Migranti: flussi, analisi delle cause e proposte di soluzioni
Lo scorso 17 gennaio il Parlamento ha approvato l’invio di 470 militari e 150 veicoli in Niger, al fine di contrastare i “ flussi migratori irregolari ” e i traffici di esseri umani che transitano verso la Libia e, da lì, verso l’Europa. Numerosi altri Paesi europei – tra cui Francia, Germania e Spagna – hanno adottato politiche simili.
Queste ultime sono state precedute in anni recenti dalla pubblicazione di un ampio numero di studi, alcuni focalizzati sull’implementazione di misure volte a differenziare le diverse ondate migratorie, al fine di “deviare i fenomeni migratori piuttosto che cercare di arrestarli”. Altri hanno indagato costi e benefici delle politiche di ‘esternalizzazione‘, la strategia dell’Ue per la ‘Sicurezza del Sahel‘ e il ‘peso finanziario‘ della crisi migratoria per i Paesi europei.
Non meno spazio è stato dedicato al ‘business lucrativo‘ delle Ong in relazione alle ondate migratorie, al ruolo del crimine organizzato nel ‘contrabbando di migranti‘, nonché all’importanza di “mostrare solidarietà per questi disperati”.
Questi studi, così come le politiche adottate dai maggiori Paesi europei, non offrono alcuna soluzione a lungo termine, né sono basate su una profonda comprensione delle condizioni strutturali alla base dei flussi migratori. Si tratta di analisi e strategie che in larga parte parlano alla ‘pancia’ dell’opinione pubblica dei Paesi europei, ma che non sono in grado di fornire risposte strutturali alle presenti e future generazioni.
Alcuni problemi strutturali
L’acronimo Opl 245 non dice nulla alla quasi totalità dell’opinione pubblica. Eppure è il nome della procedura per l’acquisizione del più grande giacimento petrolifero (oltre 9 miliardi di barili di greggio) presente in Africa. È posto davanti alle coste della Nigeria, da dove, a partire dall’inizio del XV secolo, 12 milioni di schiavi furono ‘esportati’ verso le colonie europee in America. Si tratta del Paese più popolato del continente africano e di quello dal quale nel 2016 è arrivato in Italia il maggior numero di migranti via mare.
L’enorme somma (1.1 miliardi di dollari) investita da compagnie di petrolio e gas europee per l’acquisizione di questo giacimento petrolifero sarebbe stata sufficiente a coprire oltre l’80% dell’intera spesa sanitaria della Nigeria per l’anno 2015. Eppure i cittadini della Nigeria non hanno tratto alcun vantaggio dall’accordo, finalizzato anche tramite presunti ricatti, di cui ha beneficiato solo un limitato numero di funzionari corrotti e riciclatori di denaro sporco.
L’Opl 245 non rappresenta di certo un caso isolato. Le risorse naturali (petrolio, oro, gas, ecc) presenti nella quasi totalità dei Paesi africani e in un numero significativo di Stati nel Mediterraneo orientale vengono trasferiti attraverso società off-shore che, in larga misura, sono collegate a imprese e uomini d’affari operanti in Europa e in America. Come hanno confermato i documenti emersi dai Panama Papers, oltre 1400 società anonime, con la connivenza di dittatori locali e di molteplici paradisi fiscali, vengono utilizzate come strumenti volti a prosciugare le ricchezze naturali di alcuni dei Paesi più poveri del mondo.
Solo aprendo l’Europa a prodotti realizzati in Africa – e garantendo al contempo una equa distribuzione dei profitti – e affrontando le cause strutturali che minano la capacità di sviluppo di milioni di persone, sarà possibile attuare una ‘visione europea’ basata su soluzioni sostenibili.
A ciò si aggiunga la necessità di esercitare stringenti pressioni nei riguardi di Paesi – dotati di enormi risorse e più prossimi ai centri da dove partono larga parte dei flussi migratori – come l’Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait, affinché si assumano responsabilità concrete.
È significativo che questi Paesi siano tra i principali destinatari del miliardo e 350 milioni di euro in fucili, lanciarazzi, mitragliatrici pesanti, mortai e armi anti-carro attualmente esportati dall’Europa (soprattutto attraverso i Balcani) verso il Medio Oriente. Una percentuale significativa di esse viene utilizzata utilizzate da gruppi operanti in Siria e Yemen, contribuendo alla destabilizzazione dell’intera regione.
Ed è proprio il fattore ‘destabilizzazione’ a rivestire un ruolo non meno decisivo nel novero delle condizioni strutturali alla base delle “migrazioni e dei traffici di esseri umani”. È una storia vecchia come il mondo: tendiamo a ‘migrare’ quando ci sentiamo insicuri, o incapaci di soddisfare i nostri bisogni. In questo contesto è sufficiente menzionare che, stando a dati del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, gli “incidents of terrorism” sono cresciuti del 6500 per cento (199 attacchi nel 2002, 13500 nel 2014) dall’avvio della ‘Guerra al terrore’ (2001).
15 dei 19 attentatori delle Torri Gemelle erano cittadini sauditi. Cionostante, l’amministrazione Bush decise di rispondere agli attentati dell’11 settembre attaccando l’Afghanistan e l’Iraq. Non è un caso che siano proprio questi due Paesi quelli che negli ultimi 15 anni hanno registrato la metà del numero totale degli “incidents of terrorism” a cui si è fatto riferimento. La destabilizzazione di gran parte del Medio Oriente e del Nord Africa, nonché l’enorme impatto che essa ha avuto sulla stabilità delle regioni limitrofe, è in larga parte il risultato diretto delle politiche adottate all’inizio di questo secolo.
Soluzione strutturali
In che modo i flussi migratori influenzeranno l’Africa e l’Europa nei prossimi decenni? La risposta è in gran parte legata alla demografia. La popolazione totale dell’Africa crescerà dagli attuali 1,2 a 2.5 miliardi entro il 2050. Per contro, nello stesso periodo, Paesi europei come la Germania e l’Italia vedranno le proprie popolazioni diminuire rispettivamente da 81 a 79 milioni e da 60 a 55 milioni di individui.
Questi numeri confermano che il tentativo di contrastare i flussi migratori e i relativi traffici attraverso lo schieramento di truppe o la deviazione delle ondate, non può che rivelarsi un fallimento. Solo adottando delle soluzioni strutturali sarà possibile trasformare in opportunità le sfide che questi numeri portano con sé. Dalla prospettiva dell’Ue, queste soluzioni strutturali includono cinque politiche principali:
- Esporre e sanzionare l’attuale sfuttamento delle risorse naturali dell’Africa da parte di migliaia di società europee, pubbliche e private, in modo da contrastare alcune delle cause strutturali alla base dei flussi migratori, dunque quelle che ostacolano lo sviluppo di molti Paesi della regione.
- Aprire l’Europa ai prodotti realizzati in Africa, decostruendo al contempo l’impressione che “li stiamo aiutando a casa loro”: sebbene i Paesi africani ricevano 31 miliardi di dollari in rimesse, le multinazionali che operano nel continente ‘re-importano’ circa 32 miliardi di dollari l’anno in profitti nei loro Paesi d’origine.
- Monitorare e tamponare il flusso di armi prodotte nei Paesi europei e venduti in Africa e nelle regioni del Medio Oriente colpite dalla guerra (Yemen in primis).
- Offrire protezione legale e opportunità – attingendo se possibile anche dai 6 miliardi di euro stanziati dall’Ue per rafforzare i propri confini esterni – ai ‘migranti climatici’, ovvero a milioni di individui che lasciano i propri Paesi a causa degli effetti dei cambiamenti climatici.
- Abbandonare la gestione della crisi, scommettendo sulla prevenzione della stessa. Ciò include il rifiuto di ogni politica volta a esternalizzare la gestione dei flussi migratori, una pratica che ha generato un boom economico in un ampio numero di centri di transito – alcuni dei quali situati in aree desertiche – e che s’è trasformata in una redditizia industria che trae profitto dai più vulnerabili.
Si potrebbe affermare che nessuna di queste politiche sia realistica o praticabile. Se cossì fosse, sarebbe quantomeno opportuno decostruire la diffusa immagine di una generosa Europa impegnata a trovare soluzioni umanitarie per milioni di migranti: un continente costretto a gestire le conseguenze di problemi altrui.
Troppo spesso i nostri media – e di riflesso larga parte dell’opinione pubblica – tendono ad a percepire le lacerazioni che stanno interessando il Mediterraneo meridionale e orientale come qualcosa che riguarda popoli e Paesi lontani.
È necessario superare questa interpretazione dicotomica che divide la “nostra storia” dalla “loro storia”, aprendo la strada a un approccio più umile verso i popoli della regione e il loro carico di sofferenza. Ciò permetterà di guardare con occhi diversi al “vicinato europeo” e a realizzare l’auspicio di Eric Hobsbawm di salvare non solo “the stockinger and the peasant, but also the nobleman and the king”.