Campagna elettorale: inseguendo Trump tra flat tax e protezionismo
Nel disordine di questa campagna elettorale che ci sta accompagnando al voto del 4 marzo, le proposte concrete di politica economica non sempre occupano un posto di rilievo nel dibattito. Tra quelle che hanno destato maggior interesse, oltre al reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle, ci sono sicuramente la flat tax, sostenuta dai due maggiori partiti che occupano lo schieramento di destra nel nostro scacchiere politico, e l’introduzione di dazi per tutelare il Made in Italy, prospettata dal candidato premier della Lega Matteo Salvini. Le due proposte, che sembrano far eco alla politica economica di Donald Trump, sono presentate come misure volte a tutelare gli interessi del popolo italiano. Le critiche non sono mancate, ma si sono concentrate soprattutto sulla difficoltà (o impossibilità) di attuazione e sulla mancanza di coperture finanziarie. Tuttavia, ciò che è davvero opportuno chiedersi è se e quanto tali politiche, indipendentemente da chi le metta in atto, siano davvero nell’interesse della popolazione nel suo complesso.
La parola ai numeri
Il termine anglofono Flat Tax indica un sistema di tassazione ad aliquota unica, proporzionale nella sua natura, in cui ogni contribuente paga in proporzione, la stessa, al reddito percepito. I suoi sostenitori sottolineano come l’introduzione di un sistema del genere comporti una notevole semplificazione e un sostanziale risparmio rispetto al sistema progressivo attualmente in vigore, caratterizzato da scaglioni impositivi diversi per diverse fasce di reddito. Inoltre, nella visione di coloro che propongono tale sistema, la progressività (e con essa la costituzionalità) dello stesso verrebbe comunque salvaguardata dall’introduzione di una “no tax zone”, ossia una fascia iniziale di reddito completamente esente da tasse, più alta di quella attuale. Se sulla semplificazione c’è poco da eccepire, per capire se davvero il nuovo sistema sarebbe vantaggioso per tutti i contribuenti ci si può rivolgere ai numeri.
Seppure ancora ci sia incertezza sulla definizione dell’aliquota precisa e sul limite della “no tax zone”, per un calcolo veloce si può far riferimento a un’aliquota unica del 23% e a a un’esenzione totale dalla tassazione per i redditi fino ai 12.000 € lordi annui, così come proposto dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Un calcolo approssimativo e molto semplice, ma allo stesso estremamente esplicativo, evidenzia un risparmio rispetto al sistema di tassazione attualmente in vigore di circa 460 € all’anno per una persona con un reddito di 10.000 € lordi annui. Spostandosi da una fascia di reddito bassa ad una più alta, il risparmio per una persona con reddito lordo di 50.000 euro l’anno crescerebbe a circa 4.000 euro l’anno. Salendo ancora, per una persona decisamente benestante con un reddito lordo di 150.000 € annui, il risparmio arriverebbe a circa 24.000 €. Insomma, se la matematica non è un’opinione, così come è innegabile che effettivamente i contribuenti di ogni fascia di reddito godrebbero di un risparmio rispetto al carico fiscale a cui sono attualmente sottoposti, è altrettanto ineccepibile che tale risparmio sarebbe distribuito in maniera assolutamente iniqua e a guadagnarci davvero sarebbero solo i redditi più alti.
Si scrive Flat Tax si legge disuguaglianza crescente
Al netto dei correttivi che si potrebbero introdurre ad un sistema del genere, volti a limare il suo carattere proporzionale e accentuarne quello progressivo, è evidente che un siffatto sistema implichi un risparmio rispetto a quello attuale che è tanto maggiore quanto maggiore è il reddito percepito. Per sua natura dunque la flat tax finirebbe per contribuire in modo decisivo ad accrescere uno dei problemi strutturali più importanti del nostro tempo: la crescente disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza.
Tanto l’ormai famoso rapporto di Oxfam quanto i numeri dell’Istituto nazionale di Statistica descrivono una situazione di crescente polarizzazione anche nel nostro Paese, con il reddito annuo della fascia più povera in diminuzione negli ultimi dieci anni a fronte di quello del quinto più ricco della popolazione che registra una crescita sempre più intensa. Una sperequazione crescente nella distribuzione dei redditi e della ricchezza non costituisce solo un problema di ordine etico o morale ma è prima di tutto un problema di ordine sociale ed economico con importanti conseguenze di lungo periodo.
Da un punto di vista sociale, la scomparsa di quello che un tempo veniva chiamato l’“ascensore sociale” crea malcontento e risentimento, minando così la coesione sociale, alimentando la proliferazione di risposte politiche estremiste e offrendo terreno fertile per la criminalità. A livello economico la disuguaglianza, colpendo soprattutto la classe medio bassa che è la spina dorsale di molte economie mature, porta fisiologicamente a una flessione strutturale della domanda aggregata dovuta al minor consumo di un numero enorme di famiglie che non potrà mai essere sostituito da un maggior consumo da parte di pochi (sempre più) opulenti, frenando così le prospettive di crescita economica.
Se l’origine di questa tendenza può essere imputata agli effetti di fenomeni, quali il progresso tecnologico, la globalizzazione e la crescita del settore finanziario, che hanno dominato gli ultimi 35 anni favorendo una più sostenuta ma iniqua crescita economica, è proprio al sistema impositivo che spetta il compito fondamentale di redistribuire la ricchezza e i vantaggi da essi creati in modo più equo. Le due misure proposte vanno però nel senso opposto: se la flat tax aumenta le disuguaglianze, anche le misure di carattere protezionistico non costituiscono di certo una soluzione. Esse infatti non redistribuiscono i vantaggi creati dalla globalizzazione, come una maggiore disponibilità di beni e servizi ad un prezzo minore, ma li diminuiscono senza operare alcuna opera reale di protezione del nostro tessuto imprenditoriale, rischiando anzi di frenarne lo slancio verso l’internazionalizzazione che ha trainato la flebile ripresa degli ultimi anni.