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Verso il voto del 24 giugno

Turchia: tra curdi ed elezioni, evolve il ruolo in Siria

26 Apr 2018 - Andrea Jorma Buonfrate - Andrea Jorma Buonfrate

Il Vertice di Ankara, svoltosi il 4 aprile, ha visto i presidenti di Iran, Russia e Turchia riuniti per discutere del futuro della gestione della Siria alla conclusione del conflitto. Le posizioni sono parse chiare fin dal principio: la Russia orientata a sostenere la continuità del regime di al-Assad, l’Iran ostile ai movimenti nell’Ovest della Siria legati ad Israele e la Turchia anti-regime, ma attenta ai movimenti – specialmente dei curdi – nel Nord della Siria. L’attacco condotto da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia il 14 aprile, contro installazioni chimiche siriane, non ha sostanzialmente alterato le posizioni russa e iraniana, mentre quella turca ha subito qualche evoluzione: analizziamola.

Il pericolo al confine: l’apporto curdo alla guerra civile
Il conflitto civile siriano ha visto un’importante partecipazione di varie forze, ma ha dato soprattutto rilievo a una realtà alquanto invisa da Ankara: la minoranza curda.

Il Kurdistan, Stato esistente solo sulla carta, si estenderebbe dall’Ovest della Turchia al Nord della Siria e dell’Iraq, lambendo il confine occidentale dell’Iran nei pressi della città di Bakhtaran. Nel Nord siriano, i curdi hanno raggiunto una certa autonomia amministrativa, costituendo con arabi e turkmeni una sorta di comitato regionale.

Forza aggiuntiva negli scontri contro l’Isis, il sedicente Stato Islamico, a fianco della coalizione a guida americana, i curdo-siriani sono intervenuti nella guerra civile soprattutto nel nord-ovest del Paese, nella città di Afrin. Per Ankara la situazione s’è fatta complicata: una minoranza curda in controllo del Nord della Siria potrebbe dare sostegno alla minoranza curda in territorio turco del Pkk, partito curdo che la Turchia considera terrorista.

L’intervento ad Afrin ed il cambio della politica siriana
Iniziata a gennaio, l’offensiva turca (operazione ‘Ramoscello d’Ulivo’), condotta con il sostegno dell’Esercito Libero Siriano, è stata particolarmente importante e ha dimostrato come l’obiettivo iniziale di contenimento e (forse) gestione di parte della Siria in funzione anti-Assad abbia un ruolo secondario rispetto al confronto con i curdo-siriani. Quest’ultimo aspetto è assai più rilevante per Ankara, forse addirittura vitale per la difesa dei confini, considerando i risvolti interni alla Turchia di un sostegno curdo esterno ai curdi turchi.

Conclusa l’offensiva e ‘gestito’ il problema curdo, la posizione turca è diventata più complessa e autonoma rispetto a quella degli alleati Iran e Russia, come testimoniano le parole del vice-primo ministro turco Bekir Bozdag: “La nostra politica in Siria non vuol dire stare con un Paese o con un altro, ma tende a mantenere in Siria il rispetto di principi corretti”. L’affermazione potrebbe significare che il tempo delle alleanze per la Turchia potrebbe essere a una svolta, a favore di una maggiore autonomia decisionale nella questione siriana.

L’attacco Usa-Gbr-Francia e il cambio di rotta turco
Lo scontro con la minoranza curda ha decisamente acuito la difficoltà di rapporti tra Ankara e Washington, alleata dei curdi siriani. L’estensione della sfera di influenza turca in Siria e la distruzione delle roccaforti curde, infatti, sono in conflitto con la strategia degli Usa di contenimento delle forze del regime di Assad. In particolare, il focus della tensione è nella zona di Manbij, dove sono arrivate le milizie turche, ma che è anche luogo di addestramento gestito dagli americani, i quali non intendono cedere terreno.

La posizione di Washington non è affatto semplice, soprattutto in caso di possibile rollback rispetto alla situazione siriana. Per il momento, la politica statunitense rimane aggressiva nei confronti di iraniani e russi nella regione, mentre la Turchia continua a essere un alleato nella lotta al regime siriano. Coerente con questa politica fortemente aggressiva degli Stati Uniti, è stato il lancio di missili la notte tra il 13 e il 14 aprile su due depositi chimici siriani.

Turchia verso nuove elezioni dopo l’offensiva nel nord della Siria
Forte dell’offensiva di Afrin e nel Nord della Siria, il presidente turco Erdogan affronta le elezioni anticipate con un rinnovato sostegno politico. Convocate per il 24 giugno, le elezioni tradurranno in pratica i poteri speciali introdotti dal contestato referendum costituzionale del 2017.

Tuttavia, la Turchia è ben lontana dal gestire con tranquillità la regione di Afrin. Tra i curdi dell’Ypg [1] e le milizie di al-Assad è in atto un accordo di collaborazione logistica e militare che porterebbe l’esercito turco a dovere rimanere nelle zone montuose intorno alla città, ponendo ad Ankare il dilemma se affrontare direttamente al-Assad o cessare le ostilità. Una scelta non facile, soprattutto considerando che la Russia è molto legata ad al-Assad.

Una soluzione parziale può provenire dal rapporto con gli Stati Uniti. Il Dipartimento di Stato ha infatti appoggiato la Turchia nella lotta ai “terroristi curdi” all’interno del Paese. Ma l’Ypg non è considerata dagli americani un’organizzazione terroristica, soprattutto per l’appoggio dato nella lotta all’Isis.

Ankara si trova così nella situazione di cercare una tregua con l’Ypg, evitando di allargare il conflitto verso altri attori e perdendo il vantaggio acquisito. La strada è a senso unico per la Turchia. Se decidesse di optare per un conflitto aperto con i curdi, l’alleanza pro tempore dell’Ypg con al-Assad si rinsalderebbe, chiamando in causa anche la Russia. Gli Stati Uniti agirebbero di conseguenza, con una maggiore pressione sulla zona di Afrin e una modifica degli obiettivi strategici di entrambi gli schieramenti.

[1] – Acronimo di Yekîneyên Parastina Gel (Unità di Protezione popolare): le milizie a maggioranza curda nel Nord della regione curda, forza militare del Rojava. Dopo il ritiro delle truppe filogovernative dal Rojava nel 2012, sono state determinanti nella lotta all’Isis, soprattutto nella città di Kobane.