Austria: governo Kurz-Strache, scrutando la svolta a destra
A tre mesi dall’insediamento in Austria del governo Kurz–Strache, è presto per fare un bilancio dell’attuazione delle promesse elettorali. Ci si può però domandare se vi siano chiari e preoccupanti segni di una svolta a destra in politica interna e nella politica europea. Risposta al momento negativa, con qualche riserva nel primo caso, con certezza nel secondo.
Non c’è dubbio che le elezioni dello scorso ottobre abbiano premiato il nuovo leader del partito popolare non solo per il suo dinamismo e il bell’aspetto, ma anche per il suo orientamento liberal-conservatore. E che l’Fpoe di Strache sia (come la Lega di Salvini) l’equivalente austriaco del Front National di Marine Le Pen, con in più venature di nostalgie pan-germaniche, anche se limitate a poche migliaia di militanti.
Fumo libero, trasgressioni goliardiche e piccoli Watergate
Nell’accordo sul programma, Sebastian Kurz ha dovuto fare alcune concessioni a Heinz-Christian Strache, come la
libertà di fumare nei caffè e ristoranti, incassando parecchie critiche, ma non sembra disposto a ulteriori cedimenti.
Ha suscitato scalpore il caso di un candidato alle elezioni regionali in Bassa Austria iscritto a una Burschenschaft (associazione di studenti ed ex-studenti nazionalisti), quando si è scoperto nel suo libro di canti goliardici un testo trucemente antisemita. Strache avrebbe forse voluto minimizzare (ragazzate…), ma Kurz è stato fermo e il candidato ha dovuto ritirarsi. L’antisemitismo non fa parte dell’ideologia dell’Fpoe (né degli analoghi partiti europei occidentali), sostituito dall’anti-islamismo.
Il problema è che in Austria la vis trasgressiva della goliardia non si sfoga come da noi nella satira boccaccesca, bensì nella retorica “deutsch-national”. Per quella minoranza che ancora aderisce a quei riti, lo spirito di corpo e quindi l’appartenenza ad una Burschenschaft dura per tutta la vita. Dato che l’Fpoe non ha un vivaio di personale politico, i quadri vengono reclutati in parte fra i membri di quelle associazioni. E’ così che fra i 50 deputati Fpoe eletti nell’ottobre scorso i Burschenschaftler sono una ventina. Ed è inevitabile che i neo-ministri di quel partito nel nominare i propri collaboratori favoriscano i loro attivisti, compresi alcuni estremisti.
Le preoccupazioni espresse dall’opposizione e dai media per il monopolio sui ministeri attinenti alla sicurezza concesso da Kurz all’alleato sembrano trovare una conferma nell’offensiva lanciata dal ministro dell’Interno Herbert Kickl, già segretario generale dell’Fpoe, contro il servizio segreto Bvt (ufficio protezione della Costituzione e anti-terrorismo), sospendendone giorni fa il capo e altri quattro dirigenti. Il 28 febbraio la sede del Bvt e alcune abitazioni private erano state perquisite non dalla polizia ordinaria, ma da una cinquantina di agenti della polizia antidroga (scelta perché capeggiata da un esponente dell’Fpoe), a seguito di una denuncia per mancata cancellazione di intercettazioni o altri dati. Sembra che la documentazione informatica sequestrata comprendesse fascicoli su estremisti di destra. Se così fosse ci troveremmo di fronte a un piccolo Watergate della destra austriaca.
Nessun sintomo di contagio della sindrome ungaro-polacca
Se si prescinde da questo inquietante episodio, e da una sparata di Strache contro la Tv di Stato, per la quale ha ora dovuto scusarsi e offrire un indennizzo, la democrazia austriaca non presenta sintomi di contagio della sindrome ungaro-polacca. Né, sul piano della politica estera ed europea, si vedono segni di un presunto scivolamento nell’orbita di Visegrad. Strache non sarebbe alieno, ma Kurz non ha alcuna intenzione di assecondarlo in questo campo.
Quello che non si può escludere è che Vienna, già destinataria di sanzioni politiche da parte dell’Ue all’epoca della precedente coalizione di destra (Schuessel-Haider), si pronunci contro misure punitive a carico di Budapest o Varsavia. Lo scambio di visite con Orban non va interpretato come la costituzione di un ‘asse’: riflette semplicemente
l’intenzione di stabilire buoni rapporti con i vicini (vale anche per l’Italia), vista la necessità di gestire al meglio i problemi bilaterali.
Una convergenza con gli orientamenti politici dei quattro paesi centro-europei c’è solo nel campo dell’immigrazione, e comunque in forme meno drastiche. Si parla di frenare l’immigrazione illegale e di adottare criteri più rigorosi nella concessione del diritto di asilo (che non viene rimesso in questione); tendenza peraltro presente in quasi tutti i paesi europei. Sono allo studio correttivi al generoso assistenzialismo limitati agli immigrati recenti, ma la Corte
costituzionale si oppone a misure che considera discriminatorie.
Il rigore in materia di immigrazione non è frutto di una concessione a Strache e alla destra, bensì di una genuina convergenza delle linee dei due partiti dopo l’ondata del 2015 e la successiva discesa in campo di Kurz. E’ anche il principale tema su cui Karin Kneissl, ministro degli Esteri ‘tecnico’, non ha difficoltà ad identificarsi con la linea della Fpoe che l’ha designata.
I confini e i limiti dell’euro-scetticismo austriaco
L’euro-scetticismo appartiene solo a Strache, che peraltro ha smussato certe asperità e ritirato il suo ripudio dell’Euro. Kurz non lo condivide affatto; ha però accettato, almeno a parole, di promuovere il principio di sussidiarietà, che significa restituire agli Stati e alle regioni l’autonomia su temi che si gestiscono meglio a livello
locale piuttosto che a Bruxelles. D’altro canto, vuole rafforzare l’integrazione in altri settori, come la politica estera e di sicurezza (Pesco).
Il giovane cancelliere si è comunque premunito da eventuali colpi di mano populistici a danno dell’impegno europeo dell’Austria: nel programma di coalizione, ha escluso dalle materie che possono formare oggetto di referendum l’appartenenza all’Unione europea. Inoltre ha travasato due importanti uffici competenti per la politica comunitaria
dal Ministero degli Esteri alla Cancelleria, dove se ne occupano lui stesso e il suo braccio destro, il sottosegretario Bluemel. Un accorgimento che si sarebbe rivelato provvidenziale qualora Strache avesse insistito con successo sulla nomina agli Esteri di Norbert Hofer o di un altro nazionalista (Johann Gudenus), nomina bocciata in anticipo dal presidente Alexander van der Bellen.
A seguito di quell’intervento irrituale ma quanto mai opportuno, su quella poltrona siede ora, come accennato, una indipendente (sia pure in quota Fpoe), che condivide la linea di Kurz e non si lascia inchiodare sulle occasionali intemperanze di Strache. L’Austria che si appresta ad assumere la presidenza dell’Unione europea nella seconda metà di quest’anno può dunque presentarsi a Bruxelles senza lo handicap politico che si sarebbe potuto temere.
Dal punto di vista italiano, qualche preoccupazione è legittima per l’annunciato rigore nell’impedire l’immigrazione illegale, la scarsa disponibilità a rivedere il sistema di Dublino e la prevedibile opposizione a misure punitive contro i paesi Ue che non accettano la redistribuzione dei migranti. Altro punto dolente del programma di coalizione è la prospettiva di concedere il passaporto a una parte degli alto-atesini. Una questione complessa che la mancanza di spazio non consente qui di approfondire. Ma per vari motivi possiamo sperare che, almeno nei prossimi anni, sia destinata a rimanere sulla carta.