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Attese proposte Commissione europea

Ue: Politica di coesione, rischi per Italia da nuovo Quadro

30 Apr 2018 - Francesca Capitelli - Francesca Capitelli

Mentre l’Italia è alle prese con la formazione di un nuovo governo e si trova, quindi, in una situazione negoziale debole, la Commissione europea si appresta a presentare, il 2 maggio, il Quadro finanziario pluriennale (Qfp) per il prossimo ciclo di programmazione settennale. Sul futuro del bilancio dell’Ue pesano le nuove priorità di spesa relative a sicurezza, migrazioni e cambiamento climatico, ma soprattutto la Brexit. Se per il periodo 2014-2020 il budget ammontava a circa 150 miliardi di euro l’anno, corrispondente all’1% del Pil dell’Unione, l’uscita del Regno Unito comporterà un ridimensionamento delle risorse che oscilla tra i 10 e i 12 miliardi di euro in meno all’anno. A soffrirne saranno le politiche che storicamente hanno beneficiato di più dei finanziamenti: Pac e Politica di coesione.

Come ha scritto su AffarInternazionali il presidente Iai Ferdinando Nelli Feroci in vista di un dibattito sul Qfp il 17 aprile a Roma: “Si va consolidando l’idea che si debba partire dall’individuazione delle nuove priorità dell’Ue e che per queste nuove voci di spesa si debbano trovare adeguati finanziamenti. In un bilancio con risorse limitate, queste nuove spese dovranno essere compensate da riduzioni di spesa sulle politiche comuni più tradizionali, a partire da agricoltura e coesione (che oggi assorbono circa i due terzi del bilancio comune)”.

Gli scenari previsti dalla Commissione europea
Dei tre scenari previsti dalla Commissione, due prevedono un taglio netto del bilancio e sono quelli che l’Italia deve evitare. Oltre al mantenimento dello status quo (375 miliardi, pari al 35% del bilancio complessivo), i commissari potrebbero scegliere di ridimensionare le spese per la coesione di un quarto (95 miliardi in meno) o di un terzo del totale (124 miliardi in meno). La Politica di coesione, di cui beneficiano soprattutto le regioni del Mezzogiorno, diventa in questo senso una sfida d’interesse nazionale, e non solo europeo.

Di tutto questo si è discusso durante un seminario organizzato venerdì 20 aprile dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea a Palazzo Colonna a Roma: ‘La Politica di coesione verso il Quadro finanziario pluriennale post 2020’. Dopo l’introduzione di Beatrice Covassi, capo della Rappresentanza, sono intervenuti esponenti di diversi schieramenti politici del Parlamento europeo: Fabio Massimo Castaldo, vice presidente del Parlamento, Movimento 5 Stelle, Salvatore Cicu, membro della commissione REGI del Parlamento europeo e vice capo-delegazione di Forza Italia, e David Sassoli, vice-presidente del Parlamento europeo, Pd, oltre a Nicola de Michelis, capo gabinetto del commissario europeo per le Politiche regionali Corina Cretu.

Gli interventi di alti funzionari e parlamentari europei
“Negli ultimi due anni c’è stato un terremoto politico in Europa”, ha detto Nicola De Michelis nel suo intervento: “In grandi pezzi del Continente, gli europei si sono rivolti a forze euroscettiche. Lo abbiamo visto con la Brexit e da ultimo con le elezioni italiane”. Secondo De Michelis, nella proposta della Commissione la Politica di coesione avrà un ruolo centrale anche dopo il 2020: infatti, “è l’unico modo in cui si riesce a fare integrazione”.

Però, la distribuzione delle risorse dovrà riflettere un equilibrio diverso perché l’Europa è cambiata: “La relazione sullo stato della coesione dell’ottobre 2017 racconta una geografia drammatica. C’è un pezzo di continente ‘stucked in the middle’, incapace di competere a livello tecnologico e commerciale. Per queste territori dobbiamo pensare a nuove politiche di trasformazione industriale”. Nelle regioni, in Italia e in Europa.

Per Salvatore Cicu, il nostro Paese rappresenta l’anello debole della catena: “Siamo uno degli Stati culturalmente meno pronti al confronto europeo e a capire che cos’è l’Europa”. Quando si parla di coesione, secondo l’europarlamentare di Forza Italia, “il nostro sistema non c’è”. Se il Paese non realizza che la programmazione europea è fondamentale per innovazione e ricerca, perde anche nella dimensione di impresa. “Mi piacerebbe che a Roma si iniziasse a parlare di politica industriale e infrastrutturale”, ha affermato Cicu, “e si dedicasse più attenzione alla disoccupazione giovanile”.

“L’Italia è una penisola di mille chilometri con 60 milioni di abitanti”, gli fa eco David Sassoli. E questo non aiuta a “rendere la macchina del Paese capace di sfruttare tutto quello che ci viene offerto: il Sud non beneficia di quello che arriva anche per colpa nostra. Abbiamo bisogno di cabine di regia, a Bruxelles come in Italia, che siano il terminale del Paese in Europa”.

Fabio Massimo Castaldo, invece, ha suggerito di “forzare la mano sul tema delle risorse proprie”, altrimenti si rischia di dovere “mettere in discussione le politiche di coesione per come le abbiamo conosciute”. “La ripresa economica è timida e precaria e per portarla avanti bisognerebbe garantire la resilienza del sistema bancario”, ma chiedere agli Stati di aumentare i versamenti “potrebbe avvelenare il dibattito politico”.

Castaldo ha affrontato il tema della condizionalità, riferendosi in particolare ai fondi destinati ai paesi dell’Est Europa. “La condizionalità non può essere soltanto macroeconomica”, ma deve basarsi sul rispetto dei diritti e sui valori cardine dell’Ue. “O siamo un’Unione nella buona e nella cattiva sorte” ha concluso “o non siamo nulla. Senza principi perdiamo la ragione stessa di esistere”.