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Dopo 60 anni, un presidente non Castro

Cuba: da Raul a Dìaz-Canel, tra continuità e speranza

19 Apr 2018 - Nicola Bilotta - Nicola Bilotta

Dopo sessant’anni, il 19 aprile i cubani si sono svegliati con un presidente il cui cognome non è Castro. Un cambiamento epocale per la storia di Cuba, almeno sul piano formale. La nomina di Miguel Dìaz-Canel alla presidenza del Paese potrebbe rappresentare, infatti, più una strategia di continuità sostanziale che di rottura con la gravosa eredità castrista.

Il 19 aprile è una data iconica per la storia cubana. Il 19 aprile 1961, le forze rivoluzionarie costrinsero il corpo di sbarco anticastrista alla ritirata, segnando il primo consolidamento della rivoluzione cubana. Paradossalmente, il 19 aprile 2018, cinquantasette anni dopo la Baia dei Porci, segna la fine di un Castro alla presidenza del Paese.

Il significato del 19 aprile nella storia cubana
Nonostante la nomina di Dìaz-Canel, vice-presidente e braccio destro di Raul Castro fin dal 2013, possa aprire spiragli di speranza, la maggior parte dei cubani vive la transizione con indifferenza, non riponendo fiducia in un processo di cambiamento radicale. Raul Castro rimarrà capo del Partito Comunista fino al 2021, mantenendo, informalmente, un ruolo di influenza nel governo del Paese. Non bisogna neppure dimenticare che a Cuba il potere reale si snoda tra le istituzioni statali, il partito e le forze armate in cui, ad oggi, il peso della “vecchia guardia” rimane dominante.

Inoltre, la figura politica di Dìaz-Canel rimane un enigma. Non appartiene alla generazione storica dei rivoluzionari del 1959, non è stato a capo del Partito Comunista e non proviene dalle forze militari. Cresciuto nella provincia cubana, il nuovo presidente ha scalato i vertici del Partito Comunista attraverso un cursus honorum istituzionale, senza però crearsi un profilo pubblico noto. Malgrado sia stato descritto come una persona moderata, amante della musica rock e sensibile ai diritti Lgbt, in un recente video, registrato di nascosto a una riunione del Partito Comunista, ha mostrato posizioni non certo liberali su dissidenti e media occidentali.

Il nuovo presidente avrà l’arduo compito di risollevare l’economia cubana dopo anni di stagnazione in un contesto geopolitico in cui Cuba è diventata marginale e in un ciclo macro-economico in cui il naturale alleato di Cuba, il Venezuela, sta attraversando una profondissima crisi economica.

Le sfide economiche e geopolitiche del nuovo governo
Nonostante le timide riforme promosse da Raul Castro negli ultimi anni, Cuba sta attraversando una stagnazione economica molto grave. Il Pil cubano è del 30% inferiore a quattro anni fa, mentre il valore dell’import è calato da $15 miliardi nel 2013 a $10 miliardi nel 2016. Una crisi che ha costretto il governo a tagliare dell’8% le politiche sociali ed educative rispetto al 2008. Anche la produzione agricola sta soffrendo la mancanza di investimenti governativi. Nel 2016 il prodotto agricolo è stato di 8.4 tonnellate, un dato produttivo inferiore alle 8.7 tonnellate nel 2005.

I dati macroeconomici negativi di Cuba hanno spinto il governo verso un restringimento delle riforme piuttosto che verso una maggiore liberalizzazione, tagliando i margini operativi dei business privati. Eppure, il peso dei lavoratori privati nel mercato del lavoro cubano è ormai rilevante, occupando circa 1/8 della forza lavoro del Paese. Se, nel 2008, solo a 150.000 persone era stata concessa la licenza da self-employed, oggi, sono circa 580.000.

I recenti mutamenti nel contesto geopolitico non giocano a favore del nuovo governo cubano. La crisi economica e politica che sta affossando il Venezuela ha difatti tolto a Cuba non solo il più importante alleato ideologico ma anche il partner commerciale strategico per materie prime e finanziamenti. Nel 2014, Cuba importò circa 5.1 miliardi di dollari in petrolio, dato che nel 2016 calò drasticamente a 1.6 miliardi. Il medesimo trend è osservabile nelle esportazioni verso il Venezuela, che è passato da 2 miliardi nel 2016 a 614 milioni nel 2016.

In aggiunta, le strategie di politica estera del presidente statunitense Trump hanno comportato un inasprimento dei rapporti tra i due paesi, dopo i prolifici dialoghi di riappacificazione tra la precedente Amministrazione Obama e il governo di Raul Castro. La tensione politica si riflette direttamente sull’economia reale e sul mercato nero cubano. Per esempio i ricavi del settore turistico, una risorsa economica fondamentale per molti cubani, hanno subito una contrazione significativa. Nel 2016, circa un milione di turisti americani si recò sull’isola, spendendo circa 650 milioni di dollari, un dato che nel 2017 è calato drasticamente a causa delle restrizioni ai visti imposte dal governo Usa.

Il dissidio con gli Stati Uniti e la debolezza del Venezuela potrebbero spingere il nuovo governo a rafforzare maggiormente i legami con la Cina, che, sebbene storicamente non sia stata una stretta alleata, recentemente è divenuta più strategica. Nel 2015, gli import dalla Cina verso l’isola caraibica furono di 1.9 miliardi di dollari, un incremento del 60% rispetto alla media degli ultimi dieci anni. Negli ultimi anni si è assistito ad un crescente flusso di investimenti diretti cinesi verso l’isola caraibica a testimonianza della maggiore cooperazione tra i due Paesi.

Continuità e speranza
L’immagine mediatica del nuovo presidente è sicuramente innovativa e moderna, lontana dalla rigida austerità dei fratelli Castro ma la fattualità di un percorso di riforme si intreccia con dinamiche ben più complesse della semplice apparenza propagandistica.

Dìaz-Canel si troverà davanti ad un bivio e dovrà decidere come affrontare la fragilità economica cubana e il precario contesto geopolitico per rinvigorire la fiducia del popolo cubano nella rivoluzione castrista dopo anni di stagnazione economico-sociale. Una strada è il consolidamento e l’avanzamento delle timide riforme iniziate da Raul Castro volte a liberalizzare maggiormente i self-employed, a stimolare gli investimenti esteri e a terminare il sistema monetario di doppia valuta. La seconda via è invece un ritorno al passato, un percorso che non si è dimostrato in grado di incanalare le aspettative dei cubani.