Arabia Saudita: Trump ago della bilancia tra Riad e Teheran
Il viaggio americano di Mohammed bin Salman comincia il 19 marzo e toccherà numerose città degli Stati Uniti: sarà il primo da principe ereditario dell’Arabia Saudita. Un tour politico-mediatico che coincide con un passaggio decisivo della politica mediorientale degli Stati Uniti. Infatti, l’Amministrazione di Donald Trump dovrà esprimersi presto su tre questioni cruciali, tutte legate al Golfo e ai suoi equilibri: rimanere o uscire dall’accordo sul nucleare iraniano; stringere o no un’intesa con l’Arabia Saudita in tema di cooperazione nucleare per fini civili; reagire o prendere tempo sui missili balistici che Teheran fornisce agli huthi yemeniti. Il 20 marzo, Mohammed bin Salman si recherà alla Casa Bianca: fra monarchie del Golfo e Qatar la crisi è ancora aperta. Anche lo Yemen, che entra in questo mese nel quarto anno di conflitto, sarà fra i temi in discussione: il paese è senza pace e i sauditi senza vittoria, mentre l’asse yemenita fra Iran e Russia si fa più forte.
La questione nucleare iraniana …
Riscrivere il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) entro il 12 maggio, o Washington uscirà unilateralmente dall’accordo: questo l’ultimatum che il presidente americano ha dato ai negoziatori europei (Gran Bretagna, Francia e Germania). I colloqui transatlantici sono aperti: gli europei punterebbero a un accordo supplementare sui missili iraniani (esclusi dal Jcpoa) per offrire qualcosa a Washington, pur preservando l’impianto di un accordo che – come dichiarato dalla stessa Aiea – è stato finora rispettato. Da mesi, la Francia ha alzato i toni contro i missili di Teheran, ma l’Iran ne ha sempre rivendicato la legittimità.
Non è chiaro se l’ultimatum di Trump sia in realtà un espediente per addossare agli europei l’eventuale naufragio del nuclear deal, siglato nel 2015. O se piuttosto esso sia una mossa per alzare i toni, anche agli occhi degli alleati sauditi, per lasciare poi invariato l’impianto dell’accordo. L’avvicendamento al Dipartimento di Stato, con il ‘falco’ Mike Pompeo al posto di Rex Tillerson, potrebbe inaugurare una stagione ancora più muscolare nei confronti dell’Iran. Di certo, la questione dei missili balistici mette a rischio la sicurezza nazionale dell’Arabia Saudita, come avvenuto il 4 novembre scorso sui cieli dell’aeroporto internazionale di Riad.
… e una questione nucleare saudita
Nel Golfo, la partita nucleare sta per diventare doppia: “Se l’Iran avrà la bomba atomica, anche noi la svilupperemo il prima possibile”, ha ribadito Mohammed bin Salman alla Cbs. Il segretario di Stato Usa all’Energia, Rick Perry, si è recato a dicembre nel regno per incontrare l’omologo saudita: gli Stati Uniti si appresterebbero a concludere un accordo formale di cooperazione sul nucleare civile con l’Arabia Saudita.
Nel 2010, Riad ha avviato un programma nucleare per fini civili (16 reattori da costruire entro il 2030, il primo entrerebbe in funzione nel 2022). Il programma nucleare degli Emirati Arabi Uniti (dal 2008) è in fase più avanzata (la prima unità dell’impianto di Barakah 1 sta per essere completata): Abu Dhabi si è però formalmente impegnata, nel 2009, a non procedere all’arricchimento dell’uranio e al reprocessing del plutonio, acquisendo così la “gold standard” per la non-proliferazione.
Mohammed bin Salman farà lo stesso, adducendo esigenze legittime di sicurezza energetica, oppure no, palesando l’obiettivo strategico della deterrenza anti-Iran? Per Washington, cooperare al programma nucleare saudita potrebbe essere il primo meccanismo di controllo dei suoi reali fini civili: ma “giocare con l’uranio” non gioverà certo alla sicurezza mediorientale.
L’Iran, gli huthi e la Russia
Il Report 2018 del Panel degli Esperti dell’Onu rimarca che l’Iran non ha preso le misure necessarie per prevenire la fornitura/vendita diretta o indiretta di armi agli huthi. Gli esperti hanno identificato, in Yemen e in Arabia Saudita, resti di missili, materiale militare nonché droni di origine iraniana: armi, si legge nel Report, entrate in Yemen dopo l’imposizione dell’embargo, in violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
Qui le sfumature contano: l’Onu non identifica chi abbia materialmente fornito il materiale bellico agli huthi, mentre Washington “forza” il Report per additare il governo iraniano. Come noto, la politica estera del presidente Hassan Rohani non è sovrapponibile a quella del pasdaran Qassem Suleimani: la geopolitica dell’Iran in Medio Oriente irrita Riad ancora più della ‘bomba’ e dei ‘missili’. Per la prima volta, la Russia ha posto il veto su una risoluzione che riguardava lo Yemen, bloccando il testo anglo-franco-americano che, rinnovando l’embargo sulle armi agli huthi, stigmatizzava Teheran per averlo violato.
MbS cambia i vertici militari
Prima di partire per gli Usa, MbS ha aggiunto un nuovo tassello alla strategia di personalizzazione del settore della sicurezza: sostituzione dei vertici militari (come fu con la Guardia Nazionale) e riforma del Ministero della Difesa. È “inaccettabile” che Riad spenda tanto per la difesa mentre le prestazioni sul campo non migliorano, aveva dichiarato l’erede al trono, con il pensiero allo Yemen. E soprattutto, con un occhio alla nomina di “fedeli in divisa” per consolidare il regno che sarà suo, prima o poi.