Slovacchia: catena di dimissioni, Pellegrini nuovo premier
La vicenda di Ján Kuciak, il ventisettenne giornalista slovacco trovato ucciso con la sua compagna Martina Kušnírová a fine febbraio nella sua abitazione, ha provocato un terremoto politico nel Paese e messo in crisi il governo di Bratislava. Le prime dimissioni sono state quelle del ministro della Cultura Marek Mad’arič. Membro del partito socialdemocratico Smer-Sd, Mad’arič aveva attribuito la sua decisione a ragioni personali precisando di non poter fare i conti con una circostanza così tragica determinatasi, per di più, durante il suo mandato.
È stata poi la volta del ministro dell’Interno Robert Kalinák, messo sotto pressione, insieme al capo della polizia Tibor Gašpár, dal settore mediatico e dall’opposizione sin dal giorno stesso del ritrovamento dei corpi senza vita di Kuciak e della sua compagna.
I sostenitori delle dimissioni, tra cui il partito centrista della minoranza ungherese (e partner di coalizione dello Smer-Sd) Most-Híd, accusavano Kalinák e Gašpár di non essere in grado di garantire lo svolgimento di un’inchiesta imparziale sul tragico episodio. Sembra infatti che in passato, sotto la direzione dei due, la polizia abbia archiviato diversi casi sospetti, poi resi pubblici dalla stampa. In alcuni di essi sarebbero stati coinvolti l’ex ministro ed alcuni imprenditori di sua conoscenza.
Fra ‘ndrangheta e Soros
Prima di essere ucciso, il giovane giornalista di Aktuality.sk stava lavorando a un articolo – pubblicato incompleto dal portale per il quale Kuciak lavorava – che trattava di presunte relazioni tra l’establishment politico della Slovacchia e uomini d’affari italiani sospettati di essere legati alla ‘ndrangheta.
Un servizio che si inseriva nella più ampia attività di indagine che Kuciak stava portando avanti sui problemi di corruzione esistenti nel Paese e sui possibili e dubbi legami fra il mondo degli affari e il partito di governo.
Le indagini di Kuciak hanno condotto a Maria Trošková, consigliera del premier che avrebbe avuto rapporti di affari con l’imprenditore italiano Antonino Vadalà, il cui nome sarebbe comparso in un’inchiesta sulla malavita calabrese. Le accuse di corruzione rivolte dall’opinione pubblica all’esecutivo sono sfociate in una richiesta di dimissioni del primo ministro Robert Fico da parte di decine di migliaia di manifestanti scesi in piazza lo scorso 9 marzo.
Le proteste erano state incoraggiate dal presidente della Repubblica Andrej Kiska il quale, dopo il caso Kuciak, si era espresso per una riformulazione della squadra di governo con un premier diverso da Fico o per le elezioni anticipate. Prima di rassegnare le dimissioni a favore del vicepremier Peter Pellegrini, Fico ha gridato al complotto e al colpo di Stato attuati, a sua detta, col pretesto dei due giovani uccisi. Nei giorni precedenti, sempre Robert Fico aveva incolpato George Soros di aver operato, dietro le quinte, nel tentativo di far cadere il governo. Una tesi complottista, secondo le opposizioni. Un riferimento in negativo, quello al magnate americano, che negli ultimi tempi è diventato parte integrante della retorica del premier ungherese Viktor Orbán e dei suoi sostenitori.
Nessun volto nuovo
Di fatto, l’ampio rinnovamento della compagine governativa, voluto dal presidente e dall’ala radicale di Most-Híd, non ha avuto luogo. L’esecutivo guidato dal quarantaduenne Pellegrini – uomo politico di chiare, per quanto remote, origini italiane – si è preparato a operare nel segno di una continuità dovuta al fatto che la maggior parte dei ministri viene confermata nell’incarico.
Mancano Mad’arič, Kalinák e la ministra della Giustizia Lucia Žitanská, particolarmente critica nei confronti di Fico e dell’ex ministro dell’Interno. Fico manterrà la segreteria del partito e presumibilmente il ruolo di orientare il nuovo governo o quanto meno di ispirarne l’azione.
Né la piazza né le opposizioni considerano sufficienti le dimissioni rassegnato da Fico, accusano l’ex premier e il sistema di potere da lui creato di aver dato spazio alla criminalità affaristica che, ormai, sembra abbia inquinato in modo pesantemente invasivo le istituzioni statali, complice una corruzione dilagante, incoraggiata, secondo i manifestanti, dall’entourage di Fico.
Politica e malaffare a braccetto
Si è parlato di infiltrazioni da parte della ‘ndrangheta ma non va trascurata la presenza di una forte malavita organizzata autoctona, che ha cominciato ad affermarsi negli anni immediatamente successivi all’indipendenza del Paese, nel 1993. Secondo diversi giornalisti slovacchi, i rapporti tra politica e malavita organizzata si sono accentuati durante il lungo periodo del governo guidato da Robert Fico.
Il presidente Kiska appoggia la voglia di cambiamento espressa da più parti nel Paese e aspetta da Pellegrini una lista di ministri modificata. Sembra che quest’ultimo voglia evitare ulteriori scontri col capo dello Stato e ha per questo fatto circolare i nomi di chi potrebbe sostituire i ministri non graditi al presidente.
Non è però detto che questo basti né si esclude, in prospettiva, la nomina di un governo tecnico che traghetti il paese al voto anticipato, che le opposizioni e la società civile chiedono a gran voce, insieme a un impegno concreto volto a bonificare il mondo politico slovacco da elementi e ambienti per lo meno equivoci all’interno dei quali è probabilmente maturata la decisione di far uccidere Ján Kuciak.
Foto di copertina © Michal Kamaryt/CTK via ZUMA Press