Campagna elettorale: linguaggio e scelte retoriche dei candidati
Sulla politica estera in campagna elettorale si registrano posizioni molto diverse tra partiti e movimenti per quanto riguarda l’Ue, la Russia e la Siria, ma anche alcune convergenze, ad esempio sulla necessità di mantenere l’accordo con l’Iran sul nucleare. Al di là dei singoli temi, un fattore interessante da osservare è il linguaggio che i candidati scelgono per comunicare visioni e proposte.
Significativo al riguardo l’evento “Italia al voto” organizzato il 22 febbraio a Roma da IAI, Ispi ed Ecfr: i direttori dei tre think tank italiani hanno impegnato Alessandro Alfieri (Partito Democratico), Giancarlo Giorgetti (Lega), Costanza Hermanin (+Europa) e Manlio Di Stefano (Movimento Cinque Stelle) in un serrato botta e risposta dal formato televisivo.
I temi affrontati hanno spaziato dalla Libia e dalla questione dell’immigrazione alla Siria, passando per l’Iran, dall’Ue al commercio internazionale e al rapporto con Cina, Russia e Stati Uniti. Sull’immigrazione, le visioni divergono meno di quello che ci si potrebbe aspettare: la gestione dei flussi, il rimpatrio volontario assistito e la cooperazione per lo sviluppo nel continente africano sono proposte condivise, negli ultimi anni, da quasi tutti i partiti. Tutti i partecipanti hanno inoltre concordato sulla necessità di aumentare i fondi alla cooperazione e allo sviluppo.
Interesse nazionale al centro, quali percezioni dell’Italia
Tra le parole trasversalmente più utilizzate, ha dominato il riferimento all’ “interesse nazionale” o “strategico” dell’Italia: tutti i candidati l’hanno menzionato di volta in volta, come interesse da tutelare sia nell’Ue che nei “teatri” anche questo termine molto utilizzato – della Libia e della Siria.
E’ interessante notare che termini come “interesse nazionale” abbiano avuto un crescente uso nell’ultimo decennio, rispetto al periodo della Guerra Fredda in cui erano stati accantonati, ricorrendo tanto nei documenti ufficiali adottati dagli ultimi governi quanto nel linguaggio di forze politiche di destra e di sinistra, “mainstream” e “populisti”.
Una certa terminologia inglese, specifica della politica internazionale e dell’economia, è entrata a far parte del linguaggio politico. Infatti, quasi tutti hanno parlato di “player”, di commercio “fair”, dell’Italia come Paese “too big to fail” (Giorgetti), del nostro “know how” e della “smart nation” (Di Stefano), o dei lavoratori “low skilled”, del “disengagement” in Iraq e dell’“expertise” (Hermanin).
Per quanto riguarda la percezione o visione del Paese comunicata durante il dibattito, l’Italia deve “tornare ad essere leader del Mediterraneo” per Di Stefano, “tornare protagonista” per Giorgetti – che ha definito l’Italia come “esclusa” o “scalzata” dagli altri – e “ripartire dal punto di vista della credibilità finanziaria e economica in Europa” per Hermanin. L’Italia non deve “diventare terra di conquista per interessi stranieri” (Giorgetti) ed è “profondamente diversa dagli altri Paesi” (Di Stefano).
Linguaggio più semplice o più dettagliato?
Tra i partecipanti, alcuni hanno preferito un linguaggio più comune, semplice e figurato – rimanendo a un livello generale del dibattito –; altri, invece, hanno fatto uso di un lessico preciso e specifico, scendendo più nel dettaglio nei temi affrontati. In particolar modo, gli esponenti della Lega e del M5S hanno articolato i loro discorsi verso la prima direzione, mentre gli esponenti del Pd e di +Europa verso la seconda.
Ognuno di loro ha scelto un particolare modo di comunicare, di evocare determinati immaginari e di fare riferimenti che, nel breve tempo a disposizione, non è stato di certo casuale. Infatti, è stato possibile tracciare un profilo, con delle peculiarità linguistiche e dei campi semantici propri per ogni candidato.
Alfieri ha fatto riferimento all’immaginario dell’europeismo federalista, parlando di “Stati Uniti d’Europa”, di “ripartire dal sogno di Ventotene”, dello “spirito dei padri fondatori” e di necessari “sforzi di fantasia” (citazione di Robert Schuman). L’esponente del Pd che, come Giorgetti, viene dalla provincia di Varese, ha sottolineato più volte il suo legame con il territorio, con espressioni come “sto sul territorio ogni giorno”, “vengo dalla provincia di Varese”, o “nel mio territorio”. In linea generale, sembra che Alfieri abbia strutturato un discorso più neutro rispetto agli altri candidati in termini di linguaggio.
Nel discorso di Di Stefano ha prevalso l’uso della parola “concetto” – termine utilizzato almeno una volta in ogni intervento. Altro termine ripetuto dall’esponente del Movimento5Stelle è “oggettivamente”. Sull’immigrazione in particolare, Di Stefano ha strutturato un discorso più dettagliato rispetto agli altri temi, aggiungendo anche che l’attuale funzionamento delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale implica volere “scientificamente rallentare tutto”.
Giorgetti ha insistito nel sottolineare l’anticonformismo del suo partito, con locuzioni come “in controtendenza”, “non siamo nel politicamente corretto” o “non abbiamo paura di dire qualcosa che risulti anticonvenzionale”. Giorgetti ha fatto un uso connotativo del linguaggio, con molte espressioni figurate ed evocative, come la metafora del “vespaio in Siria” o del “recinto della libera concorrenza”. Il candidato ha spesso fatto riferimento al campo semantico della guerra, utilizzando parole come “frontiera”, “armi diplomatiche”, “bomba”, “condannare a morte” o “terra di conquista”.
Hermanin è la candidata che ha utilizzato più parole inglesi: in ogni risposta data durante il confronto, almeno una volta. Per esempio, ha parlato di politiche di “stick and carrot” (“bastone e carota”) e di una azione politica che ha “delivered” (dato i suoi frutti). Inoltre, la candidata ha specificato a più riprese il fatto che +Europa abbia un atteggiamento critico su molti temi, dicendo “siamo critici” in merito all’azione del ministro Minniti sulla Libia, o che “+Europa non è acritica” verso l’Ue.
Per concludere, le scelte retoriche osservate corrispondono all’immagine che i candidati vogliono costruire agli occhi del proprio elettorato. Come diceva de Montaigne, “la parola è per metà di colui che parla, e per metà di colui che l’ascolta”.