da vedersi come un investimento politico realizzato dall’esecutivo – abbia funzionato. Così come evidentemente ha dato i frutti sperati l’impegno di presentare il governo di Fidesz come l’unico vero baluardo contro l’invasione musulmana in Ungheria e nel resto d’Europa.
C’è anche chi non ci crede e ritiene che l’esecutivo guidato da Orbán stia isolando sempre più il Paese e lo stia spingendo verso una deriva sempre più antidemocratica, dalla quale potrebbe essere molto difficile tornare indietro. Il problema è che questa parte dell’Ungheria non ha un’adeguata ed efficace rappresentanza politica.
Nessuna alternativa a Fidesz
L’esito di queste elezioni lo dimostra: l’opposizione è frammentata, non è stata in grado di creare un fronte unito per presentare un’alternativa a Orbán, e in fondo non ci ha mai provato davvero. Presenta inoltre un vuoto, in termini di programma, che allo stato attuale delle cose non la rende credibile.
In seno all’opposizione ci sono anche seri problemi di leadership, la cui soluzione non sembra essere dietro l’angolo. I suoi sostenitori o, per lo meno i sostenitori di un’Ungheria diversa, provano oggi sconcerto e un senso di pena che si esprime sui social network. C’è chi da queste elezioni si aspettava qualcosa di più e riteneva che si potesse almeno arginare il potere di Fidesz, ma così non è stato.
La sconfitta ha portato diversi leader a rassegnare le dimissioni: il presidente di Jobbik Gábor Vona, quello dell’Mszp Gyula Molnár, quello del partito centrista Együtt (Insieme) Péter Juhász e il copresidente dell’Lmp, Ákos Hadházy. Sostenitori dell’opposizione avanzano dubbi sulla regolarità del voto e chiedono un riesame del medesimo. A queste accuse, però, si aggiunge la denuncia dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, secondo la quale le risorse economiche preponderanti del governo e il fatto che quest’ultimo abbia in mano molta parte del settore mediatico hanno fatto sì che la competizione non fosse per niente equa.
Chiusura nei confronti dell’Ue
Con Orbán confermato per un terzo mandato, l’Ungheria continua ad essere uno dei paesi del Gruppo di Visegrád (V4) più attivi nel tentativo di colpire al cuore un’Unione europea considerata priva di futuro e però contemporaneamente intenta a imporre il suo volere a Stati sovrani.
Sintetizzando, si potrebbe dire che lo Stato danubiano è diviso tra una pulsione alla chiusura rappresentata da Fidesz e una tensione all’apertura e alla ricerca di un dialogo con Bruxelles. Al momento prevale il primo orientamento. La partita non è finita, ma per l’opposizione la strada appare lunga.