Siria: la crisi si complica fra i miraggi del deserto
La crisi siriana fra la fine del 2017 e l’inizio dell’anno in corso si è indubbiamente complicata. Mentre il sedicente Stato islamico, l’Isis, e le opposizioni anti-Assad se ne vanno sul fondo della scena, sul proscenio della Siria sono emersi nuovi conflitti: (a) quello fra i curdi siriani e la Turchia, che dalla metà di gennaio si è tradotto nell’invasione militare dell’Afrin da parte di Ankara; (b) quello fra i curdi siriani e il regime siriano lungo l’Eufrate; (c) quello nella provincia dell’Idlib fra la Turchia e il regime siriano; (d) quello di Teheran e Damasco contro Israele ai confini siro-israeliani.
I risultati conseguiti lo scorso anno
Nel 2017 l’alleanza fra Russia, Turchia e Iran ha condotto un processo di riduzione delle ostilità in quattro zone della Siria occidentale, che ha preso il suo nome da Astana, la città dove gli alleati lo hanno lanciato. Questo processo ha prodotto risultati misti: ha funzionato poco nella realizzazione del suo obiettivo di riduzione delle ostilità fra Damasco e le opposizioni, molto invece nel consolidare e allargare il controllo territoriale di Assad.
Nella seconda parte dell’anno Mosca ha lanciato un processo parallelo di dialogo nazionale destinato a dare al conflitto quella soluzione politica che a Ginevra non si è ottenuta (e assai probabilmente non si può ottenere). La conferenza di Soci ha raccolto le opposizioni siriane nazionali il 30 gennaio 2018 (ad eccezione degli jihadisti e pure dei curdi) con l’obiettivo di fissare un consenso costituzionale che però è stato mancato. La conferenza di Soci ha approvato una mozione che crea una commissione all’uopo in seno al negoziato di Ginevra che evidentemente si farà e funzionerà solo se quella reale soluzione politica che non sì è vista a Soci verrà fuori da qualche altra parte.
Non riuscita la soluzione politica, la crisi s’aggrava
Il tentativo della Russia e dei suoi alleati di Astana di dare una soluzione politica alla crisi siriana riscuotendo i dividendi della loro predominanza militare non è andato in porto. Fra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, al posto di un avvio alla soluzione, si è assistito a un rapido appesantimento della crisi la crisi con i nuovi conflitti che abbiamo ricordato.
Perciò, ha avuto molto successo il titolo di un articolo di P.K. Baev, un esperto della Brookings, che evoca “the fog of the Syrian War”. In effetti, si parla molto della padronanza russa su vecchi e nuovi conflitti, ma in realtà l’abile diplomazia moscovita si muove su un terreno alleato troppo incoerente per poterlo mettere al servizio dei suoi obbiettivi strategici e finisce, quindi, con il muoversi nella “nebbia”. L’alleanza di Astana è fra compagni di strada.
Contraddizioni e complicazioni della Russia di Putin
Così, la Russia deve accondiscendere all’offensiva turca nell’Afrin, sacrificando però il suo buon rapporto con i curdi. Ottiene in cambio di accrescere l’imbarazzo della Nato e degli americani, ma non è chiaro come riuscirà a conciliare Assad con l’autonomia curda nel “movimento correttivo” della costituzione siriana che desidera attuare.
Ancora, Putin chiama Netanyahu al telefono per interrompere la spirale del 10 febbraio nei cieli di Israele e Siria fra aviazione israeliana e contraerea siro-iraniana, ma questo non chiarisce quale controllo i russi esercitano sugli iraniani e sulla situazione. Un analista dell’International Crisis Group, Joost Hiltermann, ha parlato di una Russia “riluttante” e tardiva nel suo ruolo di guida (“driver”) dell’alleanza”.
Ancora, va sottolineata l’ambiguità di Mosca fra la riduzione delle ostilità nell’ambito del processo di Astana e l’appoggio della sua aviazione ai forsennati attacchi di Assad contro le opposizioni nazionali, ora a Ghouta e nell’Idlib, col pretesto della presenza dei jihadisti. Che Teheran punti ad una piena restaurazione di Assad schiacciando opposizioni buone e cattive è perfettamente noto; che lo faccia anche la Russia è cosa che proietta qualche ombra sul suo progetto di dialogo nazionale e correzione della costituzione in senso inclusivo.
L’incidente russo-americano di Deir Ezzor
Infine, va anche menzionato l’incidente del 7-8 febbraio che ha visto l’attacco di un folto gruppo di mercenari russi e forze di Damasco ad una base degli Usa e delle Forze democratiche siriane presso Deir Ezzor, in una zona peraltro di chiara “de-confliction” russo-americana. L’aviazione americana ha duramente contrattaccato uccidendo parecchi mercenari. Il ministero degli Esteri russo ha protestato che di russi non ce n’erano affatto. Ma i russi c’erano e anche questo mostra che la Siria è una “nebbia” e che la Russia si muove in questa “nebbia” forse senza accorgersene.
L’incidente presso Deir Ezzor ha suscitato qualche preoccupazione perché ad alcuni è sembrato accennare ad una rotta di collisione fra russi e americani. Questo sviluppo è assai improbabile, ma è vero che i rapporti fra Usa e Russia in Siria continuano ad essere poco chiari, contribuendo alla “nebbia”. Occorre dire che questa mancanza di chiarezza è dovuta non tanto alle manovre e alle ambiguità dei russi quanto all’incapacità dell’Amministrazione americana di avere una struttura (e una politica) coerente a più di un anno dal suo insediamento. La Russia vuole senza dubbio che gli Usa se ne stiano alla larga dalla Siria. Che cosa vogliono gli Usa è meno chiaro.
Contraddizioni e distrazioni degli Usa di Trump
Nel 2017 Trump ha dato l’impressione di volersi occupare della Siria ancora meno di Obama e di più della disfatta dell’Isis e degli altri gruppi terroristici. Negli incontri al vertice con Putin ad Amburgo (7 luglio 2017) e Da Nang (11 novembre), questa impressione si è precisata nel senso di una cooperazione con Mosca volta a lasciare ad essa il governo di spazi non più prioritari per Washington e al contempo atta ad assicurare interessi americani più centrali. In questo senso è parsa andare l’intesa russo-americana – perfezionata fra Amburgo e Da Nang – per la creazione di una zona di riduzione delle ostilità nel sud-est siriano, onde prevenire scontri fra l’Iran e Siria, da un lato, e Israele, dall’altro.
Ma la dottrina sulla Siria esposta allo Hoover Institute il 17 gennaio 2018 dal segretario di Stato Rex Tillerson smentiva questa interpretazione poggiando la politica siriana degli Usa su due pilastri: (1) gli americani sarebbero restati nel nord-est siriano, accanto ai curdi e alla Forze democratiche siriane, fino alla risoluzione della crisi e (2) la crisi si sarebbe dovuta risolvere a Ginevra con l’esclusione di Assad. Oggi che Tillerson è stato silurato (nella lunga marcia dell’amministrazione verso la sua vera identità), sappiamo che la politica siriana degli Usa è quella di Amburgo e Da Nang o, almeno, è quella destinata a somigliargli di più. Mike Pompeo, il successore di Tillerson, certamente più in sintonia con Trump, si occuperà della Corea del Nord e, in Medio Oriente, dell’Iran, lasciando fare la Russia e gli altri in Siria. Resta da vedere se si preoccuperà della Turchia.
Il ruolo dell’Europa
Questo chiarimento diraderà un po’ la “nebbia” siriana e farà senza dubbio piacere a Mosca. Farà anche piacere all’Europa? Certamente no, perché la diplomazia di deteriore machiavellismo e la guerra priva di norme che piacciono alla Russia sono troppo lontane dai suoi valori. Ma anche perché la Siria sotto l’influenza russa – con le basi militari che Mosca ha avuto in concessione da Damasco e i missili antiaerei puntati sul Mediterraneo orientale – è un minaccioso accoppiamento con il Donbass, la Crimea e i missili a Kaliningrad.
Inoltre perché il problema dell’espansionismo iraniano in Medio Oriente non può essere affrontato affondando il Jpcoa, appoggiando l’Arabia Saudita e suscitando altre guerre regionali. Si profila inoltre una Turchia più nemica che amica. Insomma un preoccupante arco di rischi dal Baltico alla Turchia e alla Siria, di fronte al quale l’Europa appare sola e disarmata.
Per ora l’Unione europea ha erogato sanzioni ad altri quattro siriani. Federica Mogherini ha fatto una dichiarazione che riassume tutte le preoccupazioni e lo sdegno degli europei per la situazione umanitaria in Siria. Il presidente francese Macron insiste nella stessa direzione per vie diplomatiche. Ma questo non salverà gli europei né dalla riluttanza di Washington né dalla determinazione nazionalista di Putin. Occorre che l’Ue faccia un po’ da sé e presto.