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Fattori di criticità

Terrorismo: grandi rischi dopo l’onda di piena del Jihad

10 Gen 2018 - Gabriele Patrizio - Gabriele Patrizio

Il terrorismo del dopo 11 Settembre ha mascherato la deriva del sistema internazionale. La fine dell’autoproclamato Califfato, però, e l’avvento della Presidenza Trump, hanno riaperto il vaso di Pandora delle rivalità su larga scala. La dottrina dell’America first difficilmente si concilia con quella dell’American destiny e rende incombenti i rischi di un declino americano da sempre rinviato ad un futuro improbabile.

Il terrorismo storicamente si manifesta ad ondate cicliche: le più recenti, quella ideologica degli Anni ’70 e quella salafita degli Anni 2000. La concomitanza tra la fine del Daesh, il sedicente Stato Islamico, e la caduta verticale dello stragismo in Occidente ha aperto, però, un capitolo nuovo nelle dinamiche del sistema internazionale del XXI secolo.

L’alternanza del terrore tra ‘caldo’ e ‘freddo’
Nell’inventario delle paure ossessive del nostro mondo, al terrore ‘caldo’, del sangue stragista, si alterna quello ‘freddo’, tecnologico, della missilistica e delle testate atomiche, oggi alla moda coreana, in odore di guerra dei nervi.

Le recenti prove di disgelo tra le due Coree, tuttavia, rendono più plausibile ciò che già si sapeva negli arcana imperii, ossia che un secondo confronto armato lungo il 38° parallelo rientra tra “le guerre impossibili”. Costituirebbe infatti un attacco alla struttura del sistema internazionale del dopo ‘ 89 , aprendo la strada a possibili simmetriche azioni unilaterali della Russia in Europa (Ucraina, Georgia, area del Baltico) e della Cina nella sua area di ingerenza in Asia (Taiwan, isole del Pacifico, etc). E neppure l’iper-potenza americana può avventurarsi a dischiudere questo tipo di scenari, al di là delle intemperanze retoriche.

La maschera del terrore sull’assenza di un ordine internazionale condiviso
Per quanto paradossale possa risultare, questi quasi 20 anni di terrore, dall’11 Settembre all’Isis, hanno mascherato l’assenza d’un ordine internazionale condiviso. Il coinvolgimento di tutte le grandi potenze nelle strategie contro il terrorismo ha creato una simulazione di concerto fra gli Stati, pur con uno sceneggiato revival di guerra fredda nel rapporto UsaRussia. Non è di buon auspicio che nella storia del sistema sovranista – lungi dall’essere al tramonto malgrado le mutazioni post-moderne – le fasi di concerto non abbiano mai superato il ventennio. In altri termini, la cosiddetta guerra al terrorismo ha largamente contribuito a puntellare e prolungare la lunga pace, o almeno questa lunga tregua, tra le potenze. Ma ora?

L’unico punto fermo della cosiddetta, se pure è tale, “dottrina Trump” è la presa d’atto di questa assenza di un qualsivoglia ordine internazionale e la predilezione per una forma di realpolitik priva di statecraft. La presidenza Usa punta su un innalzamento indotto delle tensioni negli scacchieri caldi, vedasi la crisi con la Nord Corea nell’Asia orientale e la dichiarazione di Gerusalemme capitale nel contenzioso israelo-palestinese, al fine di coinvolgere sia i rivali che gli alleati in una competizione creativa per il raggiungimento di nuovi equilibri di potere regionali. In questo laborioso riassestamento gli Stati Uniti profitterebbero, al più basso costo possibile, degli sforzi degli alleati e del logoramento dei rivali, con vigile attenzione alla loro posizione privilegiata di primato solitario.

Una ambiziosa realpolitik, disposta a rischi calcolati importanti e a pericolose turbolenze, che abbisognerebbe comunque di tempi lunghi e di virtuosismi di tipo kissingeriano: tutte cose di cui l’Amministrazione Trump appare scarsamente dotata.

Il momento di maggiore criticità alla fine della Presidenza Trump
Il momento di maggiore criticità è ipotizzabile verso l’epilogo della Presidenza Trump. Chiunque sia l’inquilino della Casa Bianca fra tre anni, se non prima, visti i destabilizzanti sviluppi del Russiagate, dovrà fare fronte a una importante caduta di competenze e di ruolo della superpotenza. Questo non potrà avvenire senza fasi di travagliato confronto tra le potenze del vecchio triangolo, Usa, Cina e Russia, prima di ristabilire le regole del gioco internazionale, cioè un accordo sui principi basilari di reciproco riconoscimento, le aree di interesse primario e i modi di un disciplinato uso della forza nelle situazioni di minaccia dilagante.

Un altro paradosso sta proprio nella posizione degli Stati Uniti di fronte ai loro concorrenti. La Presidenza Trump ha aggravato il disordine della politica Usa, dopo la stasi obamiana, con il disimpegno e l’incoerenza verso Nato ed Europa, la rottura di trattati e convenzioni, anche con i partner asiatici, la natura ondivaga delle sue posizioni, tra minaccia aperta e indifferenza, l’ assoluta mancanza di una strategia di medio termine verso la Cina.

Il rischio di un ribaltamento del quadro
Usciti vittoriosi dopo l’ 89, come attore unipolare, con Russia e Cina confinate al ruolo di potenze regionali, oggi gli Usa intravedono un ribaltamento del quadro. La Russia si è riconquistata un rango di potenza principale, al pari di Pechino nel ruolo di attore centrale nell’Eurasia e nelle acque del Pacifico.

Oggi è Washington che rischia di essere ricondotta ad una asfittica dottrina Monroe: arginata nel ruolo di potenza continentale nella regione americana, nonostante le velleità interventiste di Donald Trump; fiaccata, a occidente, dalla sua leadership atlantica, dalla incomunicabilità con i vertici europei e dalla pressione geopolitica ‘occidentalista’ di Mosca verso il centro-Europa; incoraggiata sotto traccia da Pechino che mira, in tal modo, ad alleggerire la antiche rivalità con Mosca in Asia centrale. Ad oriente, dalla spinta di potenza, con proiezione trans-asiatica e oceanica, della Cina popolare, impegnata ad ergersi, con esuberanza di risorse, quale Impero di mezzo nella massa continentale dell’Eurasia, unificata nel lungimirante progetto della Bri, The Belt and Road Initiative.

Una prospettiva del tutto inaccettabile per gli Usa, che vedrebbero materializzarsi quel declino americano che per decenni è stato più che altro oggetto di mitologie decadentiste. Il che rende i prossimi anni gravidi di rischi e di crisi che vanno anche al di là dei periodici tremori di guerra, tra Est-Asia e Medio Oriente , o delle convulsioni del terrorismo islamico.