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Elezioni suppletive

Hong Kong: calo di Demosisto, Xi ricorda il primato di Pechino

22 Mar 2018 - Serena Console - Serena Console

In 19 secondi – per quanto porzione di tempo irrisoria – possono accadere molte cose: può essere conclusa un’azione calcistica oppure possono essere battuti in corsa 200 metri, ma rimangono sempre primati da campioni sportivi.

In 19 secondi, però, a Pechino si registrano altri record, questa volta non sportivi, ma di puro e mero consenso ideologico. 19 secondi è la durata esatta dell’applauso che i circa 3000 delegati dell’Assemblea nazionale del popolo (quanto di più simile a un Parlamento) hanno tributato a Xi Jinping quando, con il petto tronfio di orgoglio nazionalista, durante il discorso di chiusura dei lavori del 20 marzo, ha ribadito che “il popolo e la nazione cinese hanno una convinzione condivisa: non un singolo centimetro della nostra grande patria sarà e potrà essere ceduto”. Xi Jinping, l’ormai presidente pressoché eterno, in carica per un tempo superiore ai canonici 10 anni, ha così sottolineato uno dei tanti punti chiave della sua agenda politica: debellare ogni sentimento indipendentista e separatista da Hong Kong, Taiwan e Xinjiang (la regione a maggioranza musulmana del nord).

Dalla chiusura del Lianghui, la doppia sessione parlamentare cinese, emerge un quadro istituzionale mutato e una classe dirigente riassettata. Grazie alla massiccia campagna di anticorruzione che ha colpito il Partito comunista cinese (Pcc), il processo di centralizzazione del potere nelle mani ha preso il via, puntando al 2050, anno in cui la Cina sarà una superpotenza socialista economica, militare, ingegneristica e tecnologica.

Un progetto utopistico per gli standard stranieri, ma non per il Paese guidato dal “presidente di ogni cosa”, Xi Jinping, che assomma la carica di presidente della Repubblica popolare cinese, segretario generale del Pcc e presidente della Commissione militare centrale.

Xi è al comando di un Paese che guarda ben al di là dei confini regionali, si intromette in una realtà politica ed economica globale in costante cambiamento (anche, ma non solo, con progetti infrastrutturali), pur mantenendo un atteggiamento di “non ingerenza” in politica estera.

Sconfitta inattesa per i pandemocratici
“Qualsiasi tentativo separatista incontrerà la punizione della storia”, ha sentenziato il presidente Xi Jinping, applaudito nuovamente a lungo dai presenti nella Grande sala del Popolo. I toni nazionalistici del discorso di Xi hanno rafforzato il colpo inflitto ai pandemocratici di Demosisto a Hong Kong, gli eredi del movimento di protesta degli Ombrelli gialli che, a dispetto delle loro aspettative, hanno subito un’amara sconfitta nelle urne delle elezioni suppletive del Legislative Council dell’11 marzo scorso.

Nello stesso giorno in cui veniva abolito il limite del doppio mandato, i cittadini di Hong Kong erano chiamati alle urne per scegliere i sostituti dei legislatori dichiarati decaduti dal Parlamento per giuramento improprio: Nathan Law Kwun-chung, Sixtus Baggio Leung Chung-hang, Yau Wai-ching e Yiu.

Una saga durata più di un anno, tra proteste, accuse e carcerazioni, e che si è conclusa il 21 marzo con l’insediamento nel Consiglio legislativo – il Parlamento della città portuale – di Gary Fan, Au Nok-hin, Vincent Cheng e Tony Tse.

Complice il Lianghui, il periodo seguente il Capodanno Lunare o lo scarsa copertura mediatica, la campagna elettorale nell’ex colonia britannica ha avuto toni molto pacati, quasi da destare invidia nei cittadini italiani.

Solo in pochi, fra i principali media dell’ex colonia britannica, hanno pubblicato i sondaggi pochi giorni prima dell’apertura dei seggi. Forse una delle regioni dello scarso interesse della società e dei media è da riconoscere nella previsione dei risultati deludenti, quanto frustranti, per il blocco pandemocratico.

Candidati esclusi, successo a metà
L’affluenza alle urne è stata bassa, forse una conseguenza dell’azione della longa manus di Pechino, che ha gradualmente violato la Basic Law, la Carta costituzionale dell’ex colonia, così da ottenere, come clamoroso successo, l’allontanamento dalla corsa elettorale di alcuni membri del partito pandemocratico Demosisto. È il caso dell’ex candidata Agnes Chow Ting, intenzionata a correre per sostituire il compagno di partito Nathan Law Kwun-chung. Anche l’attivista democratica è stata esclusa lo scorso gennaio dalla tornata elettorale a causa della sua affiliazione al partito accusato di sostenere l’autodeterminazione per il popolo di Hong Kong.

Al termine della giornata elettorale, caratterizzata da moti di protesta e insulti nei confronti degli esponenti di Demosisto (tra questi, Joshua Wong, Nathan Law e Agnes Chow Ting) le sorti degli esponenti democratici sono diventate più chiare. I  pandemocratici hanno ottenuto due dei quattro seggi nelle elezioni parziali del Consiglio legislativo: Gary Fan e Au Nok-hin sono gli unici vincitori del blocco democratico emersi con fatica dalla pressione politica e sociale dei partiti filo-pechinesi.

I candidati pandemocratici che, nell’accettare la sconfitta, hanno però riconosciuto le difficoltà nel preparare in poco tempo una campagna elettorale efficace dopo l’esclusione della candidata di punta Agnes Chow Ting.

Attualmente, nel Legislative Council siedono 26 esponenti pan democratici e 42 fedeli alla Repubblica popolare cinese: ciò significa che i legislatori “ribelli” non hanno potere di veto sulle decisioni votate dal Parlamento a maggioranza filo-pechinese.

Nella morsa del Dragone
I quattro neo-eletti parlamentari hanno prestato giuramento in un clima di proteste e accuse da parte dei candidati esclusi e dei legislatori presenti in Parlamento, e una pioggia copiosa di dissenso caduta sul democratico Au Nok-hin da parte dei filo pechinesi.

Per i neo eletti pandemocratici non si apre un periodo tranquillo, considerate le accuse che vengono mosse dalla società civile filo-pechinese di promuovere l’autodeterminazione e l’indipendenza di Hong Kong.

E non mancano le iniziative per impedire anche a loro di sedere nell’assemblea legislativa: un residente della circoscrizione di Hong Kong Island, coadiuvato da un consigliere distrettuale fil- pechinese, ha presentato una richiesta di revisione giudiziaria dell’eleggibilità di Au Nok-hin.

Per assicurare una armonia sociale e politica, i nuovi parlamentari hanno così deciso di non far rivivere alla città quanto accaduto nel 2016, e hanno prestato fede al giuramento, senza alterarne la formulazione.

Ora, con l’appoggio della “Iron Lady” di Hong Kong – la chief executive Carrie Lam – e con un organo legislativo costituito principalmente da poli più vicini a Pechino, il presidente Xi Jinping non conoscerà impedimenti nella centralizzazione del potere nelle mani del Pcc anche rispetto all’ex colonia britannica del modello “un Paese, due sistemi”.

 Foto di copertina © Liau Chung Ren via ZUMA Wire