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Prospettive e interrogativi

Balcani: allargamento, quando l’Ue dovrà dire 33

15 Mar 2018 - Eleonora Poli - Eleonora Poli

Considerati ai confini della periferia dell’Europa, che normalmente comprende Italia, Grecia e Spagna, i Balcani occidentali sono tornati alla ribalta grazie a un rinnovato slancio del loro processo di adesione. La recente strategia della Commissione europea per l’allargamento ha infatti sottolineato come il destino dei sei Paesi dell’Europa sud-orientale, ossia Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Albania e ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom), sia quello di diventare membri dell’Unione a tutti gli effetti entro il 2025.

Uno scatto delle istituzioni con diverse motivazioni
Questo scatto propositivo da parte delle Istituzioni europee è sicuramente dovuto a diversi fattori. Da un lato, è una risposta europea alla Brexit e al fatto che sarà proprio Londra ad ospitare il prossimo vertice del Processo di Berlino, un Summit intergovernativo nato su impulso tedesco nel 2014 per rilanciare il dialogo sull’ allargamento europeo.

Dall’altro, l’Unione europea, come sottolineato dal nuovo approccio della Strategia Globale (EuGs), ha tra i suoi obiettivi quello di proteggere i propri cittadini e Stati membri. I Balcani occidentali si trovano già all’interno dei confini dell’Unione, pur non facendone parte, e rappresentano in questo frangente un pericolo alla sicurezza dei Paesi membri. Senza una chiara prospettiva europea, i sei Paesi balcanici potrebbero cedere alle ingerenze di stampo politico, culturale, sociale ed economico delle grandi potenze regionali che li circondano, come la Russia, la Turchia, i Paesi del Golfo e persino la Cina, che sta investendo moltissimo nella regione.

Inoltre, nel caso in cui l’accordo sui migranti con la Turchia non dovesse tenere, i Paesi dell’area diventerebbero di nuovo una via facile per le ondate migratorie da Asia, Africa e Medioriente verso la più ricca Europa occidentale.

Processo di adesione difficili per screzi e beghe
Nonostante le intenzioni europee, il processo di adesione dei Balcani occidentali è tutt’altro che facile. In primis, nonostante l’ Ue non le affronti apertamente nel suo documento, ci sono ancora molte questioni aperte tra Stati membri e Paesi dei Balcani. La polemica sul nome ‘Macedonia’ tra Grecia e Fyrom ne ha bloccato l’integrazione ormai da anni. Inoltre Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia e Cipro non hanno ancora riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, impedendo al Paese di divenire un candidato alla membership.

Infine, anche se per la prima volta viene indicata una tempistica d’adesione per questi Paesi, il documento della Commissione non è ottimista perché sottolinea come essi necessitino di progressive riforme delle loro istituzioni nazionali e dello stato di diritto insieme a un rilancio dell’economia di mercato e al superamento dei conflitti bilaterali.

Quest’ultima è una clausola essenziale. Ad esempio, nel caso di Serbia e Kosovo, l’Unione europea ha formalmente chiesto una normalizzazione dei rapporti, che non significa un pieno riconoscimento serbo del Kosovo, ma per lo meno un tentativo di riappacificazione che potrebbe portare a una distensione e auspicabilemnte a una soluzione in futuraodella questione.

Negoziati con tutti i Paesi? C’è chi vi vede dei vantaggi
Alcuni esperti, come Srdjan Majstorovic dello European Policy Center, sostengono che, oltre che con la Serbia e il Montenegro, che al momento sono i capofila del processo di integrazione, l’Unione europea dovrebbe aprire i negoziati di accesso con a tutti gli altri quattro Paesi dell’area per stimolare un coordinamento regionale delle riforme necessarie.

Ad esempio, la mancanza di istituzioni efficaci contro corruzione e malfunzionamento del sistema giudiziario è il tallone di Achille di tutti i sei Paesi, che secondo il Corruption Perception Index, non hanno registrato alcun miglioramento su tale fronte nel 2017.

Oltre a facilitare l’integrazione europea, un sistema di governance complessivamente migliore e delle istituzioni funzionanti potrebbero contribuire positivamente allo sviluppo economico della regione. Al giorno d’oggi, nessuno dei Balcani occidentali ha un’ economia di mercato funzionante o potrebbe fare fronte alla pressione competitiva delle forze di mercato europee. Un miglior coordinamento delle istituzioni a livello regionale potrebbe garantire maggiori investimenti di cui tutta la regione beneficerebbe.

L’impegno a una maggiore cooperazione a livello regionale
In questo frangente, oltre che ad un effettiva integrazione europea, i Paesi dei Balcani occidentali devono quindi impegnarsi  promuovere una maggiore collaborazione a livello regionale. L’idea di lanciare un mercato unico dei Balcani o ad esempio, l’istituzione di un Ufficio di cooperazione giovanile regionale (Ryco) a Tirana ne sono esempio calzante.

Tuttavia, se nel primo caso occorre una forte volontà politica di ridurre le barriere al commercio nazionali, nel secondo caso, il Ryco rimane una punta di diamante con la quale si giustifica l’assenza di altri sforzi utili, come ad esempio lo sviluppo di programmi di scambio tra i sei Paesi o la creazione di poli di eccellenza regionali per un sistema di educazione meno scollato dalle necessità economiche dell’area ed in grado di produrre figure professionali meglio integrabili nel mercato di lavoro locale.

D’altro canto, concentrarsi troppo sui problemi che i Balcani devono risolvere per diventare candidati ideali non evita all’Unione di pensare ad altre questioni, ad esempio come potrebbe funzionare un’ Europa a 33. Luisa Chiodi, direttrice di Osservatorio Balcani Caucaso e Transeuropa, sottolinea che, se è evidente che prima o poi i Balcani entreranno nell’Unione, non è ancora facile riuscire a prevedere che tipo di struttura l’Unione europea avrà adottato.

I Balcani sono sicuramente una regione piccola e scarsamente popolata rispetto ai numeri dell’Unione a 27. Tuttavia, non bisogna dimenticare che proprio da questa regione sono partite le scintille che hanno accesso uno dei conflitti mondiali peggiori della storia del Vecchio Continente. Più che pensare a come e quando i Balcani occidentali entreranno, è necessario iniziare già ad immaginare come si dovrà far funzionare un’Ue a 33.