L’Italia e le sfide dell’Europa della Difesa
Nel corso di quest’anno si cominceranno a definire a livello europeo i programmi per nuovi equipaggiamenti militari che saranno finanziati attraverso l’Edidp, il programma per lo sviluppo dell’industria europea della difesa varato l’anno scorso dalla Commissione europea, e diventeranno operativi i programmi Pesco, fra cui per lo meno alcuni prevedono nuovi mezzi con cui rafforzare le capacità delle Forze Armate europee. Nel frattempo si sta cominciando a delineare l’impegno dell’Unione europea nel campo della difesa all’interno del nuovo Mff, il quadro finanziario pluriennale 2021-27, con le relative risorse finanziarie e regole. Infine, si sta disegnando il nuovo Edf, il fondo europeo per la difesa che dovrebbe consentire l’attivazione di nuovi strumenti finanziari a sostegno dello sforzo degli Stati membri e in cui dovrebbero convergere dopo il 2021 anche il fondo per la ricerca e quello per lo sviluppo.
Il 2018 sarà, quindi, un anno cruciale per la difesa europea, anche perché si devono prendere tutte queste decisioni prima delle elezioni che nel prossimo anno porteranno ad un nuovo Parlamento e ad una nuova Commissione e, di fatto, ad un rallentamento delle attività.
Le difficili decisioni italiane
Per l’Italia non sarà facile continuare ad avere un ruolo significativo, come in questi ultimi anni. Fra gli altri soprattutto quattro ostacoli influiranno negativamente sulla possibilità di tutelare al meglio gli interessi nazionali:
- la complessa situazione politica rallenterà il cambio di governo e la definizione della posizione nazionale, soprattutto rispetto alle nuove decisioni che dovranno essere assunte;
- i risultati delle elezioni italiane hanno premiato le forze politiche più critiche nei confronti dell’Unione europea e questo si rifletterà inevitabilmente sulla nostra capacità di influenzare le scelte europee, fortemente condizionate dagli Stati membri più impegnati in questo campo e che spingono per una maggiore e più veloce integrazione; a questo si potrebbe aggiungere il tempo necessario per conoscere e farsi conoscere dai partner e per impratichirsi con le complesse procedure comunitarie;
- la riforma del sistema italiano di difesa, avviata dai precedenti governi, è rimasta incompiuta e non sarà facile per le forze che hanno criticato tutte le scelte della precedente maggioranza avere il coraggio di riconoscerne il carattere bipartisan e proseguire rapidamente sulla stessa strada, indispensabile anche per programmare l’ammodernamento dei mezzi in dotazione alle nostre Forze Armate;,
- sarà obiettivamente più difficile decidere di assegnare alla Difesa le risorse aggiuntive necessarie per compartecipare ai nuovi programmi europei di sviluppo e anche a quelli inseriti nel quadro Pesco.
La politica industriale nel settore della difesa
Lo scenario industriale europeo è già e sarà ancora di più condizionato dal processo di integrazione del mercato e dalle iniziative dell’Unione europea. Inevitabilmente si andrà ad una ristrutturazione del sistema industriale con concentrazioni e razionalizzazioni che, soprattutto là dove, come in Italia, vi sono imprese a partecipazione pubblica, richiederanno non solo il consenso, ma molto spesso l’intervento e il sostegno dei governi.
Di qui l’urgenza di definire le linee della politica industriale che si vogliono attuare, pena il rischio di non essere attori, ma semplici spettatori dei cambiamenti che si verificheranno. In questo modo, però, si potrebbe indebolire uno dei pochi settore tecnologicamente avanzati in cui l’Italia ha mantenuto un ruolo importante.
Anche nei rapporti con i Paesi terzi coi quali vorremmo sviluppare delle collaborazioni nel campo degli equipaggiamenti militari, diventando loro stabili fornitori, l’incertezza e l’instabilità politica non giocheranno a nostro favore. Sulle scelte di politica internazionale italiana la situazione appare oggi più confusa, rompendo quella linea di continuità che in passato era stata sempre garantita nonostante i cambiamenti politici. Questa stessa preoccupazione potrebbe influenzare anche i partner europei e transatlantici nel decidere l’eventuale disponibilità a coinvolgere anche l’Italia in nuovi programmi nazionali o bi-multilaterali per realizzare nuovi equipaggiamenti militari che, comunque, richiederebbero l’assegnazione di adeguate risorse da parte nostra.
Che fare?
L’evoluzione di questo quadro dipenderà da molteplici fattori, fra cui la scelta dei futuri componenti del governo e delle presidenze delle Commissioni parlamentari. Ma qualche iniziativa potrebbe influenzarla positivamente.
- Un importante ruolo potrebbe essere giocato dal presidente della Repubblica che presiede il Consiglio Supremo di Difesa ed è costituzionalmente a capo delle Forze Armate. Proseguendo nella prassi dell’ultimo decennio il Consiglio potrebbe, sotto la guida del presidente, essere l’occasione in cui favorire una maggiore consapevolezza del governo sui temi e sulle scelte nel campo della difesa e della sicurezza.
- Al di là della tradizionale leale collaborazione delle Forze Armate, ci potrebbe essere uno sforzo maggiore per superare l’inevitabile inerzia della partenza. È importante suggerire ai nuovi decisori politici di concentrarsi al massimo sui temi prioritari e proporre loro di dedicarvici tutto il tempo possibile, limitando al massimo ogni impegno non indispensabile. Altrettanto importante è mettere loro a disposizione gli ufficiali migliori e più competenti soprattutto sui temi europei ed internazionali e sulla riforma del sistema difesa.
- Avremo quasi certamente moltissimi nuovi parlamentari nelle Commissioni Difesa ed Esteri. La loro formazione potrebbe essere favorita non solo da audizioni più efficaci e puntuali in Parlamento, ma anche attraverso incontri informali in cui trasmettere il bagaglio di conoscenze necessarie per la loro attività.