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Sostenibilità ambientale a rischio

Artide: le strategie e i rischi della ‘corsa al Polo’

7 Mar 2018 - Michele Valente - Michele Valente

La disputa geopolitica nell’ Artide assume portata globale, minacciando possibili conseguenze sulla sostenibilità ambientale dell’intero Pianeta. La mutevole morfologia dei ghiacci del Nord pone in discussione parametri condivisi a livello internazionale, acuendo contrapposizioni politico-economiche e dando impulso a iniziative d’azione unilaterali.

Usa e Russia: stimoli e freni agli investimenti energetici
Nel luglio 2017, il presidente Usa Donald Trump ha firmato l’America First Offshore Energy Executive Order, autorizzando nuove perforazioni in Alaska e riassegnando le concessioni per l’estrazione di idrocarburi nei mari di Beaufort e Ciukci, sospese dalla precedente Amministrazione fino al 2022.

Sebbene stiano emergendo dalla “distensione artica”, causata dallo scioglimento dei ghiacci, aree per l’approvvigionamento di risorse naturali, vincoli legislativi e incognite climatiche, oltre ad elevati costi di installazione e gestione degli impianti estrattivi, frenano gli investimenti delle companies dell’energia: le stime riferiscono che il 25% delle riserve mondiali di combustibili fossili si trovi nel Mar Glaciale Artico.

La Russia, come recentemente annunciato dal vice ministro dell’Energia Kirill Molodtsov, ha intenzione di aumentare il volume della produzione di gas e petrolio estratti dalla piattaforma artica, facendo appello alla commissione preposta presso le Nazioni Unite. “Hanno fatto una simile richiesta anche la Norvegia, la Danimarca e a breve dovrebbero fare lo stesso Canada e Usa. Con questi Paesi dovremo condurre dei negoziati per accordarci sulla nostra richiesta di estensione nelle regioni oceaniche nei pressi dei crinali di Mendeleev, Alpha e Lomonosov”, afferma Leopold Lobkovsky, vice-direttore del dipartimento di geologia allo Shirshov Institute of Oceanology.

Investimenti nella sicurezza
Per controllare la rotta Nord-Est, potenziale principale via di collegamento tra Europa ed Asia, Mosca sta investendo in ricerca scientifica e sicurezza: le basi russe, fornite di missili S-400, controllano gran parte delle vie di transito, estendendosi dal confine con la Finlandia fino allo Stretto di Bering.

Istituti di ricerca russi e statunitensi concordano nel sostenere che lo scioglimento della calotta polare rimodellerà la geografia dell’Artico fino alle regioni terrestri. Entro il 2030, si aprirà infatti un nuovo corridoio commerciale attraverso il Polo Nord, la Transapolar Sea Route, che ridurrà i tempi di collegamento tra il continente asiatico e l’Europa rispetto all’attuale percorso attraverso il canale di Suez.

Anche la Cina mira ad ampliare il suo piano commerciale e infrastrutturale (one belt one road) al Circolo polare artico, con il fine di potenziare la cooperazione euro-asiatica, come riportato nel primo libro bianco sull’ Artide presentato, nelle scorse settimane, dal Consiglio di Stato cinese. Paese osservatore dell’Artic Council (forum intergovernativo istituito nel 1996), Pechino studia una serie strategie per penetrare nell’area: il dialogo con la Russia, mira ad aumentare l’attuale stock (circa il 10%) di gas naturale liquefatto, mentre si valutano joint venture con aziende russe, giapponesi e norvegesi per realizzare infrastrutture che consentano lo scambio di dati e informazioni. L’insieme delle attività economiche nel Circolo polare artico si aggira intorno ai 450 miliardi di dollari.

Intese per la salvaguardia ambientale
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos, in vigore dal 1994) fissa le linee guida in materia di tutela marina e oceanica, stabilendo diritti e responsabilità nello sfruttamento delle risorse naturali: il trattato internazionale delimita le aree di pertinenza entro cui ciascuno Stato può praticare attività estrattive e ittiche, distinguendo tra Piattaforma continentale (non eccedente le 350 miglia nautiche dalla costa) e Zona economica esclusiva (area a gestione nazionale compresa entro le 200 miglia nautiche).

La riduzione della calotta polare ha portato alla scoperta di nuove rotte commerciali, rinnovando l’attenzione per le potenzialità economiche offerte dai ghiacci artici. Senza un attento monitoraggio dall’azione antropica, tuttavia, lo sfruttamento incondizionato delle risorse naturali congiunto agli effetti legati al cambiamento climatico, può arrecare danni irreversibili all’ecosistema planetario.

Lo scorso dicembre, la firma di un accordo sulla limitazione della pesca nell’Artico, sottoscritto da Unione europea, Stati Uniti, Cina, Giappone e Sud Corea, ha raggiunto l’obiettivo d’integrare la ricerca scientifica nei processi di decision making: l’intesa prevede la sospensione delle attività ittiche per 16 anni (a partire dal 2018), con un impegno congiunto nella realizzazione di un programma di ricerca scientifica e monitoraggio sulla biodiversità e le conseguenze del cambiamento climatico.

“Le delegazioni hanno ritenuto saggio attendere, finché non ci fossero abbastanza conoscenze scientifiche e capacità gestionali in atto”, ha sottolineato David Balton, vicesegretario del Dipartimento di Stato Usa per la conservazione marina e la pesca. Finora il 40% del bacino centrale del Mar Glaciale Artico, tra il Nord dell’Alaska e la Russia, ha costituito una delle principali aree per la pesca del merluzzo. Per l’ Artide, “È un grande esempio di messa in atto del principio di precauzione”, spiega Scott Highleyman, delegato statunitense membro dell’Ocean conservacy.

Riscaldamento globale, rischio sistemico
Lo scioglimento del permafrost danneggia la flora e la fauna marina: l’assottigliamento dello scudo di ghiaccio, oltre a ridurre la capacità rifrattiva del Pianeta (“effetto albedo”), libera riserve gassose e deteriora il materiale organico. Dai primi Anni Settanta, la superficie della calotta polare artica, attualmente circa 3,4 milioni di km², si è ridotta di oltre il 50% rispetto alla sua originaria estensione.

Una recente ricerca del National Snow and Ice Data Center dell’Università del Colorado segnala il pericolo che il rilascio di notevoli quantità di mercurio (circa 57 milioni di litri) può costituire per l ’ ambiente e la catena alimentare. “Ora scopriamo che non solo c’è mercurio nel permafrost – spiega il ricercatore Kevin Schaefer -,  ma che si tratta anche della più grande riserva del Pianeta”. Attenzione dunque alle conseguenze della “polar rush”, la corsa al Polo, perché, conclude  Schaefer, “ciò che accade nell’ Artide, non resta confinato all’ Artide”.