Cipro: Turchia; Eni, manovre navali e alchimie giuridiche
La reazione dell’Eni e del Governo italiano al blocco della nave Saipem 12000 a sud di Cipro è stata giustamente prudente: l’azione della marina turca è manifestamente illegale e ingiustificata, ma non è il caso di mettere in pericolo interessi economici ancora più vasti, né di offrire ad un alleato già difficile come la Turchia lo spunto per una prova di forza. Relativamente blanda anche l’esortazione ad “evitare attriti e minacce” venuta dall’Ue: i rapporti sono già abbastanza tesi a causa della stasi nel processo di adesione e delle critiche per le misure repressive adottate da Ankara; e non si vuole rischiare che, per ritorsione, il presidente Erdogan riapra il flusso di rifugiati da Siria e Paesi asiatici.
Ankara, una logica di potenza senza fondamento giuridico
Può nascerne l’impressione che, a causa di una situazione giuridica incerta, sia sorto un normale contenzioso , in cui si debbano individuare le ragioni di ciascuna delle parti in causa. In realtà, l’azione di Ankara obbedisce ad una logica di potenza, senza alcun fondamento giuridico.
Quand’anche le trivellazioni dell’Eni dovessero effettuarsi a nord di Cipro, non violerebbero i diritti della cosiddetta Repubblica Turca di Cipro-Nord sulla propria zona economica esclusiva, per la semplice ragione che la Trnc, riconosciuta unicamente da Ankara, non è uno stato per il diritto internazionale (come non lo è l’Abkhazia) e quindi non possiede una sua Zee.
La Comunità Internazionale riconosce solo il governo greco-cipriota. E il trattato di adesione all’Unione Europea da esso firmato nel 2004 si riferisce a tutta l’isola, anche se, in attesa dell’unificazione, gli effetti sono sospesi nella zona settentrionale (circa un terzo del territorio) controllata dalla Turchia. Ne discende che il governo di Nicosia-Sud avrebbe il diritto di assegnare concessioni di esplorazione ed estrazione anche nel settore nord della zona esclusiva di Cipro confinante con la Zee della Turchia.
Le ragioni che accampa la Turchia
Chi volesse dare ragione alla Turchia potrebbe affermare che la statualità della Trnc è determinata dal possesso, innegabile, dei tre noti requisiti – territorio, popolo, governo – e non ha quindi bisogno del riconoscimento di Paesi terzi, visto che la teoria costitutiva del riconoscimento degli Stati è ormai superata. Al che si può obiettare che il ‘governo’ di Lefkosha non è indipendente, essendo controllato da Ankara, e che la Trnc è una entità artificiale impiantata su una porzione del territorio di Cipro occupata da truppe straniere (30-40mila uomini, per una popolazione di circa 200mila abitanti), a seguito della seconda spedizione militare turca dell’agosto 1974.
Ma tale questione giuridica è già stata risolta da tempo dalle risoluzioni 541 e 550 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che negano la validità della proclamazione della Repubblica del Nord (1983) e vietano agli Stati membri di riconoscerla.E infatti i pochi riconoscimenti promessi dietro pressioni o lusinghe di Ankara non sono mai stati effettuati.
I limiti di un’azione illegale intimidatoria
Tutto ciò è comunque irrilevante, dato che il ”blocco 3” verso cui era diretta la nave della Saipem è a sud di Cipro. Quali diritti può allora accampare la Turchia, e quali possono essere gli obiettivi di una azione intimidatoria condotta in spregio del diritto internazionale e con un costo in termini di immagine?
La mossa turca di questi giorni si iscrive nella linea tradizionale di non-riconoscimento della Repubblica di Cipro, con cui la Turchia risponde al boicottaggio della Trnc praticato dalle autorità greco-cipriote e assecondato dalla Ue e dalla comunità internazionale quasi al completo. Ankara arriva persino a rifiutare di applicare le disposizioni del Trattato di Unione doganale a uno dei membri della Ue (è questo è uno dei motivi della paralisi del negoziato di adesione).
Il caso dei giacimenti di idrocarburi
Nel caso dello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi, la sfida turca alle norme internazionali consiste nel negare a Cipro, in quanto isola, la capacità di rivendicare una fascia di mare come zona economica esclusiva. La Convenzione sul Diritto del Mare del 1982 (Unclos) prevede in effetti la possibilità di limitare tale proiezione esterna quando si tratti di scogli o isolotti, ma non certo per isole di dimensioni ragguardevoli, e tanto meno se sono degli stati a sè. E’ soprattutto per questo (e per la questione delle isole dell’Egeo) che la Turchia non ha sottoscritto l’Unclos, le cui norme sono peraltro considerate valide per tutti i soggetti internazionali in quanto entrate a far parte del diritto consuetudinario.
Ankara ha deciso di non sentirsi vincolata da tali norme, e in particolare da quella sulla zona economica (Eez) spettante a Cipro come agli altri stati costieri, e vi contrappone un proprio diritto alla piattaforma continentale che si estenderebbe su buona parte del Mediterraneo orientale, scavalcando l’isola di Cipro. In una intervista a un giornale greco, il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha infatti avvertito: “Non permetteremo mai esplorazioni non autorizzate nella nostra (sic) piattaforma continentale”.
Curiosamente, nel 2010 la Turchia ha firmato con la Trnc un trattato di delimitazione della piattaforma, che contraddice palesemente la suddetta teoria sulle isole (trattato ovviamente inesistente per la comunità internazionale).
Interrogativi sulle finalità della mossa di Ankara
Accertata la mancanza di fondamento giuridico, quale può essere la ratio, la finalità politica o economica, della mossa turca? Erdogan, dopo i recenti incontri con il presidente Mattarella e il premier Gentiloni in cui aveva espresso “preoccupazione” per le attività dell’Eni nel Mediterraneo orientale, che costituirebbero una “minaccia alla Turchia e alla Trnc” (sembrano echeggiare le parole di Esopo/Fedro: “superior stabat lupus….”), ha in seguito ammonito che le licenze concesse da Nicosia sono azioni “unilaterali”, dato che i turco-ciprioti “sono comproprietari dell’isola”.
Questa formulazione può forse essere – ottimisticamente – interpretata come premessa a una richiesta di accantonare una quota dei proventi dall’estrazione del gas in un fondo destinato a finanziare lo sviluppo di Cipro-Nord nel contesto di una futura unificazione (o anche prima). Alternativamente, può significare una volontà di porre un veto (fino alle calende greche) allo sfruttamento dei giacimenti offshore per negare un vantaggio economico ai greco-ciprioti, oppure per acquisire una leva ai fini di una ripresa del processo di adesione.