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Elezioni legislative

Ungheria: Orbán vede un nuovo successo, opposizioni al palo

5 Apr 2018 - Massimo Congiu - Massimo Congiu

Domenica 8 aprile gli ungheresi tornano alle urne per il rinnovo del Parlamento. Ci arrivano al culmine di una campagna elettorale che si è svolta in un clima non proprio sereno. Quella governativa è in atto da tempo ed è tesa a screditare l’opposizione attribuendole l’intenzione, ispirata dal magnate magiaro-americano George Soros, di rimuovere le barriere ai confini più esposti e riempire il Paese di migranti musulmani per farlo diventare un luogo di immigrazione.

Se è vero che la propaganda dell’esecutivo è particolarmente aggressiva e martellante, è altrettanto evidente il fatto che qui, in generale, la dialettica politica è basata su uno scambio di accuse dirette tra le parti. Questo, più che un vero e proprio confronto su programmi e proposte, è ciò che prevale da lungo tempo nelle campagne elettorali in Ungheria.

Fidesz primo partito, ma consensi in calo
I sondaggi ufficiali vedono il partito governativo Fidesz del premier Viktor Orbán in netto vantaggio rispetto alle altre forze politiche. Diversi esperti, però, prevedono una perdita di voti da parte dell’esecutivo.

Probabilmente molte persone sono stanche del clima teso esistente nel Paese da tempo, con un sistema di potere che sottolinea continuamente la necessità di difendere l’Ungheria da una serie di pericoli provenienti dall’esterno – i migranti, le intromissioni di diversi organismi internazionali, le presunte trame di Soros – e la distinzione ammonitrice tra chi è patriota e chi invece coltiva sentimenti anti-ungheresi e appoggia gli avversari di Orbán.

Quest’ultimo continua ad avere i suoi sostenitori, magari non pochi, che vedono in lui l’uomo forte capace di difendere gli interessi nazionali. Ma la retorica del premier nei discorsi pubblici non cambia, è sempre la stessa, ed è incentrata sul pericolo dei migranti e sulla lotta da ingaggiare per difendere un paese che vuole prendere in mano le redini del suo destino.

Si tratta di un copione che si ripete stancamente e che con tutta probabilità ha stancato non pochi suoi connazionali. Non manca poi un certo malcontento dovuto al fatto che, secondo gli indicatori, l’economia cresce, ma la distribuzione della ricchezza è tutt’altro che soddisfacente e il disagio sociale aumenta.

L’assenza di un’alternativa coesa
C’è senz’altro una parte di Paese che vuole il cambiamento; il problema è che la medesima non è rappresentata in modo efficace e adeguato da un soggetto politico forte, unito e strutturato, capace di dar luogo ad una svolta concreta. Il successo dell’opposizione alle elezioni locali svoltesi nella città di Hódmezővásárhely, tradizionale roccaforte di Fidesz, ha alimentato le speranze di chi vorrebbe un’Ungheria diversa.

Ma l’ampio schieramento creatosi in quell’occasione con liberali e centro-sinistra a contrastare, insieme alla destra di Jobbik, il candidato del partito di governo non è facilmente riproponibile a livello nazionale. L’esperienza, tuttavia, mostra che se unite, le forze progressiste possono ottenere di più.

A parte le entrate a gamba tesa, i termini del confronto-scontro fra le parti vedono da una parte il già citato appello del governo alla difesa della patria e dall’altra l’opposizione liberale e di centro-sinistra invitare gli elettori a scegliere tra autoritarismo e democrazia: tra un esecutivo che si è avvicinato troppo pericolosamente a Putin, e un’opposizione che si ispira ai valori europei e che ha a cuore lo sviluppo democratico del Paese.

Anche questa opposizione, però, tocca il tasto del patriottismo. Lo fa soprattutto dal 2014, e l’argomento cui fa ricorso è quello per cui il vero ungherese, amante della patria, è colui il quale vuole liberare il Paese da un sistema dirigista, teso a controllare in modo sempre più capillare i principali settori della vita pubblica ungherese. È colui il quale vuole che Budapest sia vicina a Bruxelles e non a Mosca.

Sul governo, poi, piove l’accusa di aver dato luogo a un sistema di clientele, corrotto e volto a privilegiare figure e ambienti vicini al governo. Al coro si aggiunge anche Jobbik, che accusa l’esecutivo di aver sempre mentito agli elettori e di non aver mai restituito l’Ungheria agli ungheresi. Nato come partito di estrema destra, Jobbik gioca oggi la carta della rispettabilità e vuol farsi percepire come forza politica sì conservatrice e impegnata sul fronte della difesa degli interessi nazionali, ma al tempo stesso moderata. Cerca in questo modo di ampliare il consenso e di segnalarsi come unico partito in grado di rinnovare politicamente ed eticamente il Paese. Al momento è secondo nei sondaggi dopo Fidesz.

C’è anche una certa emanazione della società civile rappresentata dal partito Momentum, che si presenta come soggetto giovane, fresco, desideroso di cambiare il Paese. Secondo gli ultimi sondaggi, però, è ben al di sotto della soglia del 5%, necessaria per avere dei seggi all’Assemblea nazionale.

Scontro perenne con l’Ue
Da tre anni a questa parte, l’Ungheria di Orbán, già impegnata in frequenti scontri con l’Unione europea, batte sul problema dei migranti e della necessità di difendere i confini nazionali e quelli di Schengen. Da allora, il Gruppo di Visegrád (V4, che mette insieme Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) ha trovato un nuovo slancio e convergenza sul rifiuto dei ricollocamenti.

L’Ungheria e gli altri membri del V4, sostengono il principio secondo il quale ognuno è padrone in casa propria e la decisione di ospitare migranti spetta al singolo Paese, non all’Ue. Gli stessi oppongono un modello europeo delle specificità e delle sovranità nazionali inviolabili a quello “federalista” Ue, attaccato da Orbán e destinato, secondo il premier ungherese a fallire miseramente e definitivamente.

Una tipologia di Europa concorrente a quella attuale viene quindi proposta dal V4: particolarmente attivi nella critica, all’interno del club dell’Europa centro-orientale, sono Budapest e Varsavia, i cui attuali governi di destra hanno preso provvedimenti interni tali da suscitare le reazioni di Bruxelles.

Tornando alle elezioni in Ungheria, bisogna vedere se e cosa queste ultime potranno esprimere di nuovo e se davvero, come alcuni esperti pensano, verranno poste le basi per un cambiamento sperato da non pochi connazionali di Orbán.