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Sicurezza e Difesa

Studi strategici: storie e prospettive per Europa e Italia

5 Mar 2018 - Diego Bolchini - Diego Bolchini

Lo studio dei diversi aspetti caratterizzanti la sicurezza e la politica internazionale è una esigenza sempre più sentita, nel settore pubblico così come in quello privato. Esercizi di scenaristica e analisi del rischio politico accomunano governi, grandi aziende e think tank, che oggi cercano anche di divulgare letture e chiavi interpretative dei fatti del mondo.

Le stesse dinamiche evolutive più recenti dell’Ue in ambito sicurezza e difesa (come la Pesco e la creazione del Fondo europeo di Difesa) sembrano imprimere nuova centralità all’ambito di studi di sicurezza (security studies) e strategici (strategic studies). Indicativa in proposito è l’affermazione resa da Sigmar Gabriel –  ministro degli Esteri tedesco – all’edizione 2018 della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, per la quale gli europei non possono più essere “gli unici vegetariani in un contesto problematico e in un mondo di carnivori”.

Si enfatizza in tal modo l’importanza di circoscrivere e attualizzare interessi strategici e proiezioni esterne dell’Unione con un rinnovato approccio concettuale e operativo, che sia efficace e rispondente ai tempi. Un cambio di passo, che potrebbe essere supportato in vari modi.

Uno potrebbe essere il rafforzamento dell’area analitica e di crisis simulation dell’Euiss (European Union Institute for Security Studies) di Parigi, nato nel 2002 come agenzia autonoma nell’ambito della Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione. Un secondo, favorire l’interlocuzione dello stesso Euiss con l’Eumc (European Union Military Comittee), visto il comune ruolo di advisor svolto nei confronti del Comitato politico e di sicurezza dell’Unione nella sua azione di monitoraggio della situazione internazionale. Un terzo, ampliare le capacità del centro satellitare dell’Unione per rispondere alle crescenti richieste dei differenti utilizzatori finali di immagini sul mondo (tra cui figura anche l’Osce).

Tra relazioni internazionali e studi strategici: una disciplina (solo) straniera?
Al di là della conoscenza teorica della disciplina accademica Relazioni internazionali (per la quale il prossimo anno si celebrerà il centenario, in quanto nata formalmente nel 1919 in Galles), di cui gli Studi strategici sono una filiazione, non è sempre agevole liberare il campo da equivoci sugli stessi termini di base della materia: sicurezza e strategia, considerando anche la loro evoluzione semantica nel corso del tempo partendo dalla Grecia classica e dai suoi στρατηγός, ovvero generali e condottieri.

Venendo all’oggi, rispetto alle principali minacce alla stabilità internazionale, dal terrorismo alla minaccia cyber, gli attori di interesse strategico sono ormai multi-livello: statuali, sub-statuali, industriali, think tank, pirati informatici e anche marittimi in carne ed ossa. In tutto ciò, le organizzazioni internazionali continuano a giocare un ruolo rilevante, sostanziando operazioni civili e militari di portata complessa tra aspetti politici, tecnico-operativi, etici e legali.

In tale quadro, vi è da dire che buona parte della letteratura di riferimento sulla scena mondiale degli studi strategici è anglofona: si pensi al lavoro di Alan Collins – Contemporary Security Studies per la Oxford University Press – o a raccolte di testi classici come il volume Strategic Studies – A Reader (Routledge). In quest’ultimo lavoro figura ad esempio – accanto a nomi quali quelli di Bernard Brodie, Hew Strachan o Lawrence Freedman – un solo pensatore francese, David Galula (1919-1967), per i suoi studi pionieristici sulla contro-insorgenza in Algeria. E l’Italia?

Studi Strategici e di sicurezza in Italia: un patrimonio da valorizzare
Anche nel nostro Paese sono state sviluppate negli anni svariate iniziative gravitanti attorno agli Studi strategici e sono stati costituiti importanti “pensatoi” sul mondo, forse ancora troppo poco valorizzati nel dibattito pubblico a fronte della loro rilevanza, anche in senso storico. Il 27 marzo si celebreranno gli 84 anni di vita dell’Ispi di Milano, mentre a ottobre lo IAI di Roma festeggerà i 53 anni di attività.

Oltre il ruolo specifico dei think tank, si consideri, in tempi più recenti, l’istituzione presso l’Università di Venezia – Ca’ Foscari di un master universitario di II livello in Studi strategici e Sicurezza internazionale. Analogamente, presso l’Università degli Studi di Firenze – ove già nel 1985 il professor Umberto Gori volle istituire un corso integrativo di Studi strategici e sin dal 2001 esiste un Centro di Studi strategici e internazionali – è attualmente attivo un Master in Leadership ed Analisi strategica. La Sapienza sviluppa un Master in Geopolitica e Sicurezza globale.

Passando al contesto privato, la Luiss – ove nel 1980 fu istituito il primo corso universitario italiano di Studi strategici – mantiene tuttora un Corso di Security Studies all’interno del Dipartimento di Scienze politiche e da gennaio 2018 ha attivato anche un Corso di specializzazione in Affari strategici in collaborazione con la PCM. Per quanto concerne invece altre iniziative culturali, da svariati anni l’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici svolge un’azione di stimolo intellettuale con diverse iniziative e convegni.

In questa veloce panoramica non può essere taciuta la rilevanza del polo militare rappresentato dal Casd – Centro Alti Studi Difesa (nato come Centro Alti Studi Militari con un decreto ministeriale già nel 1949), che oggi sviluppa attraverso le sue componenti formative e di ricerca (Iasd, Issmi e CeMiss), in collaborazione con diversi Atenei, syllabi con focus privilegiati su Strategia e Studi internazionali strategico-militari nonché attività di monitoraggio areale. Di fatto, appare lecito affermare che le Forze Armate hanno in taluni casi preceduto l’Università nel riconoscere l’esigenza di studiare e raccordare le interrelazioni strategiche tra aspetti militari e non militari in contesti conflittuali.

Conclusioni e auspici per il futuro
Considerata la ricchezza e la diversità di approcci e riflessione strategica potenzialmente federabile ed esprimibile anche in Italia, l’auspicio è duplice. Da un lato recuperare la memoria e lo studio dei maggiori studiosi italiani del passato, come Franco Alberto Casadio, antico direttore della Sioi, Carlo Maria Santoro dell’Università di Milano o lo stesso Gino Germani, stimato studioso che fu attivo anche in Argentina e negli Usa presso l’Università di Harvard. Dall’altro, che possa svilupparsi sempre di più un approccio collaborativo di sistema, laddove attori statali, non statuali ed economici si trovano sempre più spesso di fronte a scelte strategiche caratterizzate da elevati livelli di rischio.

Un’adeguata capacità di analisi degli equilibri e dis-equilibri geo-politici e delle crisi cicliche che impattano l’interesse e la sicurezza nazionale ed europea appare sempre più fondamentale. Questo esercizio richiede strumenti di comprensione adeguati e diffusi in ambito socio-politico, linguistico, economico, giuridico e tecnologico. Tutto al fine di produrre diagnosi corrette, deliberare possibili opzioni strategiche di intervento e sostenere nel tempo le sottese linee di azione.